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A nudo: Spopola – Il tempo e la memoria (Era mio padre) – PARTE II
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Segue INTERVISTA (mi scuso per essere stato così lungo da  non riuscire a farla stare  tutta  in un solo post)

 

D.: -Chi è Valerio oggi? In cosa credi possa essere utile la tua esperienza? Come te, ho sempre pensato che oltre la morte non ci sia nulla, solo un naturale processo di disfacimento fisico e corporeo: ciò che vive è il ricordo di chi ti è passato affianco, di chi si è allenato per anni e anni in questa dura palestra. Valerio vuole essere ricordato per…? E non ti concedo la possibilità di bistrattarti…

 

Chi è Valerio oggi, non lo so e preferirei semmai che fossero gli altri a dirmi come mi percepiscono, perché poi è proprio quello ciò che conta veramente (ed io sarei in ogni caso un po’ troppo “partigiano”).

Se ho raccontato così dettagliatamente ciò che mi è accaduto, credo comunque che sia facile comprendere per lo meno come ero, e magari dedurre anche come mi sono trasformato. Mi piace immaginare allora (e forse è solo presunzione) che il percorso possa essere un esempio da seguire, e in ogni caso qualcosa che indica la possibilità di una modificazione strutturale anche del pensiero (non necessariamente tutta in positivo) comunque raggiungibile per  acquisire  una diversa consapevolezza anche di se stessi, perché non è vero che si rimane fermi all’imprintig  di partenza (che c’è ed è fondamentale, che si esplicita persino nel “giudice interiore” e in tutte le teorie a mio avviso un po’ esoteriche che ci girano intorno). Il vincolo è sicuro se si resta fermi, ma io credo davvero che se si vuole, se ci si “muove” un poco, tutti possiamo veramente diventare ciò che vorremmo essere, e anche chi non avrà la possibilità di completare questa importante missione che riguarda poi il completo abbandono della crisalide, potrà in ogni caso essere comunque fiero del percorso che ha fatto per tentare di arrivarci, di come è stato in grado di mettersi  in discussione e di rischiare, provando anche ad imparare a percepire gli altri e i loro bisogni, senza alcuna pretesa di essere l’assoluto portatore di una inconfutabile scienza infusa. Dagli altri si impara sempre molto se si è in grado di ascoltarli, un’abitudine che è ormai rarissima purtroppo, avvezzi come siamo ad avvertire solo i nostri bisogni, una posizione che non ci consente nemmeno di immaginare che qualcuno potrebbe avere idee diverse dalle nostre,  e magari anche più giuste.

Detto questo però, come sarò ricordato  dopo che sarò morto – ammesso che lo sia e che a qualcuno importi –, è un problema che non mi riguarda, proprio perché non  avrò alcuna percezione della cosa.

Tutto qui, quello che posso dire, e in assoluta coerenza con le disposizioni testamentarie che ho lasciato già depositate: “Non desidero preti né funerali celebrativi o di circostanza quel giorno: anche se non ne avrò percezione, preferisco percorrere da solo quell’ultimo tragitto. Non riesco a coltivare il culto dei morti (un atto di assoluta civiltà – si dice – che evidentemente però non mi appartiene) e mi è sufficiente pensare al silenzio e all’oblio perché tutto mi sembri più accettabile e naturale: vorrei poter sparire senza lasciar troppe tracce o rimpianti, ed essere subito riassorbito dalla natura circostante, impercettibilmente e senza forzature, come in una elementare e organica integrazione materica, Niente tombe o monumenti alla memoria allora, non fiori o “funzioni” ipocrite. La scorza terrena, che rappresenta l’unica certezza concreta che conosco, è opportuno allora che venga distrutta subito: che sia incenerita, rigenerata e purificata nel fuoco della cremazione che non lascia altra consistenza se non quella di una sottile cenere grigiastra che le leggi attuali consentono di disperdere nel vento senza che rimangano palpabili memorie da venerare. Così sia fatto allora, senza lacrime o inutili pellegrinaggi commemorativi verso il parco delle rimembranze. E anche la notizia della mia dipartita – ammesso che  interessi a qualcuno – se proprio non si potrà fare a meno di comunicarla, chiedo che venga divulgata solo ad esequie avvenute: sarà tutto più semplice e normale, un fatto “naturale” , l’ inevitabile conclusione di un percorso che vorrei lasciasse poche tracce anche di dolore.

 

D.: - Ritorniamo un attimo al cinema. Primo film di cui hai un nitido ricordo e emozioni provate nel rivederlo a anni di distanza. Come cambia la percezione di fronte ad un’opera statica che non evolve nel corso del tempo?

 

Qui devo ritornare nuovamente – a rischio di risultare monotono e ripetitivo - a un film che ha fatto per me da spartiacque fra “il prima” e “il dopo”, e soprattutto mi ha aperto nuove frontiere di percezione verso un cinema che fosse anche una compiuta espressione artistica. Parlo ovviamente di Hiroshima, non amour di Alain Resnais che mi ha letteralmente travolto (insieme a di Fellini) come mai nessun’altra opera “prima e dopo”. La pellicola è statica, questo è vero, strettamente legata al tempo della sua creazione, ed è innegabile, ma si modificano invece le percezioni, le sensazioni, le nuove scoperte che si fanno a ogni successiva visione. Ho la presunzione di affermare (non solo per ciò che riguarda questi due titoli, ma anche per tutte le altre frequenti revisioni che faccio) che ci trovo sempre qualcosa di profondamente  modificato dentro, e di conseguenza il giudizio si evolve sempre e non è mai “stabilizzato” (forse è per questo che non riesco mai a compilare una classifica delle preferenze che cambiano sostanzialmente anche nel corso di una semplice stagione).

 

D.:  - Cosa deve avere un film per emozionarti? Quali sono gli elementi che ti attraggono e quali, invece, quelli che ti allontanano.

 

Deve soprattutto  “prendermi l’anima”, trasmettermi qualcosa di “profondo”, di “intenso” e che in qualche modo mi potrebbe riguardare anche indirettamente (e parlo sempre e solo di sensazioni, di tematiche e persino di forma della rappresentazione). Detesto invece i film solo “astuti”, la ripetitività, la furbizia intuitiva di voler “seguire”  ad ogni costo le correnti e le mode. Aborro totalmente quel cinema che purtroppo adesso va per la maggiore e che si regge solo sulla battuta senza alcuna idea e costrutto, né mi incanta  particolarmente quello totalmente affidato alla tecnologia  che a mio avviso non è più “invenzione” creativa, e nonostante i mirabolanti risultati, ha perso ogni residuo briciolo di magia. Accetto poco anche l’ambiguità ideologica, soprattutto quando è viziata da un’evidente dose di “opportunismo”.

 

D.: - La prima volta in una sala al cinema con la persona che amavi. Che film avete scelto? Quanto la paura di essere fissati o giudicati, anche per un semplice sfioramento di mani? Quali i pregiudizi superati e quali invece quelli che sono rimasti tabù?

 

E’ stato proprio il cinema il luogo galeotto del nostro  incontro, e quindi è inevitabile che vada a quel momento il mio ricordo immediato (anche se almeno da parte mia non era ancora scoccata la scintilla fatale). La  data, il 6 di gennaio del 1970;  il luogo, il cinema Italia;  il titolo della pellicola. Quando le donne avevano la coda di Pasquale Festa Campanile: ricordo perfettamente quel giorno e quella data, entrambi dentro al cinema per “cuccare” qualche cosa, non certo per la pellicola. E’ lì che lui mi ha “scelto” e voluto ad ogni costo, mi ha provocato con gli sguardi, mi è venuto a cercare, non ha desistito di fronte alla mia iniziale indifferenza… Ma ricordo così bene  persino come era vestito che probabilmente anche senza che me ne rendessi esattamente conto, qualcosa era scattato anche in me fin dal primo momento, anche se ci sono voluti mesi perché ne fossi certo..

Per tutto ciò che è venuto dopo, le scelte sono state solo mie (lui mi è sempre venuto al rimorchio): al cinema però, semmai solo mano nella mano, ma di “nascosto”, niente eccessi o scandalose effusioni.

Ho maggiori ricordi con il Comunale  ed è di quello che vorrei parlare, quando ancora preso dalla passione iniziale, anche Sandro qualche volta si lasciava “trasportare” dimenticando le apparenze da rispettare. Era la prima volta che ci andavamo insieme (abbonamenti di platea allora contenutissimi nel prezzo, che il ’68 aveva reso popolari ed accessibili) per il Maggio di quell’anno  per assistere alla prima della celeberrima , bellissima edizione della Cenerentola di Rossini di Abbbado/Ponnelle con la Berganza, tutti agghindati a festa, persino “gemellati” nell’abbigliamento (una cosa che adesso ci farebbe inorridire entrambi): due identiche  casacche esoticheggianti di un turchese abbacinante e un po’ arabescato che si intonava perfettamente al colore delle sue pupille, acquistate proprio per l’occasione nel negozio indiano (o presunto tale) di Via dei Cimatori, e due eccentrici ciondoli al collo a mò di catenina, forse davvero un tantino “audaci” per quei tempi a completare il quadro, fra gli sguardi curiosi e anche leggermente ironici degli astanti, ma così contenti, cosi pieni di gioioso entusiasmo, da essere totalmente incuranti del “giudizio”, persino fieri di mostrarci anche in pubblico felici e innamorati.

 

D.: - Due film sull’omosessualità. Quale ti ha impressionato per l’attinenza alla realtà e quale invece ti ha fatto incazzare per quanto fosse finto?

 

Ho amato molto I segreti di Brokeback Mountain (parlo di ciò che abbiamo visto insieme) ma per quel che mi riguarda con una preferenza netta per Quasi niente. Di ciò che ho visto in solitaria dopo che sono rimasto solo, scelgo invece Un altro pianeta e ancora A Single Man. Sull’incazzatura non ho alcun dubbio:  tiro in ballo Diverso da chi?  che mi ha particolarmente irritato. In generale comunque non amo  tutte quelle pellicole che riducono l’omosessualità allo stereotipo del cliché che è sempre deleterio.

 

D.: - E, sempre in tema di dicotomie, il film più sopravvalutato e quello più sottovalutato secondo lo “Spopoletti”, il dizionario di critica di Valerio…

 

Per il sottovalutato, non ho assolutamente “dubbi” (e siamo ancora e sempre a Resnais e alla sua capacità di andare oltre prevenendo il tempo e le mode): parlo di un film poco conosciuto e spesso persino sbeffeggiato come “L’amour à mort”.  Sull’atro versante, la lista invece potrebbe essere infinita. Sorprenderò quasi tutti immagino mettendo un po’ alla berlina l’ultimo che mi ha fatto questo effetto (e non intendo certamente dire con questo che il film è brutto, assolutamente no: solo per me “insoddisfacente” e assolutamente non meritevole delle attenzioni e dei premi che ha vinto). Parlo de Il discorso del re, furbissima realizzazione pianificata per vincere ciò che ha vinto. Intelligente, colto ben recitato e con tematiche “appassionanti”, ma tutt’altro che quel gran film che si e voluto considerare (questione di punti di vista, insomma) che io definisco “consumistico”: basterebbe osservare con attenzione le caratterizzazioni dei personaggi secondari e il troppo “miele” sparso per comprendere cos’è che non mi ha convinto.

 

D: - Si gira il film della tua vita. Genere, cast e regia di…? Come vorresti

essere rappresentato?

 

Ti disorienterò, ma adesso non vorrei proprio essere rappresentato da nessuno sul grande schermo se non potessi avere carta bianca sul “rispetto assoluto” della verità dei fatti (cosa molto improbabile al cinema).

Parlando in astratto, avrei potuto “fidarmi” forse  di un Fassbinder per la regia…. E per le intemperanze giovanili della mia esistenza, opterei per  il sofferto volto di Jeremie Elkaim (ma se si dovesse arrivare a parlare anche della maturità, sceglierei sicuramente John Malkovich)  mentre vorrei che a scrivere la sceneggiatura fosse nientepopodimenoche…  Harol Pineter… per il resto invece (musica, fotografia, montaggio, ecc,)  nessuna particolare preferenza: mi “accontenterei” comunque.

 

D.: - Parlaci della tua giornata tipo: interessi coltivati, stimoli, apatie, paure, delusioni di una giornata media. Noi di “FilmTv” ti vediamo sereno, pacato, bonaccione. Ma cosa ti potrebbe far perdere le staffe?

 

Perdo spesso le staffe invece (ma è sempre l’accumulo progressivo della rabbia che mi cresce dentro a farmi debordare). Così, succede che accada magari per un nonnulla e chi si vede travolto dalla mia furiosa reazione, non abbia poi in genere particolari responsabilità: certamente qualcosa mi ha irritato, ma si tratta semplicemente della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, tanto che poi mi vengono giusti rimorsi  che mi costringono a chiedere umilmente scusa. Fortunatamente mi capita quasi sempre di  farlo con chi ormai mi conosce da tempo e magari ci rimane male nell’immediato, ma poi sa farsene  una ragione e riesce anche a capirmi (pensa come sono fortunato!) così che alla fine tutto si ricompone e rimangono solo le tracce della mia amarezza per essermi coi incautamente lasciato andare a sproposito e inopinatamente.

La mia giornata tipo? Ormai è abbastanza inconsistente e priva di impennate. Ogni tanto vago nell’etere (film Tv e pochi altri siti) scrivo qualcosa (non necessariamente solo di cinema) leggo ciò che hanno prodotto gli altri utenti… faccio la spesa, accudisco la casa per quel che posso e solo se mi va, qualche volta vado al cinema ma solo di pomeriggio. Nessuno dei miei interessi più reali e concreti, trova però ancora spazio: li ho lasciati per la strada ormai da qualche anno e non riesco a recuperarli: niente letture di libri (mancanza di concentrazione) niente musica perché mi infastidisce… niente televisione che accendo solo raramente per i dvd e per poco altro. Mantengo impegni esterni  per quel che mi è possibile priorizzando lirica e concerti, qualche cena… ma frequento poco e male anche gli amici: adesso sono abbastanza refrattario persino ad uscire e non mi va quasi mai di veder gente (quando decido di farlo, sono io che scelgo però le persone, il luogo e l’occasione). In genere alle 20 o poco oltre sono già  a letto per  far sembrare così meno lunga la giornata, anche se poi mi sveglio troppe volte nella notte ed è ancora peggio. Tutto qui, ed è davvero poco rispetto alla  frenetica dinamicità della mia  “precedente vita”: decisamente ho perso smalto, interessi e stimoli.

 

D.: -  Nemici, conoscenti. L’universo degli utenti di FilmTv esce dal virtuale ed entra nella tua vita: cosa apprezzi di un utente? Capacità di scrittura, analisi critica o affettività?

 

Soprattutto la spontaneità e la sincerità di ciò che viene postato (o almeno quello che io avverto e riconosco come tali). Anche tutto il resto naturalmente, ma in subordine. Perché parlare poi di nemici anche nel “virtuale”? E’ già così difficile  la vita nel reale che complicarmela anche in questo spazio proprio non mi andrebbe. Conoscenti, certo, ma anche tantissimi “amici” non solo virtuali, persone che ho imparato ad apprezzare e alle quali mi sono  molto affezionato. Alcune le ho incontrate anche nel “reale” e quasi sempre è stata una scoperta in positivo: io credo fermamente nell’uomo e nella sua capacità di “darsi”.

 

D.: - C’è una cosa che non ti ho mai visto sbandierare ai quattro venti (indice di tantissime cose, la riservatezza e l’umiltà che da sempre ho letto in te) e che ho saputo per puro caso: i tuoi libri, due per l’esattezza e un terzo in arrivo? Ti va di parlarcene?

 

Due libri, già, ma non  sono uno scrittore (non avrei sufficiente fantasia ed inventiva per presentarmi in tale veste) o almeno non riesco a reputarmi tale. Sono state due circostanza nelle quali ho avverto questa necessità (la seconda avrei tanto voluto che non si fosse presentata, te lo assicuro) ed è accaduto… l’ho fatto rispondendo anche alle pressioni esterne (editore compreso che da tempo mi sollecitava a produrre qualcosa, tutto qui.

Se il secondo è un specie di elaborazione del dolore, o meglio il tentativo di tenere viva la memoria e con questa il ricordo ripercorrendo le tracce di un’intera vita trascorsa insieme, per provare a riannodare i fili e cercare di riscoprire così, fra nostalgie e rimpianti, dolorose confessioni e rabbiose ribellioni, qualcosa che potesse dare ancora un senso alla mia vita (devo dire purtroppo con scarso successo), il primo è stato invece, come già detto, il mezzo per riconciliarmi con la parte oscura della mia esistenza.  Un qualcosa insomma  che mi mettesse a nudo (un po’ come è accaduto in questa circostanza) ma su tutti i fronti, anche quelli più intimi e scabrosi, perché tutti potessero conoscermi all’occorrenza esattamente per quel sono (stato). No, non ci sarà un terzo libro, perché  non avrei più nulla da narrare (e come ho detto, non so inventare storie, non ne sono capace).

 

D.: - Salutandoci, Valerio ha dimenticato di dire grazie a…?

 

R.  Sono molte le persone che dovrei ringraziare: potrei rivolgerlo questo ringraziamento a tutti coloro che mi hanno voluto un po’ di bene, ma sarebbe troppo generico e di parte… Preferisco allora dire grazie invece a tutti quelli che – anche a loro insaputa, e sono tanti - mi hanno aiutato in qualche modo a voltarmi e a guardarmi indietro, e soprattutto, davvero dal profondo del cuore, “A CHI ASCOLTA E NON GIUDICA” ED E’ SEMPRE DISPONIBILE A CAPIRE E A CONFRONTARSI CON LE RAGIONI DEGLI ALTRI.

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