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Better Call Saul

6 stagioni - 63 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 1

  • 2015-2015
  • 10 episodi

L'autore

Immorale

Immorale

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La recensione su Better Call Saul

di Immorale
8 stelle

“Ho un amico che conosce un tizio, che conosce un altro tizio…”

La figura avvocatesca è sempre stata molto sfruttata nei telefilm di genere, incredibilmente in chiave quasi sempre positivista (al massimo in lotta contro un sistema imperfetto ma, di fondo, valido), forse per vezzi autoassolutori o per contrastare la cruda immagine reale del tipico “lawyer” made in U.S.A.. I vari “Perry Mason”, “Petrocelli”, “Matlock”, “Law & Order”, “Avvocati a Los Angeles”, “Boston Legal”, “Shark” e i tanti altri coevi cinematografici e televisivi si sono sempre fatti (inconsapevolmente ?) carico di “ripulire” una categoria professionale che, nell’immaginario collettivo, rimane innegabilmente contraddittoria, probabilmente inemendabile.  

Retroterra “culturale” che divide gli avvocati in due categorie: gli intrallazzatori d’alto bordo, associati a studi dai nomi infiniti quali “Smith, Smith, Colson, Ferguson & Adams” che ricevono in studi laccati dalle enormi scrivanie e che “attaccano” in branco, e quelli di piccolo cabotaggio, solitari e dai piccoli studi sul retro di negozi d’auto usate, che ti aspettano all’uscita del tribunale, con le enormi scalinate d’entrata quale terreno di caccia.

 

 

A quest’ultima tipologia appartiene sicuramente l’avvocato televisivo più cinico, maneggione e strafottente degli ultimi anni, “topos” vivente dell’idea che ogni spettatore ha della “specie” (ma dal quale quasi tutti si farebbero difendere in caso di bisogno). Ebbene, anche Saul Goodman ha avuto un’anima. E un’“infanzia” lavorativa.

 

 

Ed anche un altro nome. Si parte quindi dal finale di Breaking Bad e si ripercorre a ritroso l’origine del personaggio, effettivamente poco “spiegato” nella serie madre, se non per le sue indubbie qualità professionali. Si umanizza il contesto, si conosce ciò che resta della sua famiglia, il fratello Chuck, celeberrimo avvocato incorruttibile e tutto d’un pezzo. Quest’ultimo, interpretato dal bravo Michael McKean (famoso per “Laverne & Shirley”), è il vero fulcro della narrazione di questa prima stagione: l’incontro/scontro col fratello, del quale conosce pregi ma soprattutto debolezze, si svolge in varie fasi sia personali che lavorative e si sviluppa fluidamente grazie all’ottima vena del nume Vince Gilligan. Che scolpisce personaggi (essenziale anche l’apporto di Rhea Seehorn, che interpreta la fidanzata di Jimmy/Saul) con le sue inquadrature “spaghetti western”, sempre vaste e dagli improvvisi primi piani, sullo sfondo delle splendide location desertiche di Albuquerque.

 

 

Ma su tutti gigioneggia con facilità l’ottimo Bob Odenkirk, bravo nella caratterizzazione “in nuce” dell’azzeccagarbugli che verrà. Panni vestiti con naturalezza espressiva, fatta di alti e bassi emozionali e parlantina supersonica. Gli fa da contraltare anche un'altra vecchia conoscenza degli spettatori: il Mike Ehrmantraut interpretato dal convincente Jonathan Banks, in una trama parallela che spesso coincide col tema principale, mastodontico e caracollante uomo di fatica criminale, qui ancora in cerca di redenzione.

 

 

Il registro permane drammatico ma con sprazzi grotteschi e da dark/crime comedy più accentuati che in BB. Rimane anche l’uso dell’”intro”, che anticipa o richiama episodi futuri/passati (spesso inerenti la puntata, altre volte il disegno totale della storia), prima della (non) sigla, pochi secondi di immagini e chitarra da stravagante modernariato rockabilly.

 

 

Vince Gilligan si conferma con questa prima annata un narratore di razza, con una capacità di scrittura unica: solido nel raccontare storie originali su basi forse preimpostate, ma senza mai abbandonarsi sugli allori dei pregressi fasti, in una continuità narrativa popolare (senza sottotesti) ma assolutamente godibile. Una squadra vincente che si ripete.

 

 

 

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