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Ai Weiwei Libero...a Venezia.
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Chi ha avuto l'occasione di passare da Firenze tra settembre del 2016 e gennaio di quest'anno non ha potuto non imbattersi nel poster a sfondo fuxia con il faccione dell'artista cinese Ai Weiwei.

Proprio tra ottobre e dicembre, per motivi personali, mi ritrovavo spesso nel capoluogo toscano. Sempre di corsa, con i minuti contati ad incastrare i miei impegni con gli orari dei treni e dei pullman da prendere. Gli occhi curiosi di questo cinese erano ovunque: sui muri, affissi alle porte dei negozi e dei locali, sui finestrini dei mezzi pubblici. La fretta non mi faceva mai soffermare su questo artista dal nome simile alla marca di un cellulare. Ma una sera d'inverno, mi ritrovai davanti a Palazzo Strozzi e lì fu davvero impossibile non bloccarsi a bocca aperta davanti ad una istallazione tra le più provocanti e riflessive che mi sia capitato di osservare negli ultimi anni. Tutte le finestre del famoso palazzo fiorentino erano diventanti enormi gommoni rossi, quelli utilizzati per il recupero degli immigrati che arrivano dal mare.

L'ingresso alla mostra mostrava ancora il viso del cinese dagli occhi curiosi: "Ai Weiwei libero" era il titolo di questa bellissima retrospettiva dedicata a Weiwei, che da mesi gira per tutta l'Europa e il mondo e che in Italia ha trovato la sua locazione proprio in Firenze.

Ho conosciuto così Ai Weiwei, ed è stato amore immediato. La mia pigrizia me lo aveva fatto trascurare per molto tempo, conoscendolo esclusivamente per i suoi scatti irriverenti davanti ai monumenti e ai luoghi più simbolici di tutto il mondo, non avevo conoscenza del suo profondo impegno sociale e della sua arte tanto provocatoria.

Per me che credo profondamente che niente capiti per caso, è stata una bella sorpresa scoprire che l'artista cinese sarà presente in concorso alla 74° Mostra del Cinema di Venezia con un documentario: “Human Flow”.

scena

Human Flow (2017): scena

Credo che la scelts da parte del più prestigioso festival cinematografico italiano di dare spazio -proprio in questo momento- ad un documentario sull'immigrazione sia meritevole e di gran coraggio. Un documentario in concorso, non relegato a qualche sezione marginale. Un film in concorso di un regista artista tra i più irriverenti e politicamente impegnati di questi ultimi anni. Ai Weiwei ha dedicato tutta la sua vita all'impegno politico, dissidente da sempre ha sacrificato la sua libertà personale in nome dei diritti civili e alla lotta nel suo paese per la conquista alla libertà di espressione artistica e di pensiero.

Sono molto orgogliosa quindi che questo documentario sia presente in concorso alla Mostra.

Ai Weiwei ha 57 anni, diplomato all'accademia del cinema si è però inizialmente dedicato quasi esclusivamente alla pittura. Dagli inizi degli anni '80 comincia la sua carriera artistica partendo da New York per poi farsi conoscere in tutto il mondo. Ma l'ambizione di Weiwei è quella poter lavorare liberamente in Cina, ed è proprio a Pechino che riesce ad aprire 2 grandi laboratori artistici. L'opera di Weiwei spazia dalla pittura, alla scultura all'architettura, fino a grandi istallazioni di forte impatto visivo.

E' stato tra i primi a capire l'importanza dell'utilizzo dei social anche per scopi artistici e sociali. Nel 2006 il regime cinese gli chiude infatti il suo blog diventato troppo provocatore nei riguardi della Cina comunista e seguito da milioni di utenti in tutto il mondo.

Nel 2011 viene recluso per 81 giorni in un luogo segreto per la sua opposizione al regime, essendosi rifiutato di chiudere un suo studio artistico a Pechino e per la dura opposizione alle pratiche burocratiche e politiche del suo Paese.

Ai Weiwei è stato recluso agli arresti domiciliari per molti anni, veniva costantemente spiato dagli agenti di polizia cinese in borghese e gli era stato ritirato il passaporto impedendogli di uscire dalla Cina.

Tutto questo non gli ha impedito di continuare il suo percorso artistico e di rivolgere la sua attenzione e il suo impegno verso ciò che reputa ingiusto. Solo da pochissimo tempo è ritornato nuovamente libero di circolare per il mondo.

scena

Human Flow (2017): scena

Durante il suo primo viaggio in Sudamerica proprio in riferimento a “Human Flow” l'artista cinese ha detto: “Ti coinvolge, prima a livello emozionale, sento di essere molto vicino a quella gente, che si trova in una situazione disperata. Hanno perso tutto, vengono in un paese con i figli in braccio, non parlano la lingua, hanno abitudini o religioni molto diverse. Mi trovavo su una spiaggia, ho visto 20 o 30 imbarcazioni arrivare in una notte. Vedi quella gente così disperata e poi ho pensato: cosa posso fare? Non posso offrire loro nulla, non posso nemmeno offrire loro un tè, e nessuno, nessuno Stato europeo li ha davvero aiutati”.

Cosa posso fare io per aiutarli?” una domanda che forse tutti noi, nel nostro piccolo ci si dovrebbe porre; senza essere dei grandi artisti dissidenti, magari non spaventandoci per 10 persone di colore che arrivano nei centri di accoglienza del proprio comune.

 

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