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L’intenso cinema emozionante di John Cassavetes
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John Cassavetes, controverso regista anticonformista, ha diretto liberamente molti dei suoi film. E sono quelli che io, ma non solo io, amo di più. Film liberi da freni inibitori che mettono a nudo tormenti e incertezze, che sviluppano una forte tensione emotiva descrivendo acuti spaccati della vita di persone particolarmente sensibili, nevrotiche, disadattate, angosciate. Esseri umani in crisi profonda per la difficoltà del vivere e l’ incapacità di comunicare, che, con l’animo sofferente e la psiche traballante per i loro desideri/sogni infranti, si fanno (e fanno ad altri) del male, ad esempio bevendo o tradendo. I film di John Cassavetes che preferisco (magari a volte un po’ pretenziosi) sono in felice e singolare connubio tra cinema e teatro, si svolgono quasi in tempo reale e scavano nei sentimenti che non comprenderemo mai del tutto  come l’amore.  Ma non quando nasce, come han fatto tanti altri registi, ma quando finisce, quando non c’è più o quando ti fa stare male perché ce n’è troppo! Film che analizzano i problemi della classica istituzione borghese che è il matrimonio, in famiglie appartenenti alla classe media americana (ai confini con quella proletaria).

                                             

 John Cassavetes era uomo dal carattere difficile, attaccabrighe poco affidabile, bugiardo, ma regista sincero che adottò la povertà - ma non la semplicità - produttiva e stilistica, il documentarismo, l’introspezione e l’improvvisazione. Lavorava con troupe ridotte per avere più realismo. Insicuro del risultato impressionava tanti rulli di pellicola che poi montava e rimontava (a volte preparò anche due versioni diverse dello stesso film). Si circondava di attori/amici/parenti come la moglie Gena Rowlands - la sua attrice preferita - e gli amici Peter Falk, Seymour Cassel e Ben Gazzara che lasciava liberi di andare ‘a briglia sciolta’, d’improvvisare - ma sempre sotto il suo invisibile controllo - di esprimere esattamente ciò che provavano con spontaneità, vitalità, senza formalismi (ma forse dietro tutto ciò c’erano sceneggiature di ferro...chissà). Qualche cattivo critico americano disse che «dava agli attori abbastanza corda per impiccarsi» e che era un «semianalfabeta, autocompiaciuto, incentrato unicamente sugli attori, incapace di raccontare una semplice storia».

                                                                                  

Cassavetes, nonostante fosse uno sperimentatore ribelle, non disprezzava il cinema classico del passato, anzi lo citò in alcuni suoi film (vedi ad esempio Eva contro Eva e La fiamma del peccato per La sera della prima e Il grande imbroglio e Casablanca per Minnie e Moskowitz), e scelse una sua personalissima via in equilibrio tra la produzione sperimentale e quella hollywoodiana ma alla fine snobbò Hollywood e Hollywood snobbò lui. I suoi film migliori sono quelli travagliati  (soprattutto produttivamente), quelli con le sceneggiature ‘canovaccio’ (molto semplici senza una trama ben definita), con un grande uso di primi piani, piani sequenza, di tecniche inusuali come inquadrature/non inquadrature, elissi, omissioni, salti temporali (come fossero incompiuti), a volte anche con scene sporche e scure, sgranamenti, sfocature, film che così hanno un andamento para documentaristico e ci costringono ad usare l’immaginazione. Quindi al pigro mentale non  piacciono, ‘ci si capisce poco’. Poi ci si misero pure i produttori e i distributori, sempre con le forbici in mano quando si parlava di Cassavetes,  per cui sentiamo il bisogno di una seconda visione per poter meglio apprezzare i suoi film. Film che fino agli anni 70 furono visti solo nei festival ma poi, sulla scia del discreto successo commerciale di Minnie e Moskowitz (1972), vissero un fortunato recupero.

     

 

 

    

John Cassavetes attore, produttore, sceneggiatore, regista e montatore cinematografico  (praticamente padre padrone dei suoi film), nacque a New York  da una famiglia di origini greche nel 1929  e morì a Los Angeles a soli 60 anni.Si laureò nel 1950, amava soprattutto la letteratura e il teatro e dopo aver frequentato un corsopresso l'American Academy of Dramatic Arts lavorò come assistente di scena a Broadway. Nel 1951 iniziò a recitare per il cinema (particina poi tagliata in La 14ª ora diretto da Henry Hathaway) e la televisione, spesso in piccole parti di giovane delinquente e, per produrre i film che voleva realizzare, continuò anche dopo essere diventato un grande regista. Ricordo: Delitto nella strada di Don Siegel (1956); Nel fango della periferia di Martin Ritt(1957); Lo sperone insanguinato di Robert Parrish (1958);Contratto per uccidere di Don Siegel (1964); Quella sporca dozzina di Robert Aldrich (1967, nomination all'Oscar come miglior attore non protagonista); Rosemary's baby di Roman Polanski (1968);Gli Intoccabili di Giuliano Montaldo (1969); Fury di Brian De Palma (1978).Nel 1954 sposò l'attrice Gena Rowlands (conosciuta durante gli studi), meravigliosa interprete di quasi tutti i suoi film. Nel 1956 ideò (con l'amico Bert Lane), un laboratorio di recitazione off-Broadway l'Actor's Workshop, dove insegnò, produsse e diresse i suoi film.

  

                                        

Nel 1959 con 15.000 dollari realizzò il suo primo (e uno dei suoi migliori) film anche grazie ai soldi chiesti agli ascoltatori di una radio (in tempi dove il crowdfunding dei nostri giorni era molto lontano). Ombre (Shadows), che una didascalia finale definisce "un'improvvisazione filmica", già consente di individuare il nucleo dello stile e del metodo Cassavetes. Sensibile ritratto, dal ritmo sincopato, di tre fratelli di colore molto diversi tra loro sia nel carattere che nel tono della pelle (chi è più scuro chi meno) e degli effetti devastanti che il razzismo esercita sulle persone. Il racconto, molto improvvisato, piacevolmente goffo, procede con energia in assoluta libertà. Crudo e spinoso ma emozionante.

 

 

Chiamato ad Hollywood diresse Blues di mezzanotte (Too late blues, 1961), che narra di un pianista idealista e di nevrosi newyorkesi in salsa jazz ma tra le righe si scorge lo stesso regista con i problemi suoi e dei suoi film. Decisamente uno dei meno riusciti, con pochi spunti interessanti.

  

                                         

Il terzo lavoro,prodotto sempre ad Hollywood, cede un po’ alla spettacolarità. Gli esclusi (A child is waiting, 1963) storia di uno scontro/incontro tra un direttore/dottore (Lancaster) e un’insegnante/educatrice (Judy Garland)   che lavorano in un istituto dibambini ‘mentalmente disabili’ (tutti realmente, tranne uno). Il film non soddisfò nessuno, la mancanza d’indipendenza non piacque  al regista ed il film ne risentì. Cassavetes addirittura picchiò il produttore Stanley Kramer reo di avergli ‘addolcito’ il film che doveva essere spinoso e realista come il tema necessitava e Hollywood gli chiuse le sue porte. In seguito i suoi ‘sperimentalismi’ si acuiscono ed iniziò a girare, anche in 16mm, tante ore di pellicola che poi deve ridurre drasticamente.

 

 

Del 1968 è lo psicodramma, nominato agli Oscar per la sceneggiatura originale, Volti (Faces) che narra di reciproci tradimenti derivanti dalle frustrazioni sessuali di una coppia scoppiata. In forma di piece teatrale, più claustrofobico dell'opera prima grazie all'uso del controluce e agli effetti di sfocatura e con un forte senso di dilatazione del tempo. Il metodo dell’ ‘improvvisazione controllata’ inizia a mostrare segni di cedimento ma l’attenzione del regista, attraverso la macchina da presa mobilissima, è ben concentrata su quattro magnifici  volti  che con le loro espressioni(in primo piano) cercano di farci capire cosa provano.

 

                                          

Nel 1970 realizzò Mariti (Husbands,), bel titolo azzeccato, effettivamente si vede una sola moglie e alla fine. Le mogli contano ma sono presenze invisibili. Triste ma scanzonato (chissà se Monicelli fu ispirato da questo film per il suo Amici miei), di acuta autenticità, con un’ affascinante uso del sonoro e della fotografia veri comprimari. E’ la messa a nudo di tre diversi animi umani in bilico tra inquietudine e apparente euforia che raggiunge una profonda intensità  - come solo l’inimitabile Cassavetes sapeva fare  grazie al suo metodo di lasciare massima libertà recitativa agli attori. Tre inseparabili amici, rumorosi ubriaconi ma persone profonde, sono in crisi per la morte del quarto ma la vita continua. Interpretato dai bravi attori (e veri amici) Ben Gazzara, Peter Falk e Cassavetes stesso, forse anche loro  come i personaggi del film erano sempre alla ricerca dell’adolescenza perduta? Nella versione originale dura più di due ore ma la distribuzione italiana tagliò 35 minuti...effettivamente ci sono momenti un po’ tediosi ma altri sono assolutamente impagabili, vedi quando portano tre belle donne in albergo a Londra, per l’originalità dell’introspezione.

  

                                

Anche per il film successivo Minnie e Moskowitz (1972), più professionale ma anche più convenzionale rispetto ai suoi film precedenti, con le solite improvvisazioni e personalissime parodie del genere che in questo caso è la commedia scanzonata ma non banale alla Frank Capra, Cassavetes usò il suo sguardo indagatore sui volti degli attori lasciati liberi di interpretare. Minnie e Moskowitz (la Rowlands e Cassel che, bravissimo, disegna un personaggio unico) non hanno niente in comune tranne i lunghi capelli biondi e la solitudine: lei raffinata impiegata  di un museo (e protestante); lui, a dir poco, bizzarro  posteggiatore attaccabrighe (ed ebreo)...tra litigate e tenerezze s’innamorano e si sposano (col rito cristiano)!

 

 

Tre anni dopo Cassavetes realizzò Una moglie (A woman under the influence, 1975), il titolo originale è un modo popolare per dire di essere sotto l'influenza dell'alcol, del fumo, ma anche delle chiacchere, delle risate e dell’abbandono del  corpo che ne deriva. Forse la migliore interpretazione di Gena Rowlands e uno dei migliori film del regista. Intenso ritratto ed analisi impietosa sul crollo nervoso di una fragile anonima madre di tre bambini, casalinga trascurata della middle class americana, con marito capocantiere di origini italiane tutto preso dal suo lavoro. Delusa e in crisi, per troppo (?) amore  rende impossibile la sua vita e quella dei suoi cari. Beve, tradisce stupidamente il marito ed ha comportamenti pericolosi con i figli. L’amore della sua famiglia e le cure mediche la salveranno dal baratro del ‘male oscuro’? Nel cast i parenti veri degli attori, dai bambini ai nonni. Ottiene un buon successo di pubblico, di critica e due nomination agli Oscar per la migliore attrice e il miglior regista.

   

                       

Il lavoro successivo è il poco compreso  L'assassinio di un allibratore cinese (The killing of a chinese bookie, 1976). “Dovere dei soldi a qualcuno è il più grave peccato del mondo” dice un anziano mafioso quando per un piccolo debito succede l’irreparabile. Uscito tagliato in molti paesi forse per questo è considerato, a torto, un Cassavetes minore ma è stato solamente sfortunato e non capito. E’ una rivisitazione del "gangster movie", l'incontro molto personale del regista con il noir. Ben Gazzara è il ‘one-man show’ del film, dal viso talmente espressivo che  con la sola mimica fa capire tutto (fu definito dalla critica il nuovo Bogart), padrone di uno squallido Crazy Horse dei poveri con ballerine da quattro soldi, frequentato da vecchi ma pericolosi mafiosi.  Antieroe a suo modo onesto perché non accetta compromessi. Anche in questo genere il regista ci regala arguti e dissacranti studi comportamentali concedendo ampio spazio ai numeri degli spettacoli (balletti, striptease e cabaret) che avvengono nella personale 'casa dei giochi' del protagonista.

      

                   

L'anno dopo diresse La sera della prima(Opening night, 1977), vibrante storia di una donna e attrice dal carattere impossibile che non accettando di invecchiare peggiora le negatività che nascono sul lavoro (a teatro) e nel privato (con i suoi ex amanti). Grande esempio di teatro nel cinema e ritratto doloroso di una grande attrice, dove vita e scena si mescolano e si riflettono in un gioco di specchi quando, appesantita dall’abuso di super alcolici tra fantasmi del passato e i suoi uomini che non la cercano più, l’attrice entra in crisi profonda. Alla fine ritrova la forza di recitare e recitare la potrà aiutare a superare i suoi problemi. Altra eccellente, immensa, prova di Gena Rowlands che ci regala un personaggio indimenticabile.

 

 

Il film seguente è Una notte d'estate (Gloria, 1980), seconda rivisitazione del genere noir, sempre con la moglie protagonista. Il film vinse il Leone d'Oro alla Mostra di Venezia ex aequo con Atlantic City, USA di Louis Malle, e ottenne un gran successo di critica e di pubblico. E’ l'opera della maturità di Cassavetes, quella che più mostra i segni del mestiere, meno insicurezza e zero sperimentalismi in corretto stile hollywoodiano...ma è questo il Cassavetes che amiamo? Fuga frenetica di una donna che aiuta, controvoglia, un bambino reso orfano dalla mafia a scappare (certo è una novità che a scappare sia una donna con un bambino). Due persone costrette a convivere che si perdono e si ritrovano, riuscendo a stabilire un intenso rapporto madre-figlio.

  

                                        

Nel 1983,  Cassavetes realizzò Love Streams - Scia d'amore, sempre sui problemi dei rapporti familiari - il tema più ricorrente del suo cinema - sempre con lui e Gena ma questa volta sono fratello e sorella. Ricavato da una sua regia teatrale e da un testo di T. Allan. Immerso in toni di luce e colori calibrati a seconda della scena, il film si chiude toccando argomenti profetici (girato mentre era già malato di cirrosi epatica ma sempre capace di lasciare la sua particolare impronta), con questo moderno Don Giovanni, scrittore dandy di libri  erotici, che pensa alla vita (e alla morte) e alla sua rappresentazione. Orso D’Oro a Berlino ma la critica non si emozionò e lo considerò “un prodotto commerciale non stimolante come gli altri suoi lavori migliori”.

 

 

Nel 1986 chiamato a continuare le riprese al posto di Andrew Bergman, diresse l'ultimo film Il grande imbroglio (Big trouble, 1985) commedia nera che ricorda La fiamma del peccato, unica sua regia su  sceneggiatura di altri, con i suoi due amici Peter Falk e Alan Arkin, che non riconobbe come suo film per l'ingerenza della produzione.

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