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Quando Blade Runner uscì nelle sale, nel 1982, il 2019, anno in cui si svolge la pellicola di Ridley Scott, pareva posizionato in un luogo assurdo del futuro. C'erano solo 37 anni di mezzo, ma il passaggio di millennio, forse, faceva sì che quel futuro sembrasse, oltre che inimmaginabile, anche inarrivabile e imprendibile.

Ora che siamo nel 2017, ora che abbiamo raggiunto sostanzialmente il film, viene spontaneo pensare che la visione di Blade Runner non si sia avverata. Non che non esistano schiavi ma non sembra si possano considerare replicanti. E Los Angeles non sarà la città più vivibile del pianeta ma non è avvolta nella nebbia né perennemente sottoposta alla pioggia.

Stimolato dall'uscita del trailer di 2049, il sequel di Blade Runner di Denis Villeneuve che uscirà nelle sale ad ottobre di quest'anno e che sarà ambientato evidentemente, nel 2049, ho voluto fare un esperimento e mi sono dedicato alla ricerca di testi che affrontassero in maniera realistica gli scenari di vita umana nei dintorni del 2050. Scartando visioni troppo catastrofiche che prevedono asteroidi o pianeti che colpiscono la terra, anche se proprio qualche giorno fa un'insospettabile e seria testata giornalistica ne ha dato notizia "certa", guerre nucleari che la distruggano integralmente, anche se la Corea del Nord ci sta provando, sono incappato in un notevole articolo del Guardian (sempre sia lodato) scritto da Yuval Noah Harari, professore universitario israeliano, in cui ha costruito una visione realistica eppure profondamente provocatoria basata sull'assunto che, nell'arco di una trentina di anni da oggi, la maggior parte dei lavori sarà sostituita da algoritmi, fatto che produrrà una massa enorme di esseri umani non solo senza occupazione ma addirittura non occupabili, privi cioè della reale possibilità di lavorare nel mondo reale. Un esercito di individui che avrà solo la possibilità di popolare, attraverso avatar e corpi digitali, universi di matrice videoludica creati da una nuova generazione di professioni; persone reali dentro a corpi virtuali che si muoveranno in spazi immaginari, ai quali potrebbe venire garantito una specie di sussidio universale minimo per garantire loro la sopravvivenza.

A coloro che pur riuscendo ad accettare la visione di un mondo così strutturato, si chiedono che tipo di significato possano avere vite di questo genere, relegate ad esistere solo in funzione ed all'interno di mondi immaginari, Harari risponde con l'ultima e la più drammatica delle provocazioni: non c'è nulla di nuovo, da sempre gli uomini sono stati capaci di muoversi all'interno di falsi spazi, siano essi geografici, filosofici, ideologici o religiosi, e di trovare nell'aderenza a questi spazi un pieno senso del loro esistere.

In Blade Runner gli schiavi erano repliche umane a tempo determinato, relegate in colonie extramondo che facevano ritorno a un mondo governato da potenti multinazionali del commercio e dalla logica del conflitto. Harari sposta l'asticella ingabbiando umani e avatar nella virtualità, immaginandola non come luogo di pena in cui covare vendetta sociale, dal quale bramare ritorno, ma come spazio interconnesso, in cui trovare soddisfazioni e senso e trasferendo, forse, in essa anche la risoluzione di eventuali conflitti, senza il peso, l'ostacolo, i limiti del corpo. Estrema, perfetta soluzione a basso costo di controllo sociale.

Nel trailer di Blade Runner 2049 rilasciato la settimana scorsa, tra creatori e creazioni, uomini e ologrammi, esterni ancora immersi nella nebbia e interni ipertecnologici e retrofuturistici, si parla di classi e divisioni, di muri, di ordine, di controllo e ci si fa un'idea di come Villeneuve immagini il 2049. E voi? Come immaginate il futuro?
Potete confidarvi usando lo spazio commenti che trovate qui sotto. Potete indicare un film che vi pare l'abbia rappresentata. Un sogno che vorreste diventasse realtà. E potete dire che, a volte, si fa fatica anche solo ad immaginare come arrivare a fine mese (in tal caso potete usare la nota abbreviazione FM).

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