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Faye Dunaway l'ultima diva di Hollywood
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 Oggi (14 Gennaio 2017) compie 76 anni Faye Dunaway un'autentica leggenda del cinema (non solo americano) che ha fatto incetta di premi nella sua lunga carriera ad ogni latitudine del globo; l' Academy le ha conferito un Oscar nel 1977 per "Quinto Potere" e due nominations che avrebbero meritato maggior fortuna, per quelle che secondo me sono state le sue due migliori performances attoriali in assoluto "Gangster's Story" del 1968 e "Chinatown" del 1975; ma al di la' delle plurime nominations e premiazioni ai Golden Globes ed ai principali festival cinematografici americani, la Dunaway è stata più volte premiata anche dagli inglesi ai BAFTA e da noi in Italia, avendo vinto 2 David di Donatello nel 1968 e 1977 ma più in generale oltre ai riconoscimenti ottenutin in Europa, ci sono anche quelli raccolti dai più prestigiosi festival del Sudamerica e recentemente la diva nativa di Bascom in Florida è stata omaggiata anche da alcuni dei più importanti festival planetari: Cannes, dopo che l'anno prima era stato usato uno scatto di Marilyn, nel 2011 ha utilizzato una sua foto per il manifesto ufficiale,  Locarno nel 2013 le ha attribuito il premio Leopard Club mentre Lione nel 2014 le ha dedicato una retrospettiva. Questo solo per dare un'idea di quanto sia conosciuto il suo lavoro che l'ha portata nel corso della sua più che cinquantennale carriera a recitare in tutto il mondo dalla Francia all'Argentina, dalla Polonia all'Italia senza rimanere confinata nella gabbia d'orata di Hollywood che puo' essere fonte di gioia ma anche di grande dolore per i suoi protagonisti più celebrati e come vedremo in seguito questa asserzione è stato vera anche per Faye Dunaway.

 

                                                             Faye ne "Il Caso Thomas Crown" 1968

 

L'idea di parlare della Dunaway, oggi nel suo 76esimo compleanno, nasce dal suo imminente ritorno sulle scene dopo 5 anni di completa assenza, il 2017 sarà infatti l'anno della sua rentreè in grande stile con ben quattro film: il thriller "Inconceivable" al fianco di Nicolas Cage e Gina Gershon, il dramma "The Case for Christ" di Jon Gunn, l'horror "The Bye Bye Man" di Stacy Title con Carrie-Ann Moss e l'action "The American Connection" girato qualche anno fa al fianco di Daryl Hannah e del compianto David Carradine unitamente alla partecipazione con un ruolo ricorrente alle serie TV di amazon "Hand of God" che vede tra i protagonisti Ron Perlman e Dana Delany. L'attualità si sposa pero' con quella che per me è un'autentica venerazione nei confronti di questa interprete che nutro sin dalla mia adolescenza e che è durata fino ad oggi che ho 41anni e che lei, per ovvie ragioni legate allo scorrere del tempo, non è più la star conosciuta in tutto il mondo che era tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 80. 

 

                      La copertina del Newsweek del marzo 1968 dopo l'uscita di "Gangster's Story"

 

Quando nella metà degli anni 80 cominciavo a maturare la mia passione per il cinema e direi soprattutto per i film, che all'epoca vedevo quasi più in TV che nelle sale, Faye Dunaway cominciava la sua parabola discendente come star di prima grandezza del firmamento cinematografico internazionale, anche se ha continuato, come vi dicevo, e continua tuttora a lavorare dividendosi tra il suo primo amore: il teatro, la televisione ed i film anche non disdegnando produzioni di "nicchia" ed a basso budget. Per me, i film, in quel periodo erano i grandi classici del cinema americano degli anni 70' che vedevo in televisione o nelle VHS: da Scorsese ad Altman, da Coppola ad Allen, da Lumet a Polanski, da Pollack a Penn e i volti con i quali sono cresciuto ed ho sviluppato la mia passione cinefila erano quelli di Robert De Niro, Al Pacino, Paul Newman, Jack Nicholson, Dustin Hoffman, Steve McQueen e Robert Redford ma il primo nome di un'attore o di un'attrice che mi ricordo è il suo: Faye Dunaway perchè da buon maschietto in età pre-puberale un altro aspetto da considerare è che quello fu il momento in cui mi accorsi dell'esistenza del gentilsesso.

 

                                 Faye nei panni della bellissima e letale Lady De Winter

 

                                          Faye con Christopher Lee sul set di "Milady" 1973

 

Il primo film che vidi della Dunaway era in realtà un doppio film: la scanzonata versione de "I Tre Moschettieri" tratta da Dumas e portata al cinema dal grande Richard Lester nel 1973 che si tradusse nella realizzazione di un primo film "I Tre Moschettieri: i Diamanti della Regina" (dove perlatro Faye compare brevemente in non più di tre scene) ed il successivo "I Quattro Moschettieri: La Rivincita di Milady" del 1974: allora non c'era la pay-per-view nè internet nè i DVD che ti consentono oggi di vedere dopo pochi mesi dalla loro uscita al cinema i film più recenti; la maggior parte di quello che si vedeva in TV erano i classici degli anni '70 e '80 ed io ringrazio per essere cresciuto in un contesto del genere che mi ha portato ad affascinarmi per un certo tipo di cinema, di registi e di attori: il cui livello considero nettamente superiore a quello attuale anche se allora non esistevano i mezzi e la tecnologia che sono disponibili adesso. Il film di Lester era uno spassosissimo cappa e spada che vivacizzava l'arcinota storia dei moschettieri con una buona dose di humour che strizzava l'occhio alla tradizione splapstick ed annoverava un cast all-star della scena internazionale di allora: al fianco dei moschettieri Oliver Reed, Richard Chamberlain e Frank Finlay con Michael York nei panni del buon D'Artagnan, c'erano poi Jean-Pierre Cassel (il padre di Vincent) e Geraldine Chaplin (la figlia di Charlie-Charlot) nella parte dei monarchi francesi e l'irresistibile abbondanza della splendida Raquel Welch nei panni di Costanza Bonacieux: la goffa ma supersexy eroina della storia; il cast era completato dal Duca di Buckingham interpretato dall'attore britannico Simon Ward e dai tre supercattivi: il grande Charlton Heston che regalava un indimenticabile Richelieu e il celebre dracula della hammer sir Christopher Lee che interpretava il capitano delle guardie Rochefort ma soprattutto c'era lei: Faye nei panni della perfida e bellissima Milady de Winter, la spia del cardinale; riuscire a rubare la scena alla maggiorata e meravigliosa Welch era impresa al limite dell'impossibile per chiunque ma farlo impersonando un personaggio tanto spregevole e meschino come quello di Milady e per di più incarnandone alla perfezione le caratteristiche più bieche perchè la Lady de Winter della Dunaway è cattiveria alla stato puro: veramente la più malvagia e subdola Milady che si sia mai vista sul grande schermo (anche la memorabile Lana Turner della celebre versione degli anni 50' sembra più mite mentre la Rebecca De Mornay degli anni 90' e la più recente Milla Jovovich sembrano addirittura delle educande in confronto a lei): la diabolica Faye non può che scatenare sul pubblico una giustificata antipatia ed avversione sia per i suoi comportamenti infidi e arroganti sia per l'infinita serie di malefatte di cui si rende responsabile tra cui l'uccisione a tradimento della rivale Raquel (strozzata udite udite con un rosario)....eppure nonostante questo non si puo' che restare ammalliati ed avvinti dal suo fascino, dalla sua eleganza fuori dal comune, non si puo' non tifare per lei anche se poi quando finisce sul capestro è impossibile non considerare che si tratti di una fine assai meritata.

 

 

                                                      Uno scatto della fine degli anni 60'

 

                                            Con Paul Newman ne "L'Inferno di Cristallo" 1975

 

 

Del resto Faye Dunaway era una diva fin dal nome che è pure il suo vero nome, non ha neanche dovuto inventarselo come diversi suoi colleghi e colleghe: un suono così magico e unico, in ogni lingua, che pure Lucio Battisti la scelse per una canzone del suo disco "Una donna per Amica" dove la sua presenza, nel manifesto di un film, lo spingeva ad entrare al cinema per vedere soprattutto lei. Unico il nome e unico il suo viso, con quel taglio di occhi, la bocca perfetta e gli zigomi alti, quel naso di una simmetria quasi imbarazzante con due grandi narici anch'esse perfettamente uguali; la Dunaway era di una bellezza unica, che non ce n’erano altre, negli anni Sessanta e Settanta in cui andava per la maggiore, all’apice della sua carriera cinematografica, lei seduceva il pubblico di tutto il mondo con i suoi grandi occhi verdi ed il suo fascino ambiguo oltre che per il suo talento di attrice che le consentiva di aderire perfettamente al suo personaggio come una sorta di De Niro in gonnella. Mentre i suoi modi potevano sembrare spesso spicci e duri, in un modo o nell’altro erano comunque sempre eleganti. Lei era bella e velenosa, risoluta e determinata. La sua chiara propensione a prendersi dei rischi –a sporcarsi le mani- come attrice, aiutava a mitigare in un certo qual modo una sua inafferrabilità. La Dunaway è stata una star degli anni settanta, ma il suo status di star non ha avuto lo stesso appeal sulle masse o se si vuole la stessa popolarità di altre attrici dello stesso periodo come Jane Fonda, Diane Keaton, Meryl Streep e Barbra Streisand. Queste altre hanno avuto, tutte ciascuna a proprio modo, l’abilità di interpretare donne ordinarie, hanno finito per incarnare con credibilità, donne per cosi dire normali e questo ha consentito loro di essere percepite come vicine, di sviluppare nella gran parte dell’audiences ed in particolare del pubblico femminile un rapporto di empatia verso di loro che le ha portate ad una grande popolarità. La Dunaway, dal canto suo, non ha mai potuto scrollarsi di dosso del tutto quella sua sorta di distacco dal mondo dei mortali, delle persone normali, quel suo essere altera ed irraggiungibile, una qualità che l’ha in un certo qual modo allontanta dal pubblico. Lei, pur interpretando alcuni tra i film americani più importanti degli anni settanta, non ha mai avuto un exploit al box-office come quelli della Fonda, della Keaton o della Streisand (nessuna delle quali puo' vantare una filmografia come la sua: "Gangster's Story", "Piccolo Grande Uomo", "Il Caso Thomas Crown",  "Chinatown", "I Tre Giorni del Condor", "Quinto Potere", "L'Inferno di Cristallo"). Forse le cose avrebbero potuto essere diverse, negli anni 30' o 40' con colleghe come Greta Garbo, Marlene Dietrich o Ingrid Bergman, donne che, come la Dunaway, apparivano più come divinità che come esseri mortali, soprattutto quando la loro immagine veniva proiettata sullo schermo.  Nella Hollywood degli anni settanta, la ieratica Dunaway, rappresentava una sorta di anacronismo, lei passa gran parte della decade lavorando con registi europei o influenzati dall’arte cinematografica europea: Arthur Penn, Jerry Schatzberg, Roman Polanski e Richard Lester.

 

                                        Faye in "Mannequin - Frammenti di una Donna" 1971

 

                                                Scatto promozionale di "Gangster's Story" 1967

 

La Dunaway si addice ai disegni modernisti di questi registi, il suo glamour da vecchia Hollywood potrebbe rappresentare un ritorno di quello che era stato in qualche modo spazzato via dalla nuova Hollywood della fine degli anni 60' e dell’inizio dei 70' (il dare spazio a volti e attori "normali", a uomini  e donne comuni) ma lei non sarà mai un’attrice degli studios; da una parte questo le ha conferito un’aurea di mistero – Da dove viene ? Come riesce a sviluppare questa presenza autoritaria ? Come fa ad essere così sofisticata e ad avere questo stile ?- d’altra parte questo fatto potrebbe essere stato anche responsabile del declino della sua celebrità dopo la fine degli anni settanta. Lei non ha mai veramente sviluppato un trand di successo negli anni settanta, perché i personaggi che interpretava ed i film in cui appariva erano troppo particolari e diversi da qualunque altro, la Dunaway non ha mai fatto una commedia romantica né un dramma di coppia con storia d’amore, il tipo di film che l' avrebbero avvicinata al pubblico femminile. Un'analisi più accurata del suo lavoro potrebbe consentire di selezionare le sue interpretazioni secondo tre distinti indirizzi: la donna psichicamente ed affettivamente vulnerabile, la femminista che svolge mestieri maschili rischiando l'autodistruzione per egocentrismo e la femminilità invadente, conquistatrice o inquietante: tendenze che quasi sembrano calcolate per prevenire lo stereotipo e per tenerla in un certo modo lontana dalle masse, dalla popolarità. Inoltre, quanto la Dunaway è richiesta per supportare le idee liberal di registi come Stuart Rosenberg e Sidney Lumet, tanto lei è al contrario ironicamente spinta nella posizione di rappresentare la visione reazionaria del femminismo: lei è spesso chiamata ad interpretare donne potenti – più specificamente, una sorta di fredda regina, potente, affascinante ma mai rassicurante e non certo amabile  – che rappresentano una minaccia e che devono alla fine essere rimesse al proprio posto, subendo la giusta punizione per le loro malefatte. La Dunaway, tuttavia riesce ad incarnare queste donne in un modo che complica la nostra visione di esse. Probabilmente questa abilità della Dunaway di rendere questi personaggi al contempo duri e fragili, è il vero motivo che ha spinto così spesso i registi a scritturarla per questo tipo di ruolo, così da rappresentare l’ambivalenza che sottende questi personaggi chiave nella rappresentazione dell’ideologia americana.  Già nella sua prima apparizione avvenuta nel film di Elliot Silverstrien “Comincio’ per gioco” del 1967, una ventiseienne Dunaway interpreta una ragazza insoddisfatta che quasi per caso si trova coinvolta nel sequestro di persona di un potente boss mafioso interpretato da Anthony Quinn, benché il clima sia da commedia, già un ruolo non certo tra i più rassicuranti: una ragazza piuttosto futile e comunque a suo modo pericolosa. 

 

                                                   "Mannequin - Frammenti di una Donna" 1971

                                                              Uno scatto degli anni 70'

 

Il vero spartiacque nella carriera di Faye Dunaway è il 1981: l'anno di "Mammina Cara", dopo il rifiuto della Anne Bancroft de “Il Laureato”, viene chiamata ad interpretare la famosa diva di Hollywood degli anni 40' e 50': Joan Crawford. Il film è considerato a suo modo il punto di non ritorno del biopic hollywoodiano, si ricostruiscono le vicende della vita dell’attrice nel rapporto con la figlia adottiva Christina, la quale vessata dalle paranoie della madre e tagliata fuori dalla ricca eredità, si vendicherà scrivendo una biografia al vetriolo che risulterà un best-seller da cui è tratto il film. “Mammina Cara” ebbe una certa notorietà e successo in Europa ma grandi critiche e stroncature in America dove molti lo considerano un polpettone melodrammatico che, nonostante la serietà delle intenzioni, il kitsch involontario e le numerose scene isteriche oltre il ridicolo (famose quella della gruccia, del roseto e del bagno) è diventato un prodotto camp inresistibile con tanto di pubblico devoto e campagne promozionali ad hoc. La Dunaway, somigliantissima alla Crawford e senza freni, si trovò spiazzata dalle decisioni della casa di produzione, la Paramount, che di fronte alle reazioni del pubblico americano verso il film, decise di lanciarlo come un classico del camp; un mese dopo l’uscita nelle sale di “Mammina Cara” la campagna di promozione della Paramount recitava: “ Venite a conoscere la più grande Madre di tutte” portò il pubblico a venire a vedere il film già armato di grucce di ferro come quelle usate dalla Dunaway nella famosa scena, così da assistere alla proiezione in modo da parteciparvi attivamente come si fa per un altro classico del camp “The Rocky Horror Picture Show”. La Dunaway fu travolta dalle critiche, diventando lo zimbello di critica e pubblico americano, una sorta di versione femminile di Tim Curry osannata dalle comunità gay e dalla drag-queen di tutto il mondo ma bistrattata dall’industria del cinema e dagli addetti ai lavori che non la consideravano più un nome di serie A nel panorama cinematografico internazionale come era invece stata sino a pochi anni prima. Per la Dunaway, sommersa dalla critiche e derisa dalla grande maggioranza del pubblico arrivò anche l'onta del trionfo ai Razzies Awards dove “Mammina Cara” stracciò tutti i record con il record assoluto di ben 9 nomination e ben 5 premi tra cui quello di peggior film mentre la Dunaway si aggiudicò il non certo agognato riconoscimento di peggior attrice dell’anno; il film è ancora oggi inserito nella lista del fondatore dei Razzies John Wilson tra i peggiori 10 mai realizzati di sempre ed è diventato a suo modo un cult. Il colpo per la Dunaway fu terribile ed il danno di immagine che ebbe a causa del film fu devastante per la sua carriera, perché, purtroppo per lei, tutti videro il film che fu un successo al botteghino, forse, e paradossalmente, il suo maggiore successo di pubblico per quella che molti considerano una delle sue peggiori performances. Si apri' un periodo di minore popolarità dell'attrice costellato da film assurdi e fragorosi insuccessi, tra i suoi film meno riusciti del periodo (forse il punto più basso in assoluto della sua carriera) ce n'è uno al quale sono legato affettivamente, il cinecomincs “Supergirl – La Ragazza d’ acciaio”: nel bel mezzo della sua carriera post- “Mammina cara”, la Dunaway che si era trasferita a Londra con il secondo marito, il fotografo Terry O'Neill, essendo rimasta ammaliata dall'interpretazione comica dell'amico Gene Hackman nei panni di Lex Luthor in "Superman" decide di accettare la parte della cattiva nella sua versione femminile; il film prodotto dai frattelli Salkind, gli stessi della saga di “Superman” è uno spinoff tutto al femminile della serie de l’uomo d’acciaio che vede protagonista sua cugina Kara alias Supergirl interpretata dall’allora esordiente ventenne Helen Slater.

 

                                                                      "Mammina Cara" 1981

                                                      "Supergirl - La Ragazza d' Acciaio" 1984

 

Ai Salkind che avevano già lavorato con la Dunaway utilizzandola nella parte della cattiva circa 10 anni prima ne “I Tre Moschettieri” sembrò una buona scelta scritturarla per la parte della perfida Selena sfruttando la sua presenza in Inghilterra, paese nel quale si sarebbero svolte le riprese. Il film, oltre alla Slater ed alla Dunaway poteva contare altri nomi illustri della scena internazionale come il grande Peter O’Toole e Mia Farrow anche se entrambi impegnati in piccoli ruoli “alimentari”. La scelta della Dunaway come antagonista imponeva, dopo “Mammina Cara”, una svolta grottesca al personaggio della cattiva: Selena diventa infatti una folle fattucchiera di mezza età che vive in un parco divertimenti abbandonato sognando di conquistare il mondo e dominarlo. La Dunaway nei panni della perfida fattucchiera Selena, sfoggia un look che ricorda in modo impressionante e inquietante la Sally Spectra della soap-opera “Beautiful” con tanto di inguardabili parrucconi riccioluti color rosso-shocking, un make-up da strega ed una serie di caffettani kitsch, ma nonostante tutto riesce ancora ad essere tremendamente sexy. Perfettamemte sintonizzata sul "mood" del film: una sorta di cartoon di supereroi, la Dunaway, si cala nel personaggio della strega-arpia sfoggiando una recitazione fatta di occhi perennemente sgranati, smorfie reiterate ed espressioni grottesche che rendono la sua partecipazione assolutamente impagabile e che mi fecero letteralmente innamorare del film nonostante si tratti certamente di una boiata pazzesca; putroppo per lei pero' il naufragio completo di "Supergirl" la travolse nuovamente e definitivamente tanto che terminato nel frattempo anche il suo matrimonio, fece ritorno negli USA. 

 

                                                                  Uno scatto degli anni 80'

 

Anche se il suo status di star non sara' mai più lo stesso, Faye continua a lavorare assiduamente partecipando anche ad alcuni piccoli film molto preziosi come "Arizona Dream" di Kusturica al fianco di Johnny Depp e Jerry Lewis del 1993, l'anno dopo è ancora al fianco di Depp e Marlon Brando in "Don Juan De Marco" e nel 1996 è nell'esordio come regista di Kevin Spacey nel noir "Insoliti Criminali" con Matt Dillon e Viggo Mortensen, nel 1999 partecipa al film di Luc Besson "Giovanna d'Arco" interpretato da Milla Jovovich ed inoltre prende parte a film e serie TV come "CSI", "ALiAs", "Colombo" e "E.R.".

 

Happy birthday Faye.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                            

 

 

 

 

 

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