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Lehava

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Era stata una giornata calda.

Il sole calava sulle colline verdeggianti tutte attorno al borgo. Ora, con le ombre, si era levata una brezza piacevole, solo un po' più forte fra le viuzze del centro storico arroccate. Mi affaccio alle mura che danno sulla valle verso ovest, e accarezzo quel tepore serale, prigione del sole pomeridiano in agonia, liberato fra le fessure di calce. Sono turbata: solo uno sguardo, ad una fotografia in mostra nella piccola chiesa paesana: "Tristezza" il titolo: un cane alla catena, i colori caldi di un autunno di montagna tutt'attorno, e lo sguardo dritto, fatto di rassegnazione più che di sofferenza. "Non devi piangere" mi ordino. Ubbidisco, trattengo le lacrime nascondendole dentro uno stordimento. “....La storia della mia vita non esiste. Proprio non esiste. Non c'è mai un centro, non c'è un percorso, una linea. Ci sono vaste zone dove sembra che ci fosse qualcuno, ma non è vero, non c'era nessuno....” (1). Riflessioni inutili: non può esistere una storia, solo confuse conseguenze. Al massimo, posso giusto esistere io. Ma chi sono io, che così oscura mi nego? L'angoscia è tutta qui: l'impossibilità di conoscere e comunicare. Il terrore di dimenticare. Di essere dimenticata, oltre che fraintesa. Di scomparire nel tempo senza mai essere stata. Non lasciare segni nel mondo è un destino comune e quindi accettabile: ma non lasciare segni in coloro che amiamo, beh, è una condanna atroce. Ho una visione: gli anni a venire: lunghi, ordinati, forse silenziosi, forse solo silenti. Come potrò sopravvivere alla tragedia di non aver saputo essere? Almeno attraverso la parola o il gesto? "....Lei è nell'ombra, separata dalla luce....E' là, confusa con i colori, e l'ombra, sempre triste di un male a lei sconosciuto. Nata così...." (2).

Mi sovviene una confessione nuova, ma non biasimarmi: non avrei mai potuto donartela allora. E' solo adesso con noi: "Stavo morendo, lì con te. Dal desiderio che tu potessi afferrarmi, dalla speranza che tu riuscissi a penetrare questo mio cuore e la testa che scoppia di troppi detti. Avrei voluto urlare, urlarti. Ed invece sono morta ancora un pochino, morta nella possibilità avuta di vivere. Vivere è essere: ed io volevo, io voglio essere. Ma sono rimasta muta, ed ho controllato il mio respiro, trattenuto lo spasmo." ".... Passa molto tempo prima che lei parli ancora. E' altrove, a lungo, sola. Senza di lui, lui lo sa....Nasce un'emozione. Lei non sa bene che cos'è, se è paura, di nuovo, e questa volta più forte di lei, oppure se è espressione di un'attesa che lei non sapeva di vivere. Guarda la camera, dice: "E' strano, è come se fossi arrivata da qualche parte. Come se avessi aspettato questo da sempre..." (3).

Ecco, abbiamo rotto ogni indugio, ma io non ho saputo far altro che nascondermi. Mi riuscirò a perdonare? "Se tu mi avessi conosciuta..." mi ripeto. "Se ti avessi permesso di accedere a me, allora, tu non avresti più potuto lasciarmi. Avremmo sconfitto l'oblio, senza le parole che oggi ci neghiamo anche solo di costruire nella nostra mente." Ed invece mi ritrovo ad avere paura del tempo, di ogni minuto senza te, senza noi. Paura che ti possa scordare i pensieri, le emozioni, gli odori, i sapori: "....Come te anch'io ho cercato di lottare con tutte le mie forze contro la smemoratezza. E come te ho dimenticato. Come te ho desiderato avere un'inconsolabile memoria, una memoria fatta d'ombra e di pietra. Ho lottato da sola con violenza, ogni giorno, contro l'orrore di non poter più comprendere il perché di questo ricordo. Come te, ho dimenticato...." (4).

E' buio ora. Il paese è in festa, le stradine affollate. Risate, voci sommesse si rincorrono dai tavolini dei bar all'aperto. Salgo le scale che portano alla torre, da lì il panorama sulle valli è splendido. E' tutto così bello da togliere il fiato. Ti ricordi quante volte tu hai riso di questa mia melodrammatica predisposizione alla bellezza? Sentire di poterla cogliere, e nel contempo di partecipare ad essa. E' il percorso dall'arte e verso l'arte, attraverso l'arte. La ricorderai domani? Ricorderai me, mi distinguerai? Scusa se non ho saputo spiegarmi, se sono stata reticente, se ho scelto la strada del silenzio: l'ho fatto per lasciare spazio a te, e perché tu potessi cogliermi oltre i miliardi di parole. Hai potuto farlo sul serio? Non ho risposta, la cerco nel vento che sibila e tu mi prenderesti in giro per questa mia malinconia sciocca. Ti emozioneresti se leggessi queste riflessioni? O ti spaventeresti? O ti divertiresti per il mio romanticismo fuori luogo, io che romantica non sono mai stata? Poche luci sfocate brillano sulle colline: lì fuori c'è il mondo, sai? Fuori da me, fuori da te, fuori da noi. Ed è tremendo, drammatico: ci sono guerre, catastrofi, povertà, fame, inquinamento, brutture, cose inimmaginabili nel passato: genocidi, armi di distruzione di massa, di alcuni i libri di storia parlano diffusamente, di altri pochissimo sono al corrente. Drammi collettivi e singoli. Ognuno ha i propri. Ma qui è tutto così magico e perfetto che il momento si è fatto istante. Cristallizzandosi in un presente eterno, quello di cui ora sto scrivendo. Quello vissuto in una stanza, e rivissuto in una calda serata d'agosto, lontano lontano. Capirai mai questo senso di estraneità ai luoghi ed alle persone, che solo permette di toccare il più profondo di te? Se sì, allora avrai carpito un pezzo della mia anima. E forse potrò sperare di sconfiggere l'abbandono e questa quiete vuota. Qualche lacrima è venuto giù lo stesso, malgrado il divieto. Dalle mura ad est fisso la linea di nero improvviso: è il mare. E anche se ci siamo detti di non dirlo, neanche di pensarlo, io adesso, da sola, me lo confesso. Perchè non so se domani sarà troppo tardi: “....Tutto a un tratto non era più sicura di non averlo amato, solo che quell'amore non l'aveva visto perché si era perso nella storia come acqua nella sabbia e lei lo ritrovava soltanto ora, nell'istante della musica sul mare....” (5). Poche note riecheggiano all'improvviso nell'aria: forse un disco, forse la televisione accessa in qualche casa. Le riconosco subito, ed è uno strano scherzo del destino ritrovarle qui ora, quando solo ieri sera un adattamento senza voce aveva accompagnato la passeggiata notturna nella grande piazza laggiù, sulla costa. La piazza con il duomo e di fronte il Palazzo del Municipio.

Lì, mentre la banda suonava, immagini di luce proiettavano il volo dei fenicotteri rosa non da una terrazza romana ma solo dalle acque grumose delle saline retrostanti.

 

Se fossi lei, e tu fossi lui, e noi fossimo loro, allora raccomanderei: "“... che si dovrebbe riuscire a vivere come fanno loro, il corpo abbandonato in un deserto e, nello spirito, il ricordo di un solo bacio, di una sola parola, di un solo sguardo per tutto un amore.....”(6) Ancora il sostantivo proibito che ritorna! Perchè? Perché "...non mi ero sbagliata ... vi amavo perché .... eravate uscito dalla vita.....Non vi conosco. Nessuno può conoscervi, mettersi al vostro posto, voi non avete posto, non sapete dove trovare un posto. Per questo vi amo e per questo siete perduto..." (7). Ma io non sono lei, e tu non sei lui: e quella parola non è corretta, non è ammessa.

Mi scioglierò nel tempo forse, come tu per me. Ma stasera, davanti a questa bellezza, lascia che mi riappacifichi, solo per un po'. Riavviandomi verso il parcheggio, non posso fare a meno di canticchiare: "Try not to get worried, try not to turn on to, problems that upset you" pensando che avrei dovuto avere avuto il coraggio di sussurrarti, solo: "close your eyes, close your eyes and relax, think of nothing tonight."

 

1. M. Duras "L'amante"

2. M. Duras "Occhi blu, capelli neri"

3. M. Duras "Occhi blu, capelli neri"

4. Da "Hiroshima mon amour" soggetto e sceneggiatura di M. Duras

5. M. Duras "L'amante"

6. M. Duras "Occhi blu, capelli neri"

7. M. Duras "Occhi blu, capelli neri"

 

 

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