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Rileggere Kracauer. Note a margine per la Giornata della Memoria. Parte seconda
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DA CALIGARI A HITLER. UNA STORIA PSICOLOGICA DEL CINEMA TEDESCO

 

Nell’opera, ampia, curatissima nelle fonti, divisa in sezioni cronologiche che partono dalla nascita del cinema (1895) e si soffermano a lungo sulla fase cosiddetta “arcaica” per poi passare al primo dopoguerra, c’è un capitolo centrale su cui è utile soffermarsi per avvicinarsi con qualche strumento in più al senso della Shoah,aberrazione della storia che non si può liquidare come follia collettiva tout court. Capire come si possa essere arrivati a tanto attraverso un lungo processo di gestazione da cogliere anche attraverso quei micro-sistemi che tendono a passare inosservati è un imperativo a cui Kracauer non si sottrae.

La sezione, intitolata Il periodo pre-hitleriano (1930-1933), si occupa di anni cruciali durante i quali maturò il passaggio al nazismo di un’intera nazione e fu accettato con totale adesione un regime che cominciò da subito a configurarsi come una religione.

Che il nazismo con tutto il suo apparato scenografico, con le sue liturgie, con l’annullamento dell’individuo e l’esaltazione della massa sia stato il punto di arrivo di pulsioni inconsce, desideri e paure ampiamente presenti nella società tedesca tra la fine della Grande Guerra e il crollo della Repubblica di Weimar è cosa nota.

Prima delle cose ultime, lavoro degli ultimi anni di vita di Kracauer, conferma, alla luce dell’esperienza, l’assunto di base del suo pensiero: i segnali dei grandi eventi storici sono nascosti fra le pieghe della vita quotidiana, dunque anche nel cinema e nella fotografia, mezzi capaci di rivelare e rendere tangibile quel mondo dell’impermanenza in cui migliaia di faglie ingoiano gli eventi richiudendosi sopra di loro e impedendo una visione d’insieme motivata e organica.

La mentalità collettiva di un popolo diventa, alla luce di questo teorema, un oggetto visibile, che traspare nelle scelte dei suoi artisti-demiurghi, intenti a plasmare la materia molle attinta dal terreno sociale trasformandola in immagine, film, oggetto d’arte.

Come prodotti culturali in grado di esprimere lo spirito di un’epoca, i film di cui Kracauer fa un elenco ragionato rivelano inquietanti tendenze della società tedesca verso quella che lui definisce “regressione collettiva”.

La storia ha confermato quanto il fenomeno sia consueto, travalichi ampiamente i confini europei, e sia soprattutto “banale”. Dunque una mappatura delle correnti carsiche presenti nel corpo sociale, prima delle cose ultime, non può che dimostrarlo.

__________________________________

Il periodo pre-hitleriano (1930-1933)

(saranno recensite le prime quattro sezioni del capitolo, tralasciando la quinta, meno significativa ai fini del tema in esame)

SEZIONI

1.Canti e illusioni

2.L’assassino è tra noi

3.Timide eresie

4.Per un mondo migliore

 

1. Canti e illusioni

E’ questo il momento del passaggio dal muto al sonoro, ma come ai tempi del muto anche “il cinema parlato continua ad essere socialmente rivelatore”. I valori visivi del muto, dotati di forte “carica simbolica”, tendono ora ad essere sopraffatti dal dialogo in cui prevale la “carica intenzionale”, ma i buoni registi (Pabst, Lang) “ricorsero ad ingegnose trovate per conservare il predominio della dimensione visiva”.

In questa fase (siamo alle soglie della caduta della Repubblica di Weimar e in piena crisi economica, dopo il crollo di Wall Street che aveva tagliato tutti i prestiti alla Germania) il governo Bruning si mostra particolarmente censorio dietro le pressioni di nazisti e gruppi reazionari. E’ nota la durissima contestazione di All quiet on the western front , 1929, di Milestone

//www.filmtv.it/film/21380/all-ovest-niente-di-nuovo/recensioni/500144/#rfr:film-21380:

I nazisti boicottarono la prima del film a Berlino lanciando topi in platea, il fascismo lo proibì in Italia dove fu proiettato soltanto nel 1956 in una versione censurata, ovunque le polemiche infuriarono e tanti cuori s’indignarono. Non fu piacevole vedere in lunghi piani sequenza le dirette dal fronte, sentir martellare obici per minuti e minuti ed esplodere granate da tapparsi le orecchie, veder morire adolescenti dal viso dissanguato e gambe amputate, padri di famiglia che a casa avevano campi da arare e crepavano in una buca scavata dalle bombe.E non fu carino nemmeno proiettare la diretta della vita di trincea. Perché dire in giro come si moriva di fame e di sete, e come si ammazzavano i topi quando arrivavano all’assalto e come s’impazziva a sentir urlare il compagno vicino? Perché far sapere che lì gli uomini diventavano talpe o vermi della terra, lì mangiavano, si dissetavano, defecavano, dormivano e morivano, e poteva capitare di non farcela più e correre come pazzi verso il reticolato e la "terra di nessuno", popolata di cadaveri di entrambe le parti e feriti che urlavano il loro dolore inumano fino al dissanguamento.”

Raro caso di denuncia reale dei disastri della guerra, voce fuori dal coro quella di Milestone, fu ben presto sepolta dal fiorire di film caratterizzati da generico ottimismo ed esuberante euforia, come se, afferma Kracauer, “si sentisse il bisogno di credere che tutto andava bene”.

Ora che la crisi economica minacciava di rovesciare l’ordine esistente delle cose, la gente pareva ossessionata dal timore di una catastrofe e cercava quindi di illudersi in tutti i modi che il suo mondo sarebbe sopravvissuto.”

Film segnalati:

Gran fioritura di polizieschi (mystery thrillers), melodrammi di ambiente berlinese, Kulturfilm su paesi esotici o temi scientifici.

Spicca nel mucchio Istruttoria di Siodmark , abile drammatizzazione di un caso giudiziario.

L’ottimismo forzato del momento è presente ne La melodia del mondo di W.Ruttmann e Il canto della vita di A. Granowsky, film conditi di canzoni e accomunati da una visione edulcorata della realtà tendente “a convincere che tutti, anche i meno privilegiati, erano soddisfatti della loro sorte”.

 

Titoli come Denaro per strada di G. Jacoby, Domani staremo bene di K. Gerron, La segretaria privata di W.Thiele avevano gran seguito di pubblico a cui importava solo che l’eroe, o l’eroina, fosse disoccupato, disperato, e quindi toccato improvvisamente dalla fortuna.

I tedeschi dovevano essere proprio sull’orlo della disperazione per accettare il concetto di fortuna strumento di successo, totalmente estraneo alle loro tradizioni” aggiunge Kracauer.

La contessa di Montecristo di K. Hartl e la grandiosa fioritura dell’operetta chiudono questa rassegna di “narcotici dello schermo, che volevano dimostrare che anche la vita di ogni giorno è un racconto di fate”.

Ma intanto Hitler cresce, alle elezioni del 1930 prende una valanga di voti anche se si registrano ancora resistenze e atteggiamenti contraddittori dell’elettorato. Il conflitto è fra ragione e impulsi emotivi, “ i tedeschi, restii ad affidare le redini ad Hitler, erano d’altro canto ben disposti ad accettarlo. Poiché sul piano politico erano contrari a Hitler, la loro strana predisposizione al credo nazista doveva scaturire da tendenze psicologiche più forti di qualsiasi scrupolo ideologico”.

2. L’assassino è tra noi

Seconda sezione del capitolo, fa perno su uno dei capolavori di Lang, L’assassino è tra noi, poi diventato M, il mostro di Düsseldorf, e su L’angelo azzurro di Von Sternberg.

Entrambi film chiave dell’espressionismo tedesco, girati nello stesso anno, 1931, per Kracauer sono “testimonianza della situazione psicologica del momento” .Il cinema tedesco si è liberato dal letargo in cui ristagnava, “la Germania è prossima ad una crisi politica, e quindi a una crisi culturale ed estetica” si sostiene in giro.

I due film “penetrano nelle profondità dell’animo collettivo prima completamente ignorato … sono improntati ad uno spirito di responsabilità verso ogni cosa enunciata, sono prodotti di uno spirito liberato dal letargo”.

Storia erotica e saggio sul sadismo”, L’angelo azzurro è oggetto di una lunga, capillare analisi che mira a dimostrare come sia rintracciabile nella figura del professore un modello (presente anche in protagonisti di film come L’ultima risata, Sylvester, La Strada) di quella tendenza regressiva (“invece di maturare il personaggio archetipo subisce un processo di regressione che si compie con ostentata autocommiserazione ) che anticipa quello che sarebbe accaduto di lì a poco nella vita reale.

Due personaggi spiccano nel quadro degli avvenimenti: il pagliaccio … e il bidello della scuola che assiste alla morte del professore ... Quali che siano i loro sentimenti essi si astengono dall’intervenire. La loro silenziosa rassegnazione ricorda la passività di molti sotto il totalitarismo

M, il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang

“ Perché questa congiura incomprensibile contro un film su Kurten, l’assassino di bimbi di Dusseldorf”

Questo chiedeva il regista al direttore dello studio in seguito a lettere minatorie ricevute e al divieto di girare nello studio di Staaken. Ma quando, nella sua irruenza, Fritz prese per il bavero il povero tapino, vide sul risvolto il distintivo nazista e capì.

Il Partito temeva di essere chiamato in causa. Lang disse che quel giorno maturò politicamente” commenta Kracauer.

Ma dunque cos’aveva l’assassino di Dusseldorf per suscitare le reazioni alterate e indubbiamente nevrotiche di chi si sentiva, inconsciamente, chiamato in causa?

Erano i tempi in cui Lang collaborava con la moglie Thea von Arbou e per Berlino girava ancora Brecht, la sinergia fra i tre funzionava alla grande e la banda di criminali a cui conviene snidare il mostro per non avere i poliziotti fra i piedi ricorre all’aiuto di una lega di mendicanti sulla falsariga dell’Opera da tre soldi.

Primo film parlato di Lang, successo clamoroso di pubblico, l’analisi dettagliata che ne fa Kracauer porta a queste conclusioni: l’assassino appartiene ad una famiglia di personaggi dello schermo che, da Lo studente di Praga passando per Caligari, arriva fino a lui, il grasso e impacciato Kurten, singolare miscela fra l’assassino abituale e il borghese sottomesso.

Sono obbligato a camminare senza posa per le strade – dice il disgraziato Kurten prostrato a terra mentre sopra di lui la panoramica illumina criminali, mendicanti e donne di strada “gruppo immobile nel migliore stile monumentale di Lang”.

Quel qualcuno sono io. A volte sento che sono io a inseguirmi, eppure non posso trovare la salvezza. Voglio fuggire, devo fuggire. Gli spettri m’inseguono continuamente. Poi davanti ad un manifesto leggo cosa ho commesso. Sono io che l’ho commesso? Eppure non ne so nulla. E’ una cosa che mi ripugna … che deve ripugnarmi … deve … non ne posso più…

Peter Lorre incarna perfettamente in Kurten “il piccolo-borghese infantile che mangia mele per strada e nessuno sospetterebbe capace di uccidere una mosca”.

Kurten è la dimostrazione che “un prodotto della regressione porta con sé terribili esplosioni di sadismo, come nell’Angelo azzurro. Entrambi i film nascono dalla situazione psicologica di quegli anni cruciali e anticipano quanto sarebbe accaduto su larga scala se gli uomini non fossero riusciti a liberarsi degli spettri che li inseguivano”.

Ma gli spettri, purtroppo, ebbero la meglio.

3. Timide eresie

“Campo di battaglia di contrastanti tendenze interiori, il cinema tedesco del periodo pre-hitleriano era dominato da due principali gruppi di film.

Uno di questi gruppi testimoniava l’esistenza di sentimenti antiautoritari e comprendeva film che auspicavano più umani rapporti e un pacifico progresso, esprimendo a volte chiare tendenze di sinistra”.

Apre così Kracauer questa sezione in cui dimostra quanto ininfluenti fossero quelle “timide eresie” che affioravano qua e là in film che si facevano bandiera del loro pacifismo.

 

L’ esame parte da Berlin Alexanderplatz di Piel Jutzi dal romanzo di Doblin, buon film egregiamente interpretato che sfugge all’ottica pessimista di Von Sternberg e Lang. L’eroe, Biberkopf, “ha il cuore al posto giusto, ma dove gli altri abbiano il loro è cosa che non lo riguarda”.

E’ questa un’osservazione che torna, declinata in vario modo, e non sempre con sottile ironia, in tutto il libro: se anche non mancarono modelli di comportamento alternativi, e valori come bontà e giustizia, umanità e filantropia non fossero per tutti ormai solo vuote parole, restava il fatto che, a fronte del processo di trasformazione dell’individuo in massa messo in atto dal nazismo, la volontà del singolo era ormai relegata ad un asfittico e spesso velleitario “volemose bene” (locuzione universale che andrebbe tradotta in tedesco) inconcludente nei fatti e senza prospettiva alcuna.

La terribile armata, 1931, di Gerhard Lamprecht, appartiene a questo gruppo ed è un “delizioso film per ragazzi” che potrebbe sembrare portatore di sentimenti democratici, ed in effetti lo è, ma purtroppo “manca di vitalità”.

Stessa pasta del precedente, i sentimenti libertari che lo informano restano allo stadio di stati d’animo piuttosto indefiniti e privi di reale capacità di incidere.

Una critica autentica all’autoritarismo sembra contenuta invece in Ragazze in uniforme, 1931, di Leontine Sagan girato sotto la supervisione di Carl Froelich, “uno dei registi più esperti del cinema tedesco”.

La vicenda è edificante, il film piacque in patria e oltreoceano, fu considerato “uno dei film più umani che siano stati mai fatti “ dal National Board, ma il giudizio di Potamkin, con cui Kracauer concorda in pieno, fu: “ E’ sincero ma prudente, non si arrischia molto sul suo terreno ma si mantiene a conveniente distanza dalle conseguenze sociali che gli sono implicite”.

Non passano inosservati al vaglio del critico i veri significati del film, affidati ad un sapiente gioco di luci, inquadrature, posizione degli attori sulla scena, uso di fanfare nei momenti topici.

Quello che ad uno sguardo di superficiesembra “ un attacco in grande stile contro la rigida disciplina prussiana, non è che una preghiera di renderla più umana… Il principio di autorità non è stato scosso. La direttrice continuerà ad impugnare lo scettro. E se la disciplina autoritaria verrà in qualche modo attenuata, sarà soltanto affinchè si conservi più a lungo.”

Analoghe conclusioni per Il capitano di Kopenick, 1931, di Richard Oswald.

Storia di un ciabattino “che nel 1906 dimostrò al mondo l’assurdità del militarismo prussiano, è molto deciso nella critica ai metodi della polizia prussiana sotto il Kaiser… Miscuglio indefinito di satira e di commedia, questo film è ancora più ambiguo di Ragazze in uniforme. Prende in giro la soggezione che hanno i tedeschi per le uniformi e al tempo stesso giustifica il militarismo prussiano in quanto tale…”

Il film si chiude con una colonna di soldati in marcia al suono di una banda militare. Il ciabattino, ora uomo libero dopo assurde peripezie e munito di passaporto (un tema caro a tanti sotto il regime hitleriano) si allontana marciando con loro. L’ironia è del tutto assente, tutto viene preso molto sul serio e della satira neanche l’ombra.

Un’eccezione incantevole in un orizzonte così conformista è Amanti folli, 1933, di Max Ophuls dal testo teatrale di Schnitzler.

Autenticamente antimilitarista, “stupisce che sia stato distribuito nel momento del trionfo definitivo di Hitler. Ma il pubblico gustò il film unicamente come una storia d’amore immersa nella magica atmosfera della Vienna imperiale che sarebbe stata inconcepibile senza i suoi tenenti.”

4.Per un mondo migliore

E’ una sezione di grande interesse, dominata in gran parte dal cinema del periodo di Pabst. L’analisi dei suoi film offrirà il pretesto per una sintesi del pensiero di Kracauer con cui si chiuderà questa parziale e certo insufficiente ricognizione di un’opera immensa, densa in tutte le sue parti, occasione di conoscenza che va molto oltre i puri confini del cinema.

Il titolo della sezione è chiaro, si tratta di film in cui la critica sociale è centrale e le simpatie per la sinistra prevalenti. Inoltre, qui ci “sono tra le migliori realizzazioni artistiche dell’epoca”, dice Kracauer, si tratta perciò di verificare se e in che misura siano film autenticamente alternativi e controcorrente o se si adattino allo spirito dei tempi sotto mentite spoglie.

Nella sezione sono esaminati anche il Mabuse di Lang e altre pellicole che, nel difficile tentativo di semplificare, siamo costretti a tralasciare.

Pabst realizza tre film importanti nel periodo pre-hitleriano: Westfront 1918 del 1930, L’opera da tre soldi, 1931 e La tragedia della miniera, 1931.

Del trittico Kracauer sviluppa un’analisi dettagliata e partendo da Westfront afferma:

Come sempre Pabst riesce ad evitare il facile simbolismo… In tutto il film la guerra sembra più vissuta che rappresentata… è il meno spettacolare di tutti i film di guerra, non è né pittoresco né ricco di tensione. Grazie ad un registro visivo di squallido grigiore riesce a far sentire al pubblico la tetra monotonia della guerra di trincea…”

A questo giudizio, che prosegue a lungo con una lettura rigorosa di tutti gli aspetti del film, Kracauer fa seguire le parole di J.C. Moore che aggiunge: “Nelle scene finali Pabst compie un ultimo sforzo disperato per farci capire non soltanto l’orrore della guerra ma anche la sua inutilità, la sua stupidità bestiale”.

Tutto bene dunque? Nient’affatto, Kracauer non è disposto a concessioni: “ La sua debolezza di fondo consiste nel non varcare i limiti del pacifismo.Il film tende a dimostrare che la guerra è intrinsecamente mostruosa, assurda, ma a questa condanna della guerra non accompagna il minimo accenno alle sue cause e tanto meno un loro esame.Cala il silenzio proprio là dove sarebbe naturale indagare. Mentre nel grandioso Arsenal Dovzenko dice che la guerra civile ucraina fu l’esplosione di un represso odio di classe, nel film sulla guerra mondiale Pabst si limita a esprimere la sua ripugnanza per la guerra in genere… Mettere in mostra gli orrori della guerra è l’arma favorita di molti pacifisti che si cullano nell’illusione che il semplice spettacolo di simili orrori basti a distogliere la gente dalla guerra”,

La “pericolosa nebulosità” del film di Pabst fu subito dimostrata dall’uscita di Truppa d’assalto 1917 di H.Zoberlein, stessi orrori rappresentati, la trincea grigia come in Westfront, “anzi perfino meglio”ma la guerra esaltata come una lotta sacrosanta per la sopravvivenza della Germania.

Stessi mezzi, esiti opposti, e quest’ultimo capace di toccare con maggior efficacia la fantasia e il cuore del pubblico.

Un film che ancora una volta dimostra che “ i militaristi tedeschi non avevano nulla da temere dai pacifisti tedeschi” fu Terra di nessuno di Victor Trivas, che Kracauer, con la sottile ironia che non gli manca mai, liquida con “Dalla terra di nessuno essi vanno verso la terra del mai. E la guerra continua”.

Continuando su Pabst, l’esame degli altri due film va avanti con lo stesso tono che coniuga ammirazione e sincero riconoscimento delle qualità di artista dell’autore ma ne evidenzia la sostanziale mancanza di una lettura della realtà fatta di presa di coscienza, denuncia, comprensione profonda delle dinamiche sociali, economiche e storiche in senso ampio.

Il cinema di Pabst riflette, in definitiva “l’incerto tentennare delle opinioni e degli atteggiamenti in quegli anni di crisi”.

E’ soprattutto Tragedia nella miniera che induce Kracauer a formulare un’analisi che riassume tutte le istanze dipanate nel corso dell’opera, e dunque è giusto che occupi la posizione centrale e conclusiva che segue nello studio del suo pensiero:

Che il pacifismo socialista di “Tragedia nella miniera” sia meglio fondato del pacifismo umanitario di Westfront non significa affatto che sia più convincente. Durante la Repubblica i socialisti tedeschi, e specialmente i socialdemocratici, si rivelarono sempre più incapaci di afferrare il senso di quanto accadeva intorno a loro. Fuorviati da concetti marxisti convenzionali, trascurarono l’importanza del ceto medio e la complessa matrice psichica delle aspirazioni nazionali del momento.

Non avevano nessuna perspicacia psicologica e non si accorsero mai che i loro semplicistici schemi erano inadeguati a spiegare la svolta a destra della piccola borghesia o l’attrazione esercitata dal credo nazista sulla gioventù tedesca.

Pabst abbracciava le teorie socialiste della solidarietà di classe e del pacifismo proprio quando queste teorie erano degenerate ad anemiche astrazioni e non si poteva quindi sperare che i socialdemocratici tenessero testa alla situazione effettiva. In realtà, quasi che il peso morto di una logora ideologia li avesse fiaccati, i socialdemocratici assistevano alla continua ascesa del movimento nazista senza scuotersi dalla loro apatia … Pabst penetra la realtà dal punto di vista visivo, ma non ne esamina l’intimo contenuto intellettuale”.

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Epilogo.

E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo.

B.Brecht, La resistibile ascesa di Arturo Ui

 parte prima

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

 

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