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ABSOLUTE BEGINNERS – Le nuove serie di dicembre
di Andrea Fornasiero
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Shut Eye

Dieci episodi dal 7 dicembre su Hulu per Shut Eye, prima stagione di un drama sul mondo dei mentalisti, dei cartomanti e degli ipnotisti, con contorno di truffe e dove un coppia cerca di ritagliarsi uno spazio, anche se estranea alla dominante genia dei Roma, ossia gli zingari. Shut Eye è ideata e sceneggiata da Les Boehm, noto per film come Daylight e Dante’s Peak ma già passato in Tv anni fa con Taken e più recentemente su Extant. Alla regia troviamo invece Johan Renck, proveniente dagli spot e dal videoclip ma già tempo attivo nel mondo delle serie, tanto che l’anno scorso aveva diretto l’intera The Last Panthers. Qui si diverte con alcune sequenze in ralenti e dai colori sparatissimi, successive al trauma cranico del protagonista, ma per il resto il suo è un lavoro di puro mestiere, come del resto sembra la scrittura della serie. Il cast è capeggiato dall’ex Michael Westen di Burn Notice Jeffrey Donovan, già nella seconda stagione di Fargo come spietato fratello di Angus Sampson, che ritroviamo qui nel ruolo inizialmente dominante del boss dei Roma. Ma la vera villain è Isabella Rossellini, la regina zingara che sorniona e sorridente dice di aver inventato rituali come la doccia di sputi e poi marchia di proprio pugno con un coltello il volto di una ragazza. Tutto aspira al modello della serie di qualità, tanto che non manca né la violenza né il sesso relativamente esplicito, ma il risultato è troppo standard per spiccare in un filone oggi molto affollato.

Star

Lanciata su Fox il 14 dicembre, riprenderà solo il 4 gennaio Star, la nuova serie di Lee Daniels, qui affiancato dal drammaturgo Tom Donaghy. Quasi un companion a Empire, come fosse l’altra faccia della medaglia racconta di tre ragazze che cercano di farsi strada dal basso, dal ghetto di Atlanta per la precisione. Daniels, fin dai tempi di Precious, ama rimestare nello squallore e subito inserisce lo stupro da parte dell’affidatario di una delle due orfane. Sembra ucciderlo l’altra sorella, arrivata proprio in quel momento sulla scena dopo aver lasciato la coppia che l'aveva in affidamento, ma siamo in pieno regime soap quindi non ci si aspetti che i morti rimangano tali troppo a lungo. Tra canzoni piene di mugolii inutili sognando le Destiny’s Child e il soul gospel di Queen Latifah, sicuramente più apprezzabile, non manca un ruolo nemmeno per Lenny Kravitz, qui genitore sprezzante della ragazza di colore che completa il terzetto con le due orfane. Il trio è inoltre aiutato da una trans, che le presenta a un discografico, senza sapere che questi è in realtà in cattive condizioni e ignorando soprattutto che aveva avuto a che fare con il triste destino della madre delle due sorelle. Si sarà capito, Star è un polpettone micidiale, ricco di rivolgimenti già nel pilot e che se inizia così Dio solo sa quanto diventerà improbabile nel giro di una stagione o due.

The OA

Forse ancora peggio fa The OA, che spreca sia la regia di Zal Batmanglij, sia il talento di Brit Marling. I due però sono anche gli autori di questa proposta di Netflix, arrivata in tutto il mondo a sorpresa il 16 dicembre, e quindi non possono scaricare su nessuno la colpa di un pasticcio New Age a dir poco indigeribile. Protagonista una ragazza scomparsa che torna miracolata dal recupero della vista e viene ritrovata mentre cerca di suicidarsi. Ma lei non è un persona normale (si fa chiamare The OA): la morte nel suo caso è solo un’occasione per gettare uno sguardo oltre il velo, verso altre dimensioni e magari entrare in contatto con una sorta di divinità in una stanza piena di stelline fluttuanti, come se il cosmo fosse una specie di plancton. Morire però non è l’unico modo per spingersi oltre le umane limitazioni e i movimenti di una danza - coreografata da Ryan Heffington, noto per il videoclip Chandelier di Sia – conducono alla trascendenza. Non bastasse il delirante concept, la serie trascura largamente i personaggi che non sono Brit Marling e si allunga e si accorcia, con episodi mediamente da un’ora ma pure con uno da soli 30 minuti, semplicemente perché su Netflix si può. Sorretta solo dall’affabulazione dell’attrice, trova ogni tanto anche qualche momento felice per messa in scena e varietà d'ambientazione, ma presto tutto sprofonda di nuovo nell’autoindulgenza e nel misticheggiare fuori controllo.

Trollhunters

Non scriviamo solitamente di serie d’animazioni per ragazzi, ma la firma di Guillermo Del Toro per quest’avventura fantasy in CGI dal 23 dicembre su Netflix, è una buona occasione per fare eccezione alla regola. Si tratta del tipico prodotto kids, in stile Ben 10, con un giovane che si trova investito di inattesi poteri e responsabilità, un po’ come un supereroe. Qui il suo ruolo è quello di un mistico guerriero che deve proteggere la città dei Troll. Lo aiutano due di loro, ma soprattutto lo affiancano l’amico ciccione e la ragazza Claire. Come tipico dell’animazione digitale in Tv gli ambienti non sono particolarmente ricchi di dettagli, ma la semplicità è compensata dal buon character design delle creature e dallo spirito genuinamente divertito che gli autori sembrano aver immesso nella serie. Certo niente di nuovo e se l’idea era di sfidare l’universo di Star Wars: Rebels di certo l’ambientazione risulta troppo povera, d'altra parte il tono è più gioioso e meno serioso rispetto alle serie della galassia lontana lontana di Lucas, oltre che più vicino alla vita di tutti i giorni dei ragazzini.

The Deleted

Non ci occupiamo di norma neppure delle serie short-format, che poi sono solitamente webseries, ma da una parte la distinzione si fa sempre più vaga e dall’altra siamo di fronte di nuovo a un autore d’eccezione: The Deleted è infatti interamente scritta e diretta da Bret Easton Ellis. Per il suo esordio alla regia lo scrittore ha scelto la piattaforma Fullscreen, che ospita i contenuti di varie web star americane, ma nelle mani di Ellis questo sottobosco di bellezza superficiale esplode di desiderio. The Deleted racconta infatti di un gruppo di giovani che, fuggiti da un misterioso Istituto, si sono sparsi per Los Angeles e sperano di non essere scoperti, vivendo isolati gli uni dagli altri. I ragazzi non hanno però le inibizioni più comuni, conducono un’esistenza promiscua, bevono e si drogano, o cercano sollievo nel cutting. Considerato che più di tutto anelano una specifica droga, la Guidance che solo l’Istituto produce, sono facile preda dei ragazzi che l’organizzazione ha mandato per ricatturarli. Tra loro spicca Breeda, detta anche paziente Genesis, allevata all’interno dell’Istituto parla e si muove come una bambola ma non ha alcun senso del limite e anzi il piacere per lei deve sconfinare nella violenza più sanguinaria. Otto episodi da circa un quarto d’ora non raccontano poi molto, soprattutto se farciti di scene di sesso, ma sono un'efficace aggiornamento e trasposizione dell’estetica dello scrittore, che gira per altro in un continuo movimento di mdp e con lenti ma frequenti zoom. Ne viene una disperata e vacua iper-realtà, improvvisamente interrotta dall’ultimo episodio, che è invece composto solo di interviste in stile found footage e lascia completamente aperti per la prossima stagione i numerosi cliffhanger della settima puntata, a dimostrazione che Ellis ha anche imparato a giocare e provocare con il formato della serialità.

 

Qui gli altri articoli dell'osservatorio sulle nuove serie Absolute Beginners
(che fa parte della rubrica CoseSerie)

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