Non avendo ancora visto Dostoevskij, scelgo America Latina per provare a parlare dell’assoluta centralità delle location nell’opera dei D’Innocenzo. È il loro film a oggi più vituperato, quello che ti procura delle faccine rabbuiate quando ne pubblichi un fotogramma su Facebook (true story). Quello che un’indicazione geografica, coerentemente fallace e insensata, ce l’ha già nel titolo. Quello che si apre con i titoli che scorrono su un Altrove fatto di pali della luce e torri telefoniche, di palme, cascine e magazzini, di roulotte e campi da calcio abbandonati, della sagoma fantascientifica di una ‘cosa’ non terminata, di pannelli fotovoltaici, della riproduzione di una bambina che offre un fiore a un dinosauro, di un autolavaggio.
E complimenti anche al location manager Alain Parroni, poi regista di Una sterminata domenica. Il tour termina davanti a un cancello che si apre sul viale d’accesso di una magnifica villa (che pare sia realmente ubicata a Latina, ma non ha alcuna importanza). La residenza sembra avere una struttura curva, ma quanto lo è effettivamente e quanto è dovuto alla prospettiva distorta dal grandangolo?
Ha cinque finestre sulla facciata – simmetricamente divise fra i due piani e incorniciate da una tinta turchese che segna uno stacco rispetto al bianco dei muri – e un’enorme rampa blu con cui raggiungere il livello superiore, e che rappresenta l’elemento maggiormente identificativo del progetto.
Quando i registi tornano a mostrare la casa, Massimo, il personaggio interpretato da Elio Germano, ha appena finito di parlare con l’amico Simone, che gli ha chiesto un prestito: è un piccolo campanello d’allarme nella quotidianità ‘sicura’ dell’uomo, un conoscente che ha inaspettatamente bisogno di una mano.
La residenza è ripresa stavolta da una distanza maggiore, la piscina sembra il sorriso di un clown cattivo, una delle bocche dipinte sulla cascina di La casa dalle finestre che ridono. Al suo interno le pareti sono rosse (il colore dell’interno dell’anima, lo aveva definito Bergman a proposito di Sussurri e grida), si notano gli arredi a giorno che hanno l’aspetto di nicchie contenitive. Quando una delle figlie si siede al pianoforte, osserviamo la scena filtrata dalla soggettività del padre, ripreso in primissimo piano, commosso, mentre lo sfondo diventa fuori fuoco, non permette di distinguere nulla.
Anche nell’inquadratura successiva, che mostra tutta la famiglia riunita, il fondale è indistinto, spicca il rosso che promana dalla parete rivestita di piastrelle e il verde riflesso dalla piscina che penetra dai vetri. All’alba la dimora ha dei colori irreali, impastati, posticci, sembra cosparsa di macchie violacee: un’immagine post-apocalittica, con i cani unici esseri viventi ad animare il paesaggio.
La cantina in cui il protagonista trova rinchiusa la bambina apparsa dal nulla è in calcestruzzo, ammantata dalla luce da obitorio tipica dei neon. Quando Massimo la abbandona e risale le scale, piegato su se stesso come un Nosferatu, è immerso nel rosso delle pareti, vi si bagna, fino a quando approda al soggiorno, dove sembra ingabbiato da tutte le linee parallele e perpendicolari che lo circondano: quelle del soffitto a cassettoni e quelle delle librerie alla sua destra.
Una delle scene successive farebbe la felicità di qualsiasi architetto modernista, quelli che prediligevano vetrate talmente ampie da abbattere qualsiasi distinzione tra indoor e outdoor. La macchina da presa è puntata verso la finestra della camera da letto, inquadrando contemporaneamente la moglie di Nicola che dorme e il riflesso di quest’ultimo che percorre la rampa fino ad apparirle accanto. L’inquadratura è lunghissima, senza stacchi, fino a quando la situazione iniziale si ribalta: adesso l’uomo è dentro la stanza e il riflesso sul vetro mostra la moglie scendere le scale mentre lui la osserva, confuso, in questo ambiente ‘altro’ che non è né fuori né dentro.
Intanto la situazione deraglia, Massimo non si spiega la presenza della ragazza in cantina, pedina Simone credendolo colpevole di chissà cosa poi ha un confronto violentissimo col padre. Il giorno successivo entra in quello stesso soggiorno che abbiamo conosciuto come rosso ma dove stavolta vi domina il verde ‘emanato’ dal tappeto (o è una moquette) che non avevamo mai notato ma che ricopre l’intero pavimento. La tavolozza dei colori è totalmente rivoluzionata, stravolta.
Di notte Massimo prende delle pillole nella vana speranza che lo aiutino a fare chiarezza, poi esce di casa, ripreso dall’alto a bordo piscina: questa è diventata un segno orrorifico, un ritaglio verde sporco nel nero della notte. Il collasso della bellezza riflette quello che sta avvenendo nella sua mente.
Se ne ha l’ennesima conferma durante la successiva esibizione al piano della figlia, dove ogni cosa è sprofondata nuovamente in un rosso che non può essere giustificato da nessuna fonte, e che si fa misura cromatica della sua follia. E allora è chiaro quello che sta avvenendo e quello che i D’Innocenzo ci hanno raccontato sin dall’inizio, e non sarebbero servite le parole esplicative dei telegiornali sullo sfondo.
Abbiamo compiuto un itinerario nell’incubo, nel difforme, nel fuori scala di una mente malata. Un viaggio espresso manipolando lo spazio, le architetture, gli arredi, i colori. Perché oggi non c’è nessuno, in Italia, che lavori sui luoghi, fisici o meno che siano, come i D’Innocenzo, nessuno che riesca a piegarli in questo modo alle loro esigenze, nessuno che li rispetti così tanto da farne un cardine della messa in scena. Se ne facciano una ragione anche i propinatori di faccine rabbuiate.
Il film
America Latina
Thriller - Italia, Francia 2021 - durata 90’
Regia: Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo
Con Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federica Pala
Al cinema: Uscita in Italia il 13/01/2022
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video Rakuten TV Timvision Now TV
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