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3 ANDAR PER MOSTRE (e trovare il cinema: Julian Schnabel)
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OGNI ANGELO HA IL SUO LATO SPAVENTOSO

 Ancora un motivo per correre a Venezia, ma c’è da sbrigarsi, il 27 chiude tutto, ahimè, dopo solo mercatini di Natale, e poi Venezia è vicina, più della Cina.

Dai Giardini della Biennale a Piazza San Marco il passo è breve, passando per calli e callette fuori mano, dribblando mucchi di turisti agglutinati a fotografare il Ponte dei Sospiri, perdendosi fra i panni stesi ad asciugare in file multicolori tra case strette, canaletti verde muschio e fazzoletti di giardino nascosti da vecchie mura scrostate si arriva al Museo Correr, sul lato opposto della piazza brillano al sole le cupole di San Marco, la Serenissima espone i suoi gioielli migliori e presta i sontuosi saloni da ballo al nostro disperato presente, gli dà forza e coraggio, chissà che non ce la facciamo?

Stavolta è Julian Schnabel, evento collaterale della 54ma Biennale d’arte di Venezia

Julian Schnabel. Permanently Becoming and the Architecture of seeing”.

Un artista che ama il cinema, lo sappiamo, ma un sospetto di furberia l’ha sempre inseguito nel suo lavoro.

Ecco un pezzo da L’Espresso 2010:

Se la sua arte voleva irritare (ci riuscì benissimo usando cocci di piatti rotti), il suo cinema s'è guadagnato giudizi di astuzia mediatica: il film su Basquiat, primo graffitaro di colore assunto tra gli artisti americani, provocò accuse di operazione commerciale a vantaggio del biografato; il film sul poeta incarcerato a Cuba Reynaldo Arenas "Prima che sia notte", generò accuse di anticastrismo; "Lo scafandro e la farfalla", storia d'un uomo paralizzato che comunicava con il battito delle ciglia, si guadagnò critiche di sensazionalismo. "Miral" sembra inattaccabile; ma, come capita, troverà magari i suoi polemisti. Non vale la pena. La furberia non è un reato, né un delitto culturale.”

E allora andiamo cauti e vediamo cosa combina.

C’è un percorso espositivo, un’antologica curata da Norman Rosenthal, 40 dipinti dagli anni ’70 ad oggi.

Texano-newyorkese, Schnabel è un artista che, a fine giro di mostra, fa pensare di non aver usurpato la sua fama.

Da Jackson Pollock a Picasso, Cy Twombly e Gaudì, con rimandi a El Greco e Tintoretto, passando anche per Van Gogh, nulla manca al suo retroterra e alla sua curiosità, e la voglia di dare forma a nuovi materiali, dal velluto alla tela cerata, da pezzi di legno provenienti dai suoi viaggi per il mondo a fotografie, mappe della Palestina, tema a lui molto caro, vele, teloni e piatti rotti (i celebri plate paintings) c’è qualcosa che l’occhio non rifiuta e costringe la mente a pensare.

Ma dov’è il cinema?

Arriva,  e lì ci si ferma con curiosità raddoppiata.

Le tele sono tre, la prima è sullo scalone, il sole del pomeriggio, entrando da sinistra, collabora  con tagli di luce geometrici, una figura bianca, stilizzata, cresce verso l’alto, si piega a destra con gesto grazioso, come un inchino, viene in mente una tromba d’aria che si stacca dal cielo carico di nuvoloni sul fondo, una geisha che s’inginocchia, la scivolata sul surf di Malik ... e Bertolucci

Painting for Malik Joyeux and Bernardo Bertolucci ,2006

Proseguo e stavolta c’è un nome, Antonioni, al centro del quadro, sopra una macchia di vernice rossa che esplode, materica, densa, sembra una enorme accetta o uno strano albero insanguinato.

Dietro, come sfocato, un paesaggio africano, deserto a perdita d’occhio e, in primo piano, un albero magro e un elefante che barrisce.

Julian Schnabel Untitled (Antonioni was here), 2010 Private Collection Courtesy Gian Enzo Sperone and Marco Voena

E’ Untitled, ma tra parentesi è scritto “Antonioni was here”.

Dunque Professione reporter.

Un atto del guardare, nel quadro come nel film, la realtà è apparenza ingannevole, la telecamera registra la sua ambiguità, il pittore la traduce in segno, il pensiero cinematografico fa col piano-sequenza  quello che il pittore elabora con il pensiero visuale, “intraducibile in pensiero logico e in parola, un agire come sollecitazione del  fare e del produrre[1], i due linguaggi producono conoscenza attraverso l’intuizione percettiva (quella che Arnheim chiama “la sorgente base di tutta la conoscenza, una conoscenza del mondo, cioè quella da cui tutto comincia[2]) , l’incontro funziona e produce arte, nuova energia, vita, morte.

Ma il momento più emozionante è più avanti, c’è Jean Vigo

Julian Schnabel Procession (for Jean Vigo), 1979 Collezione dell’artista Courtesy Gagosian Gallery

…Tu, bambino radioso che hai scelto la strada quando potevi evitarla. Ottenuto il successo sei caduto in pezzi, orecchio di Van Gogh! E su quei pezzi sei passato alla storia, sei entrato nel regno degli immortali…

Parole di Schnabel che possiamo riferire a tutte le morti che ha raccontato nei suoi quadri e nel cinema.

Davanti a questa tela si rimane a lungo, è un percorso nel mondo di quel grande bambino che a ventiquattro anni aveva capito cos’è il cinema e in quattro anni disse tutto il necessario. Quindi morì.

L’occhio si ferma sull’intreccio in primo piano, una linea bianchissima su fondo nerofumo, sono Tabard, Caussat, Colin e Briel, i quattro enfants terribles di Zéro de conduite che tornano dalle vacanze estive sul treno fuligginoso, avvolti da ombre minacciose mentre ancora inventano giochi e risate.

Un mondo di adulti li aspetta per tentare di trasformarli in mostri, a propria immagine e somiglianza, ma i quattro zero in condotta faranno la loro piccola, grande rivoluzione e poi fuggiranno sul tetto, verso il cielo che i grandi hanno dimenticato.

Taris ou la natation, un documentario per tuffare la macchina sott’acqua a riprendere la magnifica armonia di un corpo in movimento.

Quel corpo è ora un manichino, solo il torso poderoso, con le braccia spezzate e senza testa, è appena schizzato in primo piano, Jean Taris, ventinove volte campione di nuoto nella Francia degli anni ’30, non nuota più.

E Juliette dov’è? la sua dolcissima joie de vivre, quel sorriso fluttuante nell’acqua, dov’è quella “delicatezza, raffinatezza, humour, eleganza, intelligenza, intuizione e sensibilità” che Truffaut amava tanto?

Sul fondo del quadro c’è un palo a T, due campanelle appese ai bracci suonano, sembra di sentire il richiamo dell’Atalante, la vecchia chiattache scivola silenziosa nella nebbia del canale.

Ci sarà un miracolo a Le Havre? Sembra di sì, Jean e Juliette sono ancora lì ad amarsi, tanti anni dopo, le campanelle si muovono al vento.

_______________________________

Ecco, per quest’anno Venezia ci ha fatto ancora tanti bei regali (e non di mentichiamo il Faust di Sokurov).

Alla prossima, e che il Mose non la distrugga!

(piccola appendice: ho visto da vicino quell’orrore, sta distruggendo la laguna con la complicità di tecnici e politici,e a Chioggia c’era solo un pescatore a protestare con la sua barchetta, un mese fa)

 

Si, ogni angelo ha il suo lato spaventoso, come si diceva all’inizio, e Venezia è un angelo…

 

[1] G.C.Argan, Occasioni critiche, Roma,Editori riuniti,1981, p.47

[2] R. Arnheim, Arte e percezione visiva, a cura di Lucia Pizzo Russo, Centro internazionale studi di estetica, Supplementa, 2005, p.244

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

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