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Hannibal

3 stagioni - 39 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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Immorale

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hannibal

di Immorale
7 stelle

Sangue, cibo e comportamentismo.

La terza incarnazione del temibile serial killer cannibale, dopo quella primeva, breve ma incisiva di Brian Cox (“Manhunter – Frammenti di un omicidio” del 1986), quella iconica di Anthony Hopkins (“Il Silenzio degli innocenti” del 1991, “Hannibal” del 2001 e “Red Dragon” del 2002), porta il volto ma soprattutto il corpo dell’attore danese Mids Mikkelsen. La più estesa e sviscerata, grazie al formato di serie tv, ma con la stessa “base” di partenza, ovvero i libri dello scrittore Thomas Harris (“Red Dragon” del 1982).

 

 

Tutte le tematiche e le psicologie vengono quindi ampiamente approfondite, si conoscono le premesse agli eventi cinematografici, anche se la serie non si colloca in periodo temporale della “saga” ben definito; se ne estrapolano però personaggi e parecchie situazioni, che vengono poi arricchite dalla fantasia sceneggiativa dello sviluppatore Brian Fuller. Caratterizzata da una verve speculativa amplificata e da dialoghi/tematiche sempre accompagnati da una leziosità visiva ipercromatica, quasi mai disturbante.

Il cibo, soprattutto, appare l’ossessione dominante del Lecter psichiatra, che adora cucinare mirabili pranzetti (non per tutti i palati, data la particolarità delle “ricette”) ai suoi amici, tra i quali il coprotagonista Will Graham (Hugh Dancy), la psicologa Alana Bloom (Caroline Dhavermas), l’agente dell’F.B.I. Jack Crawford (il veterano Laurence “Morpheus” Fishburne). Con in più una selva di personaggi ricorrenti, quali il “povero” direttore di un ospedale psichiatrico criminale Frederick Chilton (Raul Esparza) ma soprattutto la collega psichiatra Bedelia Du Maurier (la rediviva Gillian Anderson), personaggio che acquisirà centralità dalla 2^ stagione in poi.

 

 

La stagione d’avvio si sviluppa con le cadenze di un (quasi) anomalo procedurale classico, con Crawford e C. impegnati nella caccia di efferati serial killer, con Graham come consulente e Hannibal a fargli da “supporto” nel corso di sedute psichiatriche, onnipresenti in tutte le 13 puntate che la compongono, caratterizzate da ben calibrati dialoghi e da tematiche stimolanti. Una fase di studio, sia per lo spettatore per iniziare ad entrare tra le maglie del loro complicato rapporto di odio/dipendenza, sia per Hannibal per studiare l’eccesso d’empatia di Will. Se un difetto può essere trovato all’annata introduttiva, questo è rappresentato senz’altro da un lieve autocompiacimento generale, esemplificato dalla pletora di psichiatri/psicologi a “filosofeggiare” sull’animo umano e da un lieve eccesso di “fantasiosi” serial killer ad ingarbugliare il tutto; questi ultimi infatti contribuiscono senz’altro ad alzare la tensione, stupendo per l’efferatezza artistica (esaltata dall’ottima fotografia) con i quali vengono fatti agire, ma d’altro canto portando verso il livello di guardia la ripetitività generale.

 

 

La seconda stagione ha invece il pregio di ribaltare la prospettiva “storica” dei personaggi principali (investigatore/assassino), con una gustosa anticipazione nella prima puntata e un successivo racconto a ritroso sulla presa di coscienza di tale scambio di ruoli, con solo qualche lieve flessione della tenuta del racconto nella fase centrale dell’annata, ma con l’indubbio merito di accrescere le psicologie dei personaggi e di introdurre un gustoso (lungo) cameo del gigione Michael Pitt nei panni dello psicopatico Mason Verger. Fino al finale di stagione, che chiude il cerchio col “flash-forward” iniziale, sanguinoso ed eccessivo quasi quanto la puntata 3x09 del “Trono di Spade” (le piogge di Castamere).

 

 

La terza e conclusiva stagione riparte invece dalla lenta, soggettiva metabolizzazione degli eventi della passata annata, stuzzicante sulla carta ma disastrosa per la decisione di spostare l’azione, per almeno 4-5 puntate in Italia (a Firenze) e, brevemente, in Lituania. In questo frangente la sceneggiatura fa decisamente acqua da tutte le parti (sostituzioni di persona “impossibili” nell’era internettiana), si ricorre spesso all’iperbole (si può soprassedere sul coinvolgimento del giovin Hannibal in famosi delitti seriali avvenuti in Italia negli anni 80 ma confesso di aver temuto il peggio alla visione della magione avita del nostro in terra lituana, incredibilmente somigliante ad una altrettanto spettrale tenuta romena…) e si introducono personaggi inutili ai fini del racconto (Chiyo, interpretata da Tao Okamoto, i “corruttibili” poliziotti italiani), rilevanti forse solo per aumentare il tasso di glamour del fosco “Grand Tour” europeo. Bisogna quindi aspettare l’entrata in scena di Richard Armitage e del suo “Grande Drago Rosso” (puntata 3x08) per far tornare la serie ai livelli eccelsi d’apertura, fino ad un finale (pienamente conclusivo, nonostante si vociferi di una quarta annata) molto azzeccato ed emozionante.    

 

 

Una serie TV superiore alla media, in definitiva, altalenante nella sceneggiatura e egregiamente diretta (anche Vincenzo Natali e Neil Marshall tra i registi coinvolti) ma illuminata dall’estrema complessità della caratterizzazione fornita dal bravo Mids Mikkelsen, magari non in grado di scalzare nell’immaginario collettivo gli attori che lo hanno preceduto nel ruolo, ma senz’altro capace di insidiarne il trono per l’intensità interpretativa e la pacata diabolicità conferita al personaggio. Grazie soprattutto ad una recitazione misurata ed in sottrazione contrapposta alla spesso eccessivamente “empatica” prova fornita da Hugh Dancy (per chi scrive, inizialmente al limite del “miscasting”).

 

Non per tutti i palati ma appetitosa

 

 

 

 

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