Into the Inferno. Avete presente un pianeta post-umano? Il nome della Universal campeggia su un travelling dall’alto che inquadra le fiamme di una fonderia. I suoni sono quelli industriali delle macchine e dell’alba di un nuovo giorno.

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The Blues Brothers

Una dissolvenza incrociata ci porta ad attraversare altre fabbriche, un paesaggio sconfinato di ciminiere fumanti e infuocate. È uno scenario che sembra quasi anticipare quello della Tyrrell Corporation in Blade Runner (che uscirà due anni dopo) o rifarsi agli abbandonati spazi-mondo di Werner Herzog. È il primo minuto di The Blues Brothers. Un minuto di fantascienza apocalittica.

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The Blues Brothers

Poi passiamo al carcere e alla bandiera americana che viene issata al mattino. Quindi siamo in America E siamo in prigione! All’interno sentiamo il rumore dei passi e quello delle celle che si aprono e chiudono. Non ci sono ancora titoli di testa e uno spettatore distratto potrebbe persino pensare di trovarsi davanti a un documentario. Alcune insegne fuori il penitenziario ci fanno capire che siamo a Chicago, Illinois. Non è un dettaglio da poco per capire l’apertura “industriale” del film.

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The Blues Brothers

Chicago nel dopoguerra del XX secolo grazie ai suoi centri siderurgici arrivò a essere la capitale dell’economia americana. Poi sarebbero arrivati la crisi degli anni ’70 e i licenziamenti dell’era Reagan. All’interno del carcere due guardie trasportano un detenuto tracagnotto. Lo conducono al cospetto di un altro poliziotto interpretato da Frank Oz. Qui possiamo azzardare che è probabilmente in questa scena che la maggior parte dei cinefili degli anni ’80 scopre che Frank Oz è un uomo magro con gli occhiali e non il pupazzo Yoda di Guerre stellari.

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The Blues Brothers

Il detenuto continuiamo a vederlo di spalle. La sua identità ci è negata ma non è difficile riconoscere le inconfondibili fattezze rotonde ed elastiche di John Belushi. A ogni modo l’iconografia del personaggio non passa attraverso il volto, che è in fuori campo, ma per mezzo degli oggetti, degli abiti soprattutto, che lo scazzatissimo Oz gli riconsegna, regalando agli spettatori le prime linee di dialogo del film: scarpe nere, abito nero, cappello nero, occhiali da sole. Sono i tratti distintivi dell’eroe, il look da Blues Brothers che il pubblico del Saturday Night Live al momento dell’uscita del film ha già imparato a conoscere e che nel film di Landis diventa l’equivalente del famigerato “Mi chiamo Bond, James Bond”.

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The Blues Brothers

Chiaro, The Blues Brothers è un grande film in costume. E non ha il peso di creare dal nulla una origin story e un immaginario collettivo. A quello ci hanno già pensato il piccolo schermo e le tournée musicali in giro per l’America di Belushi e Dan Aykroyd nei due anni precedenti. Semmai il film di Landis si assume l’onere di prendere questo mito/look e di farlo esplodere “cinematograficamente” e internazionalmente (non è un caso che il film ottiene un successo all’estero superiore rispetto a quello in Usa).

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The Blues Brothers

Forse è per questo che Landis può permettersi di “inventare” tutto il film, prendendosi rischi, lavorando un primo copione scritto da Aykroyd di ben 324 pagine e facendo lievitare il budget fino a 30 milioni di dollari quasi al solo scopo di divertirsi alla faccia della Universal. Una volta indossati gli abiti neri e gli occhiali scuri Jake raggiunge, fuori dal carcere, il fratello Elwood. La missione dei fratelli Blues può finalmente cominciare.

E così inizia il classico che tutti amano e che tutti ricordano. Ma come la mettiamo con quei primi minuti? Di fatto Landis concepisce l’incipit quasi in antitesi con il luna park che viene dopo. Non c’è musica. I dialoghi sono ridotti all’essenza. I campi lunghi sembrano quasi dilatare il tempo e lo spazio. Allo stesso tempo non c’è da stupirsi: John Landis è un regista imprevedibile, anarchico, capace di cambiare tono, ritmo e genere nell’arco di due sequenze. Non sai mai cosa aspettarti nei suoi film migliori e i primi cinque, magnifici, minuti del suo film più famoso sono lì a dimostrarlo. Un’apertura “autoriale” che è la cifra nascosta di un’opera più apocalittica che integrata.

Autore

Carlo Valeri

Nato a Roma nel 1977, Laureato in Filmologia all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sul remake e a Roma Tre con uno studio monografico su Olivier Assayas, inizia a scrivere per Sentieri Selvaggi dal 2007, di cui è attualmente caporedattore.
Insieme ad Aldo Spiniello è codirettore del bimestrale cartaceo Sentieri Selvaggi 21st.
Ha collaborato con Segnocinema, Revision Cinema, Pointblank e per il programma radiofonico Onde selvagge, ha curato gli ebook Wayward Pines e Blade Runner 2049, ed è coautore dei volumi Il buio si avvicina. Temi, figure e tecniche dell’horror americano dalle origini a oggi, edito da Dino Audino e di Una passione selvaggia. 20 anni di storie (e vite) di Sentieri selvaggi, scritto a quattro mani con Sergio Sozzo. Per la Scuola di cinema Sentieri selvaggi è docente del corso triennale di specializzazione in Critica e giornalismo cinematografico.

Il film

locandina The Blues Brothers

The Blues Brothers

Commedia - USA 1980 - durata 127’

Titolo originale: The Blues Brothers

Regia: John Landis

Con John Belushi, Dan Aykroyd, John Candy, Carrie Fisher, Aretha Franklin, Cab Calloway

Al cinema: Uscita in Italia il 20/06/2012

in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV Microsoft Store