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Alberto e Nanni. Dialogo sulla meritocrazia
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Roma, un giorno di fine 1978. Un giorno tipicamente romano, incontestabilmente sereno, dai ritmi lenti, percorso da gioia, rassegnazione, paura. Una mattina soleggiata, con poco e gradevole vento, orde di passeggeri assonnati eruttati fuori dal quel mostro totemico che è la metropolitana. La gioia di quella mattina è un sentimento che somiglia ad una depressione reattiva: per le strade si spara ancora, un anno e mezzo prima Re Cecconi è stato ucciso da un gioielliere; ed era un calciatore, non un professionista delle P38. Una cappa di fuliggine sull’animo. Una improvvisa decelerazione delle aspettative di futuro. Una incombente e sconveniente follia dell’esistente, la bramosia di vivere, la necessità di accaparrarsi ogni stagione, prima che sia troppo tardi. L’inverno, ma anche l’Estate Romana voluta da Nicolini, un happening forzatamente festoso, l’ellissi del negativo, l’imposizione dell’attivismo caotico, forse un po’ coatto. Anche in quel giorno di fine 1978, la mattina romana non può che iniziare con un caffè. Trastevere, bar di moda. Al bancone sono vicini due strani personaggi: un uomo di mezza età, con i capelli ordinati, appena qualche ruga, sorriso che la dice e la sa lunga. Ed un ragazzo zazzeruto, con baffi d’ordinanza e polacchine di serie. Sembra reduce da un concerto degli Inti Illimani. Ha sonno, e si vede. Sbadiglia e si volta. E’ un attimo: occhi dentro gli occhi. I due si conoscono, e si riconoscono.

ALBERTO SORDI. Io lo so chi sei tu.

NANNI MORETTI. Chi sono?

A.S. Sei quello che mi ha preso per il culo. Sei un presuntuoso ragazzaccio che ha fatto un film e mezzo e già pontifica. Ma il Papa polacco è mejo de te, damme retta.

N.M. Alberto, ma tu sei un mito. Intoccabile come tutti i miti. Ed io ho semplicemente voluto evitarti il rischio impolveramento, l’alea della merda di piccione sul monumento. Ti ho reso dinamico, ho cantato le tue gesta eroiche, riconoscendone la adattabilità ad ogni singola tipologia di cittadino romano e, dunque, italiano.

A.S. Sei un paraculo da niente. Guarda che ti ho visto, durante il dibattito con Mario Monicelli. Ti ha massacrato, te e la tua aura da patito non gaudente, le tue espressioni da intellettuale dei miei stivali, il frasario trascinato stancamente. La puzza sotto al naso. Vivi, ragazzo mio. Non blaterare sulla vita. E ti sentirai meglio.

N.M. Monicelli aveva una giacca da borghese impunito. Il gusto della salacità annoiata che hanno quelli che ce l’hanno fatta. Io sono un apprendista, e come tutti gli apprendisti devo cogliere più velocemente degli altri i segreti del mestiere. Devo rubarli, carpirli con veloce ratto, adattarli a questi anni pesanti. Tra qualche anno ne riparliamo.

A.S. Te sei ‘n furbo. Te sai che fai ridere, che sai cogliere i tic di quelli come te. Di questo te ne rendo merito. Ma allora perché prendersela con i miti del passato? Lo sai chi sono, sono stato e ancora sarò io? Io sono tutti gli italiani, io sono un caleidoscopio di idee, pensieri, azioni, omissioni. La vedi questa faccia? Questa faccia è un tracciato radar di vizi e virtù: questa faccia è bontà e scaltrezza, coraggio ed ignominia (La grande guerra, ti dice niente?). E’ il volto di un italiano. Ed ogni italiano se la merita, perché ogni italiano è come me, incoerente, sbrindellato, pasticcione e di buon cuore. Anche tu te lo meriti, Alberto Sordi. Tu che sei romano de Roma e racchiudi in te tutto un mondo.

N.M. Alberto, e del prendere una posizione? Che mi dici? Dell’operare differenze? Del lottare per un ideale? Dell’esprimere, finalmente, un solo sentimento che sia immediatamente riconoscibile, senza perdersi nella duplicità gattopardesca dell’italiano medio? Ci hai mai provato?

A.S. Non riuscirai a farmi sentire un complice di Videla. Qui non siamo in Argentina. Siamo liberi, tutti. Ed è una fortuna che ci consente di prendere la vita con qualche maggior grado di rilassatezza. Nonostante i morti ammazzati, la paura, le pistole, i coprifuoco serali.

N.M. Quella pistola (anche metaforica) che tu hai perfettamente usato nel borghese piccolo piccolo. Ecco: il ragionier Vivaldi è un cuginetto stinto e stitico di Videla, il vendicatore solitario alla Charles Bronson, il mediocre di pensiero che affoga la disperazione nella violenza. Un perfetto esemplare di vecchio dei ’70. Un artritico che va a letto con un cappelletto a cinque punte, come la famosa stella. Uno che ha già finito i suoi giorni e non lo sa.

A.S. Ma te allora? Vado alla festa, non vado alla festa? Chi vuoi che se ne importi se una mosca tze tze quale sei imponga la sua funerea presenza in un consesso di divertimento? E poi: metti le mani addosso ai genitori, fai finta di essere progressista e lasci da sola la tua amica autistica per giocare a pallone con gli amici. Tu sei un violento represso, pronto ad essere arruolato nelle BR. Potresti sparare, se solo avessi il coraggio di comprare una pistola.

N.M. C’è un gap generazionale tra noi, evidentissimo. Tu ami gli italiani proprio perché fanno schifo. A me fanno schifo perché sono incapace di amarli. E non vedo ragione per farlo.

A.S. Invecchierai anche tu. E se, nel 2000, si dicesse: “Te lo meriti, Nanni Moretti!”?. Si è sempre i vecchi zimbelli di qualcuno, ricordalo. Ci sarà a quell’epoca un giovane che guarderà a te come al portato/precipitato di un modo di sentire le cose ed il cinema ormai sorpassato. A meno che tu non ambisca al soglio pontificio, per dissimulare una saggezza che non hai.

N.M Non sarei in grado. Penso che opporrei un gran rifiuto.

A.S. Però hai già messo in conto il conclave, bravo.

N.M. Alberto’, tu mi rimani comunque simpatico. Come può esserlo il poster in camera di un divo del passato.

A.S. Aridaje! Te meno (anche nel senso di picchiare), con ‘ste scarpe tutte sporche, con la para rosicchiata. Ma che c’hai i topi in quella camera dove rivedi i tuoi super 8?

N.M Io mi vesto per esprimere il disagio ed il disprezzo per quelli come te.

A.S. Ora te lo faccio passare io il disprezzo, che poi è solo fame. C’hai n’aria pessima, e sono le 10.00. Vie’ qua, che ci prendiamo una pastarella. Pago io, nun te credere. Ce lo meritiamo, un bel maritozzo.

N.M. Io non so. Tu te lo meriti, Alberto Sordi!

A.S. Mo’ però hai rotto er cazzo!!

 

 

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