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Venezia 2016 - Voyage of Time: La scienza di Malick
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L'universo si dispiega davanti ai vostri occhi in un'esperienza che coinvolge sensi, mente e anima.

Questo è il claim che accompagna Voyage of Time, il lavoro quarantennale di Terrence Malick che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia oramai imminente. Esplorazione del nostro passato umanitario e ricerca di un posto per l'umanità del futuro, il documentario cattura l'energia della natura stessa fondendo innovativi effetti speciali con filmati maestosi provenienti da tutto il mondo per ricercare ciò che dura e perdura attraverso i mutevoli scenari scanditi dal tempo.

Cosa significa, dopo tutti questi eoni, essere ancora qui adesso?

Malick ripercorre la cronologia scientifica della Terra, dalla nascita delle stelle all'esplosione di una nuova vita al debutto sul pianeta del genere umano. Nel sondare passato, presente e futuro in maniera intimista, si è avvalso di un team di consulenti scientifici e di geni degli effetti visivi guidati da Dan Glass per mostrare una serie di fenomeni naturali mai testimoniati prima - celesti e terrestri, macroscopici e microscopici - in una varietà di nuovi modi: la spietata geologia della Terra della prima ora; le prime cellule, la loro crescita e la loro divisioni; la comparsa dei pesci, delle foreste, dei dinosauri e della specia umana, con la sua necessità di fare i conti con tutto ciò che la circonda... tutto trasformato in un inno alla natura, alla vita e all'universo.

Voyage of Time uscirà poi in sala in due differenti versioni: una è quella da 90 minuti narrata da Cate Blanchett che si vedrà a Venezia (che porta il pubblico in un poetico viaggio pieno di domande aperte) mentre l'altra è da 45 minuti, in formato IMAX, narrata da Brad Pitt e destinata a un pubblico di tutte le età.

scena

Voyage of Time (2016): scena

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VOYAGE OF TIME: SCIENZA E ARTE

Il cinema del XXI secolo si muove agilmente tra drammi dalla cruda intimità, documentari d'inchiesta e grandi blockbuster dallo spettacolo assicurato. Voyage of Time cerca invece qualcosa che esula da ciascuna di queste categorie. Nasce infatti dall'idea tanto audace quanto ambiziosa di usare il potere del cinema per unire le nostre conoscenze scientifiche dell'universo con i misteri indescrivibili e la passione dell'arte in un viaggio sensuale che per ogni spettatore si trasforma in una scoperta personale e unica. L'occhio di Terrence Malick si libera dai confini familiari del tempo ed esplora quasi 14 miliardi di anni del nostro universo ponendo domande che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti: Da dove provengono il nostro mondo e le sue forme spettacolari? Che cosa il nostro lontanissimo passato rivela su di noi e sulla nostra vita? Come abbiamo fatto a evolverci, ad adattarci, a sopravvivere e a diventare quello che siamo oggi?

Da tempo immemore, Malick si è dedicato a studi astronomici, biologici e filosofiche, prendendo appunti e parlando con docenti, ricercatori e innovatori, per capire i progressi che fanno le diverse scienze, dalla fisica all'antropologia. I risultati delle sue ricerche lo hanno spinto a volere unire le sue "scoperte" con l'arte.

La storia dell'universo è la più antica mai raccontata. Sin dal Paleolitico gli esseri umani hanno cercato di capirne il funzionamento. Ma come può la narrazione della deriva dei continenti, delle tempeste di meteore, della divisione cellulare e dell'evoluzione delle specie, parlarci direttamente e influenzare le nostre esistenze attuali? Questa è la domanda a cui Malick con il team di esperti di cui si è circondato ha provato a dare una risposta in maniera artistica. Anche perché oggi, come ha avuto modo di notare lo scienziato Richard Feynman, «non c'è nessun artista che trae ispirazione dall'attuale immagine dell'universo. I poeti contemporanei non scrivono più del cosmo, i nostri artisti non provano a rappresentarlo. Il valore della scienza non viene declamato da nessun cantante. Nessuno sente una canzone o una poesia sull'universo. La nostra non è ancora un'età scientifica».

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SCIENZA E CINEMA AGLI ALBORI

Sin dagli albori, il cinema ha mostrato grande interesse nei confronti della scienza. Agli inizi del XX secolo, per la prima volta, gli esperimenti scientifici varcavano i confini di un laboratorio per essere diffusi tramite immagini: nel 1903 il pioniere del cinema Charles Urban con l'ausilio dello zoologo/regista Francis Martin Duncan realizzò un film - chiamato Gli acari del formaggio - in cui si vedevano dei microbi all'interno di un pezzo di stilton. Il successo fu tale che in breve tempo spopolarono diversi cortometraggi del genere diretti dal naturalista F. Percy Smith (i più noti sono The Balancing Bluebottle e The Acrobatic Fly). La vera popolarità di massa del "film scientifico" arrivò però solo negli anni Venti grazie a I segreti della natura di Charles Urban, una serie di 144 cortometraggi (ognuno sotto i 15 minuti) che trattavano di argomenti disparati, dagli uccelli alle api alla vita marina.

Ma la scienza, dopo il Viaggio sulla Luna di Melies del 1902, rimaneva vista ancora come qualcosa da trattare in maniera fantasiosa. La fantascienza così come la figura degli scienziati pazzi era all'ordine del giorno: basti pensare a Parigi che dorme di René Clair o a Metropolis di Fritz Lang.

Sdoganato l'argomento negli anni verranno dei veri capisaldi scientifici: dagli 11 episodi di Pianeta Terra di David Attenborough a Il popolo migratore di Jacques Perrin e La vita negli oceani di Perrin e Jacques Clouzod, fino ad arrivare a Encounters at the End of the World di Werner Herzog.

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