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Il peggior nemico
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Io sottoscritto End User dichiaro di avere visto Dunkirk in Spagna e quindi non posso in tutta onestà aderire all'embargo imposto dalla distribuzione italiana in occasione delle anteprime stampa. Ciò detto non sono neanche sfiorato dall'idea di esibirmi in una recensione e, soprattutto per rispetto verso i lettori di questa newsletter, non anticiperò alcun elemento che possa anche solo vagamente essere inteso come spoiler.

I fatti raccontati dal film sono noti, sono storia: centinaia di migliaia di soldati britannici sono restati sulle spiagge di Dunkerque (Francia) per una settimana in attesa di essere riportati in patria. Ordinatamente incolonnati in file, hanno atteso sulla spiaggia e sui moli di imbarco che venisse il loro turno di salire sulle navi, operazione di salvataggio resa sostanzialmente impossibile dai bombardamenti operati dagli aerei tedeschi. A risolvere la questione interverranno centinaia di barche civili salpate dai porti britannici che porteranno in salvo i soldati anche sottoponendosi a numerosi viaggi di andata e ritorno.

Seduto di fronte ad uno schermo immenso attendo l'inizio del film e sento dentro di me una quieta assenza di aspettative. Nolan mi piace ma non sono fanatico della sua intera filmografia al punto di attendere Dunkirk in maniera febbrile. Verso i film di guerra classici ho sempre provato un vago disinteresse accentuato da un certo distacco sia rispetto alle storie vere sia rispetto ai film di ambientazione storica. Sono felice di poter assistere alla proiezione di un film che si preannuncia spettacolare, su uno schermo gigantesco e con un audio avvolgente ma non avendo accumulato una specifica attesa non avverto alcun piacere nel fatto che Dunkirk in Spagna sia uscito con più di un mese di anticipo rispetto all'Italia.

Mi trovo insomma nella condizione ideale per essere sorpreso e catturato, cosa che avviene a partire dalla prima straordinaria sequenza: una fuga a perdifiato di due soldati tra le strade di Dunkerque bersagliati da cecchini tedeschi, culminata con l'arrivo su una spiaggia virata tutta sui toni dal bianco al grigio plumbeo in cui spiccano le figure di migliaia e migliaia di soldati in attesa, dei quali si vedono principalmente gli elmetti, eletti a vero e proprio, esilissimo, simbolo di difesa dal nemico. Esterno.
Un nemico di cui si avverte la pressione, la cattiveria, la presenza ma che non si vede quasi mai, ha forma di bombe che cadono dall'alto, di proiettili che sibilano nelle orecchie, di minacciose silhouette sfocate all'orizzonte, il nemico esterno in Dunkirk esiste ma è puro dato di fatto. Quindi astratto, in un certo senso.

Quel che conta nel film di Nolan è il nemico interno, il peggiore. Oppressi dall'esterno i corpi dei soldati si contraggono ma mantengono le fila; rintanati in una barca sulla battigia che attende la marea e sottoposta al fuoco dei cecchini (invisibili) un gruppetto di soldati sperimenta l'insorgere della sfiducia in sé e negli altri; ultima figura in fila sul molo bersagliato dalle bombe tedesche, il comandante dell'operazione di salvataggio, resiste e crede, crede e resiste, guarda il mare con speranza, la terra con paura e l'aria con apprensione. Ed impedisce con tutte le sue forze al nemico interno di impossessarsi di lui, di annebbiare le sue scelte, di minare la propria fiducia. A volte continuare a sperare significa interrompere la comunicazione con la realtà esterna, concentrandosi solo sulle proprie risorse, qualsiasi esse siano. Fossero anche solo i propri corpi, semplici involucri di vita obbligati a considerare la possibilità di morte.

Con Dunkirk siamo soldati semplici in fila protetti solo da elmetti, siamo comandanti che non mollano, siamo civili che sfidano il mare con piccole barche in nome di un'idea, siamo fuggiaschi costretti dalle circostanze a ritornare verso il luogo dal quale fuggiamo, siamo piloti senza carburante che accettano una lunga caduta silenziosa. E ciò nonostante non smettono di sperare, sparare, colpire.

Ed il gioco è fatto. Dunkirk entra dentro attraverso gli occhi e le orecchie, deposita una straordinaria quantità di immagini e suoni di estrema qualità, ma poi se vibra davvero è perché inizia ad allargarsi, si fa strada di sinapsi in sinapsi, di cellula in cellula, si espande e poi comincia a spingere, per uscire di nuovo, per rompere l'embargo al quale siamo sottoposti. A volte da noi stessi, i nostri peggiori nemici.

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