Esordiamo dicendo che, in un mondo dell’editoria online dedicata al cinema, che è sempre più costretta a inseguire scandalucci inter nos e maniere creative per nascondere i clickbait, a questo nuovo contenitore di nome Animondo – che, come già suggerisce il titolo, ha l’aria di essere rotondo – piacerebbe essere qualcosa di più umano e dedicato, di un fiato più profondo. Vorrebbe essere innanzitutto un intervento amorevole, un gruppo di ascolto da pari a pari per tutti gli amici adulti che, bloccati da un chip di programmazione emotivo impiantato quando erano troppo piccoli per avere scelta, ancora non riescono a trattare l’animazione come uno strumento narrativo, un mezzo per raccontare una storia, che utilizza animatori e character designer al posto di scenografi e attori. La troupe di una serie di animazione è diversa rispetto a quella di un live action, eppure fa la stessa cosa: segue le direttive di un regista intenzionato a mettere in scena una sceneggiatura che racconta una storia più o meno bella.
Lasciare indisturbato un blocco psicologico così poco traumatico e così tanto manicheo – i cartoni animati sono roba per bambini, punto e basta – non solo rifiuta un’idea di complessità e impoverisce l’orizzonte, ma (e soprattutto) preclude una miriade di titoli che arricchirebbero i curricula di qualsiasi appassionato di serie tv. Perciò, sarebbe un grande onore se ci accompagnaste a scoprire tutti quelle ottime serie anime che ancora faticano a emergere fra il grande pubblico, più per una questione di scarsa abitudine e, forse, di pregiudizio. Garantito, vale anche il contrario: la produzione di anime è pantagruelica, in Italia ne arriva solo una frazione e tante volte sono serie che non hanno né arte né parte. Esattamente come le colleghe in live action. L’idea è quella di provare a convincervi a dare una possibilità a serie anime che consideriamo, per un motivo o per l’altro, abbastanza imperdibili. Per non perdervi qualcosa di potenzialmente clamoroso, o anche per imparare a conoscere piano piano una nicchia che si sta allargando sempre di più.
Il primo titolo da scoprire è un’entrata morbida attraverso il velo che porta nel mondo delle serie anime. È una scelta obbligata sia perché topica (è uscita il 29 agosto su Netflix), sia perché è una serie hard sci-fi di gran fattura e sia perché è una portabandiera perfetta per rappresentare l’ascendente parabola di influenza che gli anime stanno sempre più eseercitando sul pubblico occidentale. Terminator Zero è la cosa bella che succede quando una proprietà intellettuale hollywoodiana, multi-decennale e multimiliardaria come quella creata da James Cameron nel 1984, capisce dove soffia il vento e decide di posizionare le vele di conseguenza. Per dare linfa all’universo narrativo di Terminator – fermo dal 2019 (Terminator: Destino oscuro) e in attesa del ritorno di babbo James – c’era bisogno di una nuova storia, raccontata in una maniera inedita. Un anime, magari. Ancora meglio se diretto e curato da uno che se ne intende per davvero, come Masashi Kudō, già regista e autore del character design degli ultimi film di Bleach.
Soggetto e parte delle sceneggiature hanno una firma occidentale, quella di Mattson Tomlin, che di fantascienza se ne intende (Mother/Android). Il risultato è la cosa migliore che sia capitata all’universo narrativo di Terminator da Terminator 2 - Il giorno del giudizio. Ed era il 1991. Zero racconta una storia parallela e indipendente rispetto a quella principale ambientata negli Stati Uniti, e la suddivide tra il 1997, quando il mondo sta per essere raso al suolo dalla ribellione dell’intelligenza artificiale militare USA Skynet; e il 2022, quando sia i pochi umani resistenti rimasti, sia gli invincibili robot assassini programmati dall’IA per estinguere gli esseri viventi tornano indietro nel tempo per cercare di avanzare le rispettive cause.
Nel ‘97, lo scienziato giapponese Malcolm Lee ha delle precise visioni sul futuro e sul Giorno del giudizio scelto da Skynet per prendere il controllo del mondo. Per questo ha creato un’altra IA, Kokoro, per cercare di impedire l’apocalisse. Una volta collegata alla rete, però, Kokoro viene a conoscenza di tutte le malefatte del genere umano e inizia a dubitare. Forse Skynet ha ragione. Forse il pianeta starebbe meglio senza gli umani. Sta a Lee cercare di convincere l’essere artificiale che gli umani siano degni, il tutto mentre all’esterno del bunker in cui si trova Kokoro i tre figli dello scienziato sono bersagliati da un Terminator e difesi da una ribelle umana proveniente dal futuro.
Non è la prima né l’ultima volta che una serie (di fantascienza o meno) si porrà la grande domanda sulla natura collettiva – benigna o malvagia – del genere umano come specie animale. È una grande questione, e Terminator Zero è consapevole di non averla inventata. Ma per la prima volta la inserisce nel mondo di Terminator, un universo in cui nessuno aveva mai messo in discussione la natura in fondo in fondo in fondo positiva dell’umanità. Anzi. Nel sopracitato Terminator 2 - Il giorno del giudizio è proprio la natura umana ad agire come testimone di speranza, riuscendo a scavare una breccia nei circuiti del T-800. Qua, invece, nel mondo nascosto sottoterra di Kokoro ci si chiede, onestamente, se il destino del pianeta sia già stato scritto, o se c’è ancora una possibilità di salvezza e redenzione. Fuori, nel frattempo, il mondo in superficie brucia, mentre tre bambini in fuga imparano a modo loro la capacità di provare empatia anche per un mero programma.
La serie tv
Terminator Zero
Fantascienza - USA 2024 - durata 29’
Titolo originale: Terminator Zero
Con Timothy Olyphant, Yûya Uchida, Sonoya Mizuno, Vanessa Marshall, Rosario Dawson, Christopher Swindle
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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