Espandi menu
cerca
Un'estate al mare (o in città)
di MarioC
post
creato il

L'autore

MarioC

MarioC

Iscritto dal 29 settembre 2015 Vai al suo profilo
  • Seguaci 45
  • Post 55
  • Recensioni 124
  • Playlist 14
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Saggezza (forse leggenda) popolare vuole che l’estate finisca con il 15 agosto. In parte può essere vero: esaurita l’acme festaiola, sublimata nel rito delle scampagnate e nei baccanali della perdita di sé, inizia ad insinuarsi la malinconia della ripartenza che rende il sole meno amichevole, la sabbia poco dorata, i bagni più faticosi. Ed ogni estate ha i suoi strani leit-motiv: una volta c’erano i libri sotto l’ombrellone, i primi walk-man, i nascenti timidi squilli dei cellulari; oggi abbiamo i Pokemon, che si annidano anche nei castelli di sabbia di bambini ancora per poco protetti dall’innocenza, ed i burkini, buoni per garantire il sale della polemica (stantia) a giornate che si trascinano nella rilassatezza e nella indifferenza. E, per inciso, i vu cumprà sembrano le moderne lucciole pasoliniane: se ne vedono sempre meno, e quei pochi sembrano stanchi e poco urlanti, pezzi di un modernariato che non fa in tempo a garantirsi un posto vero nel Pantheon dei riti da solleone.

 

E poi ci sono anche le estati vuote. Vuote di senso e, soprattutto, di persone. Le città che si trasformano in oasi e riscoprono la lentezza, un ritmo appena accennato di movimento, la offerta possibile della consumazione dei riti nel tempo lungo che la calma consente. Quelle estati che consentivano a Nanni Moretti (Caro diario) di vergare un punto e di ripartire, dopo un respiro, alla ricerca di un sé che aderisse osmoticamente al circostante. La Vespa, il Ferragosto, le pochissime macchine (altre lucciole, la cui scomparsa, essa sì, genererebbe piacere). La possibilità di un viaggio, nemmeno troppo lontano: una riscoperta di quella parte del proprio vissuto sempre isolata nel cono d’ombra della frenesia, una Roma nascosta, architettonicamente brutta ma interiormente viva e brulicante, i quartieri che l’estate spopola e che restano al sole, aspettando forse che i suoi raggi regalino loro autonoma vita, e bellezza, e comprensione. Infine la classica gita fuori porta, senza vettovaglie che non siano quelle della memoria: Ostia e Pasolini (ancora lui, forse sempre), per un Ferragosto che non ha paura di ricordare e che anzi, complice la calma, ne è finalmente capace.

 

 

Il Ferragosto è, si diceva, rito. Meglio: rituale. Un canto innalzato alla Dea Kaloria, una condivisione di momenti irresistibilmente glicemici. Certo, non sempre tutto questo è possibile: ditelo a Gianni Di Gregorio (Pranzo di Ferragosto), preso al laccio da una madre dispotica e dalle incombenze economiche. Fare di necessità virtù, rimboccarsi le maniche, apparecchiare il desco di una memorabile Villa Arzilla, più vitale dello stesso organizzatore, più proiettata al futuro perché maggiormente consapevole del proprio passato. La calma romana di fine estate che si trasforma in una perenne lotta che assecondi l’istinto: se le signore, con il loro diverso background sociale e culturale, hanno bisogno di riconoscibilità, Gianni ha, più prosaicamente, urgenza di denaro. Ed un’estate da mal di testa continuo può ben valere una messa (in tavola).

 

 

L’estate e l’amore. Italians do it better, leggende rimpinguate dal sale grosso della guasconeria. I biondi capelli svedesi che cedevano con facilità, le figure mitologiche dei bagnini capaci di salvare uomini in mare ma anche donne in barca. Ma se resti a Roma, in un agosto che spopola, hai poco da farti bello, hai poco da sistemarti il pacco con batuffoli di ovatta, dopo una specie di sauna che ti lascia uguale a prima. A meno che non sogni, anzi già viva, la Polonia e le leggende sulla cedevolezza delle sue donne. Selezionando un modesto Reader’s’ Digest della sessualità scopri che possono bastare un paio di calze e molti, moltissimi profilattici. Il problema è che ti chiami Enzo (Carlo Verdone, Un sacco bello), hai varcato da un bel po’ di tempo la soglia della giovinezza attrattiva (del resto nemmeno curandola troppo) ed hai un’agenda che ha preso troppa polvere. Ad agosto non puoi che trovare chi sta peggio di te, perché le turbe psicosomatiche mal si adattano al mare ed ai viaggi all’estero. Ed allora non basterà nemmeno una macchina che si presume fiammante: le polacche non avranno le loro calze di seta. L’unica protezione che resta (restando intonse le confezioni di preservativi) è quella di immaginare la prossima estate, quando andrà meglio, ed un altro anno passato sarà esperienza in più in quel vuoto girotondo di ricerche.

 

 

Mentre chi va al mare, sì, può scatenarsi col sesso. Anche ad Ostia, certo, dove una cabina (Casotto) può farsi laica e sconsacrata chiesa di pallide vestali, uomini in castità, furbe famigliole con nipotine minorenni incinte da cedere al più tonto del villaggio, coppie in fregola color gambero, sottoproletari con calzini sporchi e libido specchiatissima. In un tramestio di frittate e cocomeri, urla ed inganni, sogni più reali della strisciante disperazione, l’umanità non ha paura si scoprirsi e dimostrarsi per quel che è: un’accolita di speranze con poche coordinate che attende l’estate perché un momento di perdita di sé porti l’oblio di tutti i 27 del mese, degli isolamenti, di quel reale casotto (di più: casino) che è ogni singola, piccola vita da outsider. Per fortuna arriva la pioggia, un segnale biblico che risistema ogni cosa sulla capiente teca della nostalgia. Ostia per oggi è andata, torniamo a casa, ai nostri soldi sudati, ai nostri pedalini da lavare.

 

 

In Agosto non si vive di politica. Però si può, qualche volta si deve, vivere in senso politico. Quando negli anni ’90 lo schierarsi di qui o di là aveva ancora un senso, prima del tornado alla melassa che ha abbattuto o infragilito le differenze, poteva accadere che due nuclei familiari si ritrovassero in quel di Ponza (per le Ferie d’Agosto), ognuno recando con sé i sensi distintivi di una appartenenza. Salvo scoprire, a proprie spese, che il rispettivo territorio era marcato allo stesso modo, con fastidiose pisciatine di pregiudizio e linee segnate dalla faciloneria e dall’odio verso il diverso da sé. Di fronte ad una stella cadente, il desiderio tornava ad essere la consueta livella: una politica già incapace di parlare al cuore delle masse cedeva il passo ai sogni di felicità, destinati a non passare mai di moda. Ferragosto, gioie mie non vi conosco.

 

 

Viene da pensare che l’estate possa e debba essere anche riflessione e pausa. Che sia necessario fare come faceva Andrea Pazienza, in quel di San Menaio (Foggia, Gargano). Mettersi a guardare il mare, respirarne ed introiettarne la malinconia, ed aspettare di crescere. Senza fretta, con solo un po’ di ansia.

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati