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Gli Iron Maiden sono stati il primo gruppo che ho visto dal vivo. Li vidi in un concerto al Palasport di Firenze, prima di entrare nel quale temetti di perdere, nell'ordine, la vita, le scarpe e gli occhiali.

Ma non è questo il punto. Quello che mi interessa è Steve Harris, membro fondatore, bassista e mente pensante degli Iron Maiden, e non soltanto dal punto di vista musicale.

Anche se in molti casi, nelle canzoni degli Iron Maiden, i testi sono imputabili al vocalist di turno (se ne sono sostanzialmente susseguiti tre: Paul Di 'Anno, il primo, l'impareggiabile Bruce Dickinson, in due riprese, e Blaze Bayley), la maggior parte dei pezzi d'ispirazione letteraria e cinematografica sono opera, guarda caso, del geniale bassista. E non è da escludere che la sua influenza si sia fatta sentire anche laddove le canzoni di derivazione "intellettuale" siano state firmate da altri membri della band. In alcuni casi è difficile capire - qualora Harris e soci non l'abbiano rivelato esplicitamente - se l'ispirazione sia scaturita da un film o dal libro che ne sta alla base: solo per fare un esempio, The Loneliness Of The Long Distance Runner (si trova in Somewhere In Time, 1986) proviene dal romanzo di Alan Sillitoe o dal film di Tony Richardson Gioventù, amore e rabbia? In altri casi la discendenza cinematografica è ipotizzabile con migliore approssimazione. A cominciare proprio da una canzone dell'ultimo album (The Final Frontier, 2010) quella The Man Who Would Be King, firmata Murray - Harris, che porta il titolo di uno dei film più belli di John Huston. Ma già dall'inizio della loro carriera, gli Iron Maiden si erano rivolti al mondo del cinema: anche lo stesso nome del gruppo, del resto, ricalca quello di un film, La vergine di ferro (1962) di Gerald Thomas (che tuttavia non ha niente a che vedere con il celebre strumento medievale di tortura), anche se lo stesso Steve Harris ha raccontato di avere avuto l'ispirazione guardando L'uomo dalla maschera di ferro (1977) di Mike Newell.

I riferimenti al cinema, comunque, percorrono tutta la discografia maideniana, da quello a La stirpe dei dannati (1963) con Children Of The Damned (in The Number Of The Beast, 1982) a quelli a Dove osano le aquile (1969) e La guerra del fuoco (1982), rispettivamente con Where Eagles Dare e Quest For Fire, in Piece Of Mind (1983). I duellanti (1977) di Ridley Scott è rievocato con The Duellists in Powerslave (1984), Mare caldo (1958) di Robert Wise con Run Silent, Run Deep, in No Prayer For The Dying (1990), Un giorno di ordinaria follia (1992) di Joel Schumacher con Man On The Edge, in X-Factor (1995), Apocalypse Now (1979) di Coppola con The Edge Of Darkness, sempre in X-Factor, Quando i mondi si scontrano (1951) di Rudolph Maté con When Two Worlds Collide, in Virtual XI (1998) ed il mio amato The Wicker Man (1973) di Robin Hardy con la canzone omonima, inserita nell'album Brave New World (2000). Ancora nell'album del 1998, Virtual XI, si trova una canzone, The Clansman, che sembra uscita dalle pagine migliori di Braveheart (1995) di Mel Gibson.

Evidentemente, le cavalcate chitarristiche degli Iron Maiden si prestano magnificamente ad illustrare in musica pagine di cinema diversissime tra loro. Ed il gruppo musicale leader di quella che fu a suo tempo definita New Wave Of British Heavy Metal ha spaziato, nelle tematiche delle proprie canzoni, in più o meno tutti i generi frequentati anche dal cinema, dall'horror, ovviamente, alla fantascienza (Caught Somewhere In Time), dal western (Run To The Hills) al film di guerra (The Trooper, Aces High). Ma è anche riuscita a rapportarsi con la migliore letteratura (Phantom Of The Opera, Murders In The Rue Morgue, The Rime Of The Ancient Mariner, solo per citarne tre), con la mitologia (Flight Of Icarus) e con la storia (Gengis Khan, The Ides Of March, Alexander The Great), sempre in maniera intelligente e spesso con risultati che hanno saputo coniugare magnificamente testi e musica. E questo, grazie soprattutto a quel genietto poco appariscente ma efficacissimo di nome Steve Harris.

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