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Martin Landau: un attore semi-dimenticato
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In molti casi, essere un buon attore non significa avere successo, diventare una stella. Tutt’al più si diventa un bravo comprimario, un ottimo caratterista e, a volte, neanche quello. Spesso mi sono chiesto perché attori come Barry Sullivan, Burgess Meredith, lo stesso Wendell Corey, di cui già mi occupai una volta, e tanti altri, non siano mai stati baciati dal successo. Eppure non riesco a immaginare film come L’APE REGINA (1955) senza Sullivan, o TOM, DICK E HARRY(1941) o anche L’ASSOLUZIONE(1981) senza il grande Burgess o LA FINESTRA SUL CORTILE o LE VIE DELLA CITTA’ (1948), IL ROMANZO DI THELMA JORDON (1950), L’ASSASSINO E’ PERDUTO(1956) senza Wendell. E così per tanti altri. Il cinema è spesso, troppo spesso crudele: le sue regole nulla hanno a che vedere con la logica, con la costruzione seria di un progetto che poi vada a buon fine. E’ capace di esaltare nullità interpretative come Troy Donahue, Bruce Willis o Stallone e lasciare nell’oblio grandi interpreti, colpevoli di non essere stati capaci di far scattare una scintilla.

C’è una chimica ancora sconosciuta nel processo di innamoramento così come ci sono percorsi imperscrutabili nell’esplosione di un divo. Attori che avrebbero potuto dare tanto e non è stato loro concesso. Dino de Laurentiis, per fare un esempio, non voleva Andrea Checchi nel ruolo de IL BANDITO (1946) di Alberto Lattuada: non era l’attore secondo lui che poteva decretare il successo. Solo un attore poteva assicurarlo e cioè Amedeo Nazzari. Lattuada insisteva per Checchi, ma Dino l’ebbe vinta ed ebbe anche ragione: il film ebbe un grande successo. Eppure Checchi era attore forse ancora migliore di Amedeo. Ma il pubblico vedeva in Nazzari qualcosa che andava al di là dell’uomo: era un sogno di tanti italiani e italiane, stremati dalla guerra e dai patimenti, bisognosi di un “eroe” che riscattasse una vita grama, fatta di miseria e umiliazioni.

Anche Martin Landau, nato nel 1928 a New York, e morto in questi giorni, non mai stato un divo. Eppure, le capacità e il talento li aveva: nel 1955, su 2000 aspiranti, solo lui e Steve McQueen furono ammessi all’Actor’s Studio. Non starò qui a fare le solite litanie dei film interpretati, non è questo il luogo. Mi piace invece ricordarlo per alcune sue interpretazioni che, per me, sono indimenticabili, come il ruolo del capitano Koenig della serie Spazio 1999 (anni ’70), antesignana di Star Trek. Una serie, si badi bene, in bianco e nero (almeno in Italia), senza effetti speciali di grande rilievo (pur se accurati), ma scritta bene, con tematiche e dialoghi intelligenti.

Lo ricordo poi nel ruolo secondario in INTRIGO INTERNAZIONALE (1953) di Hitchcock. Qui Landau non rivela particolari capacità: è solo un “cattivo”, perdente e senza pregi particolari.

Il film invece che, a mio avviso, ne rivela il talento è CRIMINI E MISFATTI di Woody Allen. Interpreta un chirurgo affermato, Judah Rosenthal, ebreo (come lo era nella vita reale) ma ormai staccato dai riti e dalla fede, a differenza del fratello, rabbino con la disgrazia di avere una malattia che lo renderà cieco. Ha una famiglia, una moglie che lo ama, gode della stima della società. Intrattiene però una relazione extra-matrimoniale con una hostess (Anjelica Huston) che si invaghisce di lui perdutamente e rischia di sconvolgere la sua vita. Malgrado cerchi di troncare il rapporto, capisce che la sua amante è decisa ad andare fino in fondo, a denunciare la relazione a sua moglie ed assestare un duro colpo al suo prestigio di perfetto marito e uomo di scienza. Decide allora di porre fine alla faccenda, chiedendo ad un suo parente, un criminale, di far fuori la sua amante. Cosa che avviene. Ma la sua formazione religiosa lo mette in crisi insinuando in lui il tarlo del rimorso, del peccato che deve essere espiato, salvo poi scoprire, un giorno, che nulla è successo, che la sua vita continua e tutto è dimenticato. E’ il film più cupo e pessimista di Allen e l’interpretazione di Landau è assolutamente straordinaria.

La maschera di quest’uomo, ormai anziano, preoccupato soprattutto che la sua posizione sociale non venga scossa, roso dal rimorso anche se, in fondo, disposto a rifare quello che ha fatto, è memorabile. Come avviene in tanti attori, le rughe e i segni del tempo hanno affinato, accentuato, migliorato le capacità mimiche e il talento d’attore.

La tipologia umana interpretata da Landau in questo film, diretto da un grande Allen, mette a nudo la sostanziale ipocrisia della società “bene”, perfetta in superficie e capace, in realtà, delle peggiori nefandezze. Ma il film di Allen va più in là: Dio è solo un mito e addirittura pare che il destino si diverta a premiare i disonesti, senza religione, senza codici d’onore, senza regole civili da rispettare, senza valori e punire chi conduce una vita basata sul comportamento etico, sull’osservanza delle leggi e dei codici morali su cui dovrebbe reggersi una società civile. E’ in realtà un mondo alla rovescia dove tutto sembra dare ragione al Male. Landau è l’esempio tipico dell’uomo di prestigio, da tutti stimato e ritenuto un modello di virtù civili e professionali, in realtà un essere senza scrupoli, ipocrita e meschino, cui la fortuna e il successo arridono , segno questo inequivocabile, per Woody Allen, dell’inesistenza di Dio. Un gran film, con un formidabile Martin Landau.

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