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Uno sguardo a Est. Far East Film Festival # 19.
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Bingbing Fan

I Am Not Madame Bovary (2016): Bingbing Fan




Tre giorni pieni, un pomeriggio e una mattinata: questa la mia sortita – sull'onda del ponte lungo del 25 aprile – in quel di Udine, terra di confine e crocevia preziosissimo di un intero mondo – cinematografico e non – di cui non conosciamo che brevi espressioni, fulmini che squarciano un cielo di abitudini e culture.
Il Far East Film Festival, giunto alla diciannovesima edizione, permette questo e altro: sempre più lanciato, sempre più una conferma di un lavoro certosino e di cui rimangono tracce necessarie, solchi destinati a restare nelle memorie e nell'immaginario collettivo.
I “nostri” inviati speciali-ufficiali-letali (e sì, pure un po' – decisamente –, pazzerelli), Alan Smithee e Supadany, ci hanno fornito già dai primissimi giorni opportuni e accurati resoconti, recensioni, documenti; mi limito pertanto a brevi considerazioni personali nonché a una finale carrellata dei film visti (26, non male direi) corredata da mini-commenti (innanzitutto, un promemoria per il sottoscritto, piuttosto e anzichenò).

Del cinema asiatico anche lo spettatore occasionale ha avuto modo di assaggiarne l'“aliena” materia. Assumerne così, senza soluzione di continuità, con un fantastico fuoco di fila che non lascia scampo alcuno (scampo no, sushi e altre prelibatezze tipiche sì: una costante, le scene durante i quali si preparano/consumano/divorano squisitezze che creano una fame atavica. Maledetti!) è un'avventura ai limiti dell'incredibile.
Spettacolare e assurda.
Come per osmosi, il FEFF riflette, appieno e in modo sublime, la realtà cinematografica che propone: veloce, velocissimo, e dinamico, acceso e felicissimo, folle e variopinto, libero e anarchico, implacabile e sorprendente, giovane e divertente, grandioso e stratificato, esaltante ed estenuante, coinvolgente e incomprensibile.
E folle (ah, l'avevo già detto? Beh, lo è due volte, e più!).
Un caleidoscopio straordinario di film, figure e facce (non ultimi i giovanissimi volontari, preparati e cortesi: ma dategli un riconoscimento, soprattutto economico, no?!) a un ritmo così sostenuto, vorace, immersivo, capace di proiettarti in un fantasmagorico continuum spazio-tempo: una dimensione parallela e sospesa nell'iperspazio delle esperienze “altre”, in sostanza; nel quale, finanche le più piccole, banali attività e cosucce del quotidiano (tipo effettuare visite di cortesia nelle patrie latrine, per dire) rivestono la qualità di un'impresa eroica, degna di encomi e tributi e standing ovation.
Folle (e tre).
Nel complesso, ça va sans dire, vivere (e sopravvivere al)l'evento significa oltrepassare, facilmente, la mera cortina della (retorica della) curiosità: si tratta insomma di un organismo vivo e vibrante e vivace; e la discesa nei territori di una/tante civiltà differenti, diretta (alle più conosciute realtà dalla Cina, Giappone, Hong Kong si aggiungono quelle di Malaysia, Filippine, Laos, Taiwan, Thailandia …).
Impagabili, infine, le presentazioni delle varie opere (a cura di Sabrina Baracetti: corsa ed entusiasmo che si trasmetto, all'istante, al numeroso pubblico), arricchite dalla presenza di autori, registi, produttori, sceneggiatori, interpreti (ok, nota di costume: la costante, salvo rare splendide eccezioni, perlopiù ascrivibili all'universo femminile – che madre natura sia lodata! – è l'abbigliamento, come dire, non propriamente elegante … prevalgono infatti elementi, ancorché dotati di una simpatia immediata e fulminea, che paiono fattorini delle pizze, turisti smarriti, sciatti impiegati del catasto). Si sarà capito, no? Un salto, o due, o tre, al Far East – e alla sua sede, il Teatro Nuovo che, nei (tanti) momenti di piena, ospita una fauna umana (e disumana …) splendida –, fatelo: non ve ne pentirete.
Seguono film visti in rigoroso ordine cronologico con relativi brevi commenti e voti.

[ i migliori: I Am Not Madame Bovary, Canola, Split e Extraordinary Mission; i peggiori: Vampire Cleanup Department, Policeman and me, My Stupid Boss, Vanishing Time. ]

Buona lettura.
Arigatò.




1) The city of betrayal.
La “città” del tradimento, invero, non si vede granché; le dinamiche e conseguenze, e come questo venga vissuto, in una realtà così lontana (geograficamente e culturalmente), sì. Piccola opera che evita le trappole della retorica o del manicheismo optando per uno scavo psicologico/sociologico, fatto di parole e gesti e imbarazzi e sorprese, di un incontro tra solitudini calato nei nostri, caotici tempi. Non stratificato come dovrebbe né originalissimo, tuttavia offre momenti preziosi e uno sguardo attento ai suoi protagonisti – lui, l'immancabile perditempo che si fa mantenere dalla compagna, e lei, donna matura, moglie insoddisfatta.
Voto: 6,5.

2) Goodspeed.
Il sottotitolo che si legge nel programma è già … un programma: «Gangster meets Taxi-Driver» (ma sono tutti bellissimi!). “Classico” prodotto asiatico – targato Taiwan – che coniuga e frulla, felicemente e sapientemente, generi, codici, registri, ritmi, letture. Un on the road sui percorsi assurdi eppure convincenti di una violenza stilizzata, di un umorismo irresistibile (stra)fatto di grottesco e malinconia, di una galleria di personaggi pazzeschi, di una conclusione perfetta per equilibrio e sintesi. Grande Michael Hui nei panni del tassista che non ha (forse) più niente da chiedere alla vita.
Voto: 7,5.

3) Satoshi: a Move for Tomorrow.
Oplà, il biopic made in Japan. Come (spesso) per i prodotti a stelle e strisce, un'opera che si limita alla presentazione e al racconto cronachistico del soggetto in questione, Satoshi Murayama. Un genio nell'arte dello shogi (variante degli scacchi, le cui regole e persino pedine si rivelano astruse) segnato, sin dai primi anni d'infanzia, da una malattia debilitante e cronica. La parabola esistenziale di costui è descritta infatti attraverso questi due aspetti: l'ossessione per il gioco, e per l'infallibile rivale, Habu, da un lato, e la caducità di un fisico inadeguato attaccato, infine, dal più bastardo dei mali, dall'altro. Nel mezzo, dell'uomo, non resta granché … Come da copione, grande interpretazione per il protagonista, Ken'ichi Matsuyama: un lavoro di mimesi formidabile, un ingrassamento incredibile per il ruolo (il regista ha ammesso l'ispirazione dal De Niro di Toro scatenato), eppure l'attore (assai celebre in patria, da noi visto in Death Note e Norwegian Wood) era presente in sala in perfetta, invidiabile forma. Ovviamente grandi applausi …
Voto: 4.

4) The Prison.
Action thriller convenzionale e confusionario ambientato quasi interamente in una prigione: detenuti criminale, direttore e guardie criminali, e un potente boss a regnare, dentro e fuori (la particolarità risiede appunto in ciò: la libertà di uscire in piena sicurezza dalla prigione per commettere reati d'ogni specie), finché un determinatissimo poliziotto infiltrato (è una questione personale, of course) scombina carte ed equilibri … Per un po', il film regge; col passare dei minuti, progressivamente, perde lucidità rivelando una debolezza e un'approssimazione di scrittura indigeste (sebbene il regista sia stato presentato come grande sceneggiatore!). Finale caratterizzato da gran ritmo e un sonoro martellante, botte da orbi – con tipo ventidue-ventitrè ribaltamenti negli esiti degli scontri –, esplosioni, guardie che all'improvviso spariscono, situazioni discutibili e una chiusa a dir poco risibile.
Voto: 4.

5) Vampire Cleanup Department.
Mah. La curiosità per la natura stramba dell'opera lascia presto spazio alla banale realtà: trattasi infatti, semplicemente, di un action fantasy a tema vampiri adatto irrimediabilmente a un target adolescenziale. E null'altro. Tristezza (per la perdita di tempo).
Voto: 2.

6) Derailed.
Teen drama sudocoreano dalle tinte forti ad intensità crescente. Ritratto di una realtà dura nel quale due coppie di giovanissimi disadattati affrontano una problematica quotidianità fatta di piccoli atti delinquenziali e l'indifferenza diffusa nella società. Il precipitarsi degli eventi – a causa di un tentativo di ricatto ai danni di un viscido padrone di un karaoke bar dietro al quale si cela un'attività di prostituzione minorile – è reso in maniera convincente, solida e mai compiaciuta, nonostante i picchi di violenza e le situazioni difficili. Sensibilità nella rappresentazione dei personaggi, sguardo sincero e una messa in scena efficace, ne fanno un film prezioso. Consigliato.
Voto: 7,5.


7) Close-Knit.
La storia (perché è importante). Una bambina undicenne vive con la madre irresponsabile e assente. Letteralmente. All'ennesima fuga del genitore, trova accoglienza in casa dello zio materno e la sua fidanzata, un(a) transgender in attesa della “trasformazione” definitiva in donna (anche, e soprattutto, giuridica). Alla confusione iniziale segue la nascita di un nucleo famigliare amorevole ed esemplare. Ok, l'argomento non solo è spinoso ma rischia altresì di generare stucchevolezza diffusa e, ancora peggio, di naufragare negli stepposi territori del politicamente corretto. Questo film giapponese elude il rischio grazie a una composizione autentica e credibile, senza cedimenti di sorta, trovando un equilibrio mirabile tra dramma e commedia, tra narrazione e contenuti, tra istanze sociali e umorismo (impagabile il funerale dei peni!). Emozionante.
Voto: 8.

8) At Cafè 6.
In flashback, da una caffetteria (sul finale se ne scopriranno origini e motivazioni), il racconto di un classico, un sempreverde: l'amore ai tempi del liceo, e la sua evoluzione nel corso degli anni, tra ostacoli e incomprensioni e cambiamenti. Coming of age magari scontato ma ben gestito, con coda finale tragica e colpo di scena che non delude affatto. Piacevole.
Voto: 6,5.

9) Vanishing Time: A Boy Who Returned.
Fantasy per giovani con punti di contatto con il kinghiano The Dome ma in genere con tanta altra produzione cine-letteraria. La derivatività, infatti, è una roccia che le varianti del caso non riescono a scalfire; piattezza e superficialità in alcuni passaggi, fanno il resto. Oltretutto, la vicenda non riesce mai ad appassionare veramente. Trascurabile.
Voto: 4.

10) Mr. Zhu's Summer.
Dalla Cina con candore, la complicata grigia esistenza di Mr. Zhu, uomo e insegnante, tesa tra insoddisfazione lavorativa (non è particolarmente stimato da colleghi e superiori) e subalternità alla fidanzata (più bella, intelligente, appagata ecc.), senza contare la continua bullizzazione subita da un'assortita coppia di studenti scorretti dedita a scherzi feroci. Il film sviluppa – in maniera didascalica ma comunque efficace e coesa – la maturazione dell'uomo in seguito a una serie di circostanze sfortunate e felici sorprese. Coinvolgente la scena della corsa. Gradevole.
Voto: 6.

11) Bluebeard.
Negli anni, la cinematografia sudcoreana ci ha regalato autentiche perle thriller (un titolo su tutti: Memories of Murder), intrise di magnifica vitalità e stupefacente consistenza estetico-narrativa-tematica. Orbene, Blubeard segue lo stesso tracciato; peccato si perda strada facendo. Teso e solido, ottimamente girato e interpretato (personaggi incisivi, costruzione della tensione vigorosa, sostanza visiva compatta), fino a tre quarti di pellicola, si affloscia malamente in una doppia risoluzione apparentemente affascinante (per la natura distorta di incubi e memorie ha qualcosa in comune con H) che rivela invece debolezza strutturale, carenza di idee e superficialità. Occasione sprecata.
Voto: 4.

12) My supid boss.
Oibò. Irricevibile. Commedia demenziale indonesiana coloratissima (influenze bollywoodiane palesi) e scemissima. Diverte – si fa per dire – per circa cinque minuti (più che altro come osservazione antropologica): ripetitività e schematicità imperano tra le irritanti faccette/smorfie della protagonista e la detestabile, ridicola figura del “boss” del titolo. Davvero, un grosso grasso umorismo troppo lontano per gusto e sensibilità. Imperdonabile, infine, la svolta buonista del finale.
Voto: 1.

13) Over the fence.
Rapporto problematico di coppia: lui, divorziato, cerca uno sbocco professionale in una scuola di falegnameria; lei, instabile emotivamente e fragilissima psicologicamente. Buona caratterizzazione dei personaggi, prevedibilità nelle svolte, toni dolceamari e messa in scena coerente con l'anima sospesa dei paesaggi umani.
Voto: 6,5.

14) Mrs K.
A sentire il regista, ci sono più influenze western (spaghetti e non solo) che dell'action hongkonghiano. Ehm, no: è esattamente l'opposto, se si considera che di western al massimo vi sono, a tratti, musiche dalla vaga ascendenza morriconiana. Paternità cinematografica a parte, il film promette tanto – il ritorno sulle scene di una donna tostissima, dal passato oscuro e criminoso, per salvaguardare la figlia e la famiglia in genere in pericolo – ma mantiene pochissimo. L'ironia latita, i corpo a corpo e le sparatorie annegano nel già visto e comunque non sono granché spettacolari, il ritmo altalenante, la narrazione poco fluida e confusionaria; l'attrice, inoltre, è una Michelle Yeoh di riporto. Evitabile.
Voto: 4.

15) Hirugao.
Premessa doverosa. Il film è stato presentato in pompa magna con regista, attori, produttore ed emittente televisiva nazionale giapponese al seguito. E sì: trattasi di anteprima mondiale per una produzione, in uscita in patria a giugno, destinata a grandi incassi. In particolare riflettori, luci e attenzione (in primis la fotocamera del mio smartphone …) sono per Aya Ueto (già splendida presenza in Thermae Romae), semplicemente fantastica: si presenta, in italiano, poi, con grazia e sensibilità tutta nipponica, prosegue e pare non finire più. Meravigliosa. Ah, il film. Costruito ad arte per fare breccia tra le emozioni del pubblico, è una storia di amore e tradimenti ricattoria e manichea (terribile il personaggio della donna tradita), con ambizioni poetiche (lo studio sulle lucciole) e passaggi narrativi soapoperistici. Rimangono un finale decente e la performance di una sprecatissima Aya Ueto.
Voto: 4.

[ notare la spilla-piuma, simbolo del Feff, appuntata sul vestito. Che grazia ]


16) Split.
Redenzione e riscatto e temi alti (l'autismo) sotto forma di dramma sportivo. Lodevole opera sudcoreana che raggiunge un equilibrio pressoché perfetto tra azione, drammaticità e commedia. Venato da un umorismo sottile e intelligente, Split avvolge e coinvolge con una elaborazione narrativa esemplare (una volta tanto, la svolta è, non solo funzionale, ma pure necessaria), personaggi (e interpretazioni) memorabili, tenuta solidissima, regia sicura e contenuti portati a compimento. D'ora in poi, quando si parlerà di bowling nei film (sì, lo “sport” in oggetto è proprio questo), non si potrà non tenere conto di questa bellissima sorpresa.
Voto: 8,5.

17) Scoop!.
Caratterizzato per buona parte da una comicità greve e (felicemente) volgare, questa storia del non più giovanssimo fotografo Shikuza – una vita spesa alla ricerca di culi e tette da sbattere sulle pagine delle riviste di gossip, sbronze colossali, amicizie pericolose e piaceri carnali occasionali –, subisce un'impennata brusca e incoerente verso una tragicità appesantita da ambizioni evidentemente malriposte. Non si crede, purtroppo, al repentino cambio di registro, all'enfasi drammatica, all'ingrossamento del racconto, al finale con messaggio. Buone a ogni modo le performance di Masaharu Fukuyama (apprezzato in Like Father, Like Son) e dell'“allieva” Fumi Nikaid?.
Voto: 6.

18) Dearest sister.
Film del Laos – giusto la decima produzione di quel Paese (con partecipazioni francesi ed estoni) –, diretto da una donna, Mattie Do che in sala dà spettacolo intrecciando italiano, inglese e un sacco di parolacce. Un vulcano. Dearest sister, oltre alla sua particolare appartenenza, è un discreto horror psicologico e d'atmosfera, con buone idee visive e buona descrizione di ambiente (la cugina che viene dalla giungla proiettata in una realtà urbana ricca), personaggi e loro evoluzione, ma anche con diverse ingenuità di fondo (la “sorella” vede la gente quasi morta che le spiattella i numeri della locale lotteria. Bel finale.
Voto: 6.

19) Canola.
Il titolo si riferisce ai colori e all'essenza degli stupendi fiori gialli. Il film più emozionante (ok, lo confesso: un paio di lacrimuccie hanno solcato il mio valdemariano volto, nel buio della sala, mentre il concerto di fazzoletti su nasi soffiati era inarrestabile). Un componimento autentico e appassionante dalla realizzazione drammaturgica eccellente (e malgrado i rischi, data la portata ingente della storia, colma di accadimenti tragici e rivelazioni), un racconto dalla misura e dalla delicatezza incredibili, un afflato poetico-artistico sublime. Indimenticabili i due personaggi, la giovane nipote da un lato, e la meravigliosa nonna dall'altro (raffigurare così la vecchiaia è un dono per cui non si può che ringraziare). Forse si dilunga per venti-venticinque minuti, ma chi se ne frega: nel finale si vola altissimo, ancora (si percepiscono i suoni e i colori e gli odori e il vento nella corsa della bambina nel campo dei fiori gialli, sotto lo sguardo meraviglioso della donna anziana). Toccante e imperdibile.
Voto: 9.

20) Love and other cults.
Ancora storia di giovani emarginati, tra tentazioni della criminalità (attenzione: il boss Kida è il Denden di Cold Fish) e satira sui fanatismi religiosi. Cromatismi pop-punk, sussulti di violenza e sesso, inserti brillanti, passo zoppicante e narrazione caotica (personaggi che si perdono, poi si ritrovano, altri spariscono, senza mai un senso concreto: un pasticcio), ne fanno un film di formazione tutt'altro che necessario. Peccato non aver saputo sfruttare Anthony, gigante afro-nipponico simpaticissimo.
Voto: 4.

21) The Last Princess.
Biografia storica dell'ultima, dimenticata principessa della Corea, Deokhye. Contiene tutti i limiti e tutte le caratteristiche del dramma in costume “tratto da una storia vera”. Didascalismi ed enfasi drammatiche imperano, senso patriottico e spirito identitario pure (in Corea del Sud ha incassato oltre 40 milioni di dollari). Rappresentazione, messa in scena, interpretazione, emozioni indotte, colonna sonora e montaggio da copione. Rimane la scoperta di un pezzo di storia sconosciuto, ai tempi della crudele colonizzazione della Corea per mano dei giapponesi.
Voto: 4.

22) My Uncle.
Ecco un caso emblematico di occasione persa. Parte benissimo, con il bambino che, come compito scolastico, decide di raccontare lo zio fannullone-scroccone-immaturo nonché sedicente filosofo. Esilarante, incessante, l'ispirato umorismo – colto e nerd – gravita attorno alla figura dello zio sotto la cui maschera – un misto tra l'imperturbabile e lo stordito cronico – agiscono la bravura e la complicità di Ry?hei Matsuda (Izo, Nightmare Detective, Big Bang Love, Juvenile A). Evidentemente per non cadere nella reiterazione di schemi e situazioni, il regista, anziché proseguire con l'impagabile diario del nipote intelligente e molto più maturo, apre una parentesi amorosa esotica (trasferta nelle Hawaii) che non si chiude più finendo con l'attenuare, persino spegnere, il fuoco dell'ironia e la vitalità del personaggio. Mah.
Voto: 5,5.

23) I Am Not Madame Bovary.
Riceve sul palco il gelso d'oro alla carriera, lo stimato regista e autore Feng Xiaogang (Aftershock, Back to 1942, The Banquet). I Am Not Madame Bovary è una magnifica allegoria – kafkiana e satirica – del mastodontico, immoto, rigido apparato burocratico cinese. Con le armi del paradosso, dell'ironia pungente e sagace, del rigore della messa in scena (magnifica composizione delle inquadrature, eloquente vena immaginifica), della direzione degli interpreti (la donna, assoluta protagonista, è un'irriconoscibile Fan Bingbing), dell'implacabilità dell'impianto narrativo-tematico, della ineluttabilità del percorso studiato (a molti sarà perso “lento” e statico, ma un fiume deve fare il suo corso), Feng Xiaogang realizza un'architettura filmica impressionante e ingegnosa. Da non perdere.
Voto: 9.

24) Seclusion.
Erik Matti è tra le nuove leve del cinema filippino, quello di genere. Seclusion è un horror satanico-religioso che frulla miti e falsi profeti (la bambina Anghela, presenza inquietante che andava utilizzata meglio e di più), rituali e aspiranti sacerdoti, preti scomunicati e preti rigorosi, presenze sinistre (la suora tentatrice e bellissima) e dimore infestate, per assemblare un Male angosciante e insinuante. Messa in scena sicura, originalità latitante. Amen.
Voto: 6.

25) Policeman and me.
Uhm. Teen comedy dall'assunto discutibile – l'amore (presunto o vero) tra una studentessa sedicenne e un poliziotto di dieci anni più vecchio – e dal prosieguo ancor più incomprensibile. Dalla commedia scolastica a quella sentimentale non manca nulla, piuttosto sconcertano tanto alcune soluzioni risibili (l'elegia del lavoro del poliziotto) quanto, ancor di più, la pericolosità nella trattazione e conclusione dell'argomento. I titoli di coda, comunque, accompagnati da una canzoncina pop, danno l'esatta collocazione dell'opera. È roba sciocca per adolescenti, con l'aggravante di contenuti come minimo controversi.
Voto: 3.

26) Extraordinary Mission.
Un poliziotto cazzutissimo sotto copertura (uno dei registi è l'Alan Mak di Infernal Affairs …) nelle fauci della criminalità organizzata cinese (droga, corruzione di pubblici ufficiali, ammazzamenti e torture, apparato militare: what else?), una discesa sempre più rischiosa fino al famigerato, pericolosissimo “Triangolo d'oro”. Canonico e magari prevedibile, narrativamente esagerato, ma la lunghissima conclusiva overture action, poderosa e parossistica, è pura, poetica, fottuta visione per e pulsazioni cardiache. Roba analogica e furiosa di stunt selvaggi, regia da manuale, ritmo indiavolato in una terra in cui persino il diavolo in persona se l'è data a gambe, lavoro enorme e magistrale di montaggio e fotografia, conclusione che concede un attimo di respiro. In patria sta incassando, giustamente, tantissimo. Astenersi fan di sciocchezze fastandfuriousiane. L'action abita qui.
Voto: 8,5.


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