Espandi menu
cerca
La Torre sull'Orlo della Notte (Parte II)
di GIANNISV66
post
creato il

L'autore

GIANNISV66

GIANNISV66

Iscritto dal 10 maggio 2010 Vai al suo profilo
  • Seguaci 141
  • Post 39
  • Recensioni 224
  • Playlist 38
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

(....................)

 

“Aiutatemi, vi prego.........aiuto!”

Tutta la casa si svegliò, il personale di servizio e i genitori accorsero nella stanza di Geremia. Maira, l'infermiera assunta per assisterlo di notte cercava di tenere fermo il povero ragazzo stravolto da violentissime convulsioni.

Il padre con l'aiuto del giardiniere cercò con la forza di bloccare gli arti in preda a movimenti talmente sconnessi da far pensare all'azione di un demone, mentre Rachele aiutata dalla cameriera posava pezze ghiacciate sulla fronte del figlio.

“Presto, la medicina!” Urlò l'uomo e l'infermiera accorse con il bicchiere dentro cui aveva dosato le gocce del farmaco preparato dal dottore.

Geremia si acquietò dopo pochi minuti e i familiari poterono tornare alle loro stanze. Tutti tranne la mamma: “Le faccio un po' di compagnia, ormai non dormo più” disse all'infermeria, il bel viso tirato in un sorriso che era di sola cortesia e piuttosto stonato se paragonato a quegli occhi spenti.

L'infermiera sorrise a sua volta, e non disse alla donna che quella compagnia era graditissima. In quella stanza c'era una atmosfera inquietante, la donna all'inizio aveva temuto di assopirsi ma ben presto si era reso conto che non era quello il problema. Piuttosto quel senso di oscurità che sembrava mangiarle il cuore, una sensazione assurda per chi aveva vegliato malati in condizioni ben più disperate ed in case ben più tetre. Tutta colpa, aveva concluso dopo un'attenta osservazione, di quello specchio. Aveva avuto una notte per un attimo la sensazione di vedere una costruzione possente circondata da una folla, una sorta di allucinazione dovuta al poco sonno senza dubbio. Ma da quella volta non si era sentita più tranquilla.....................

 

 

Venimmo accolti come degli eroi, avevamo distrutto un covo di Muthas ma, soprattutto, avevamo portato un mucchio di viveri, e individuato una nuova scorta. Bisognava studiare un sistema per recuperare tutto quel ben di Dio ma lo avremmo trovato. Come sempre!

Intanto la sera era calata e alla torrida giornata stava subentrando la notte gelida. Il clima della città non cambiava mai, sui libri avevo letto che una volta esistevano le stagioni che avevano ispirato poesie e scandito la vita delle persone. Adesso no!

Di giorno un sole spietato (ma a cui eravamo grati, quella luce era la nostra salvezza) rendeva l'aria caldissima, ma di sera si levava un vento freddo che arrivava dritto dall'ampio letto del fiume e avvolgeva ogni cosa in un abbraccio gelido. E poi in piena notte molto spesso arrivavano le nubi e cominciavano gli scrosci d'acqua, temporali violenti di breve durata, a volte pochi minuti talvolta mezz'ora ma non di più. Quell'acqua per noi era preziosa più dell'oro, ed eravamo grati al Cielo per quelle gocce.

Poi, caduto l'ultimo rovescio, era solo attesa dell'alba.

Chi non mancava mai l'appuntamento erano i Muthas, arrivavano quando il buio era totale e si disponevano tutto intorno alla Torre, nel greto riarso del fiume, nelle strade intasate dalle macerie, tra i pezzi massicci di cemento armato crollati dai grattacieli in rovina.

C'erano solo loro, cani randagi, topi giganti e ogni altro essere vivente che infestava le vie della città fuggiva di fronte alla loro ferocia.

Una massa enorme di umanoidi che si stagliava nel buio, illuminata, quando c'era, dalla luce della luna (che evidentemente sopportavano). Ma anche se non li vedevi non potevi non udire il sordo brontolio che usciva dalle loro gole, una minaccia per l'umanità intera, o meglio per quei miseri resti che erano rimasti.

Il piano terreno e il primo piano della Torre sono interamente riempiti di macerie, nessun essere vivente di dimensioni superiori a una blatta può passare da lì, sono liberi solo due accessi e vengono sbarrati da porte pesantissime.

Ma nonostante questo un gruppo di noi monta di guardia ogni notte all'ultimo piano: da lì domini la zona e lo sguardo non ha ostacoli. E da lì li possiamo controllare. Quella notte montammo anche io e Jared nonostante la stanchezza della giornata: l'adrenalina scorreva forte nelle nostre vene, meglio salire alle terrazze e far riposare gli altri.

E li vedemmo arrivare, come ogni notte. E per fortuna arrivò la pioggia, i tuoni quanto meno coprivano quel brontolio terrificante, anche se né l'aria gelata né le gocce violente sembravano sortire effetto alcuno su quei mostri, che restavano immobili e incuranti delle intemperie.

Non potevamo distinguere nulla in quella massa oscura, ma potevamo percepire benissimo l'orrore del loro sguardo privo di anima, un non-sguardo che sembrava provenire dal più remoto degli oltretomba.

Alla fine Jared mi guardò e mi disse: ”scendo, qualcuno ha bisogno di me” e un sorriso finalmente illuminò il suo volto. Sarah lo aspettava tre piani più sotto, nel piccolo alloggio di due stanze che la comunità aveva assegnato a lei e a Jared. Sorrisi anche io ”Vai pure amico mio!”

 

 

Geremia si agitò nel sonno e all'infermiera parve di cogliere un movimento di labbra. Si accostò incuriosita, il ragazzo non aveva più parlato a parte i rantoli o i gemiti di dolore. Avvicinò l'orecchio alle labbra e all'improvviso sentì chiaramente la parola “Sarah”. Sobbalzò, aspettò qualche minuto indecisa sul da farsi. Scrutò il volto del ragazzo, ma le labbra ormai erano sigillate. Meglio non dire nulla a nessuno, soprattutto alla Signora, meglio non creare false speranze......

 

Sarah era stata una delle ultime persone ad aggiungersi alla comunità della Torre, sono passati ormai una decina d'anni. Io e Jared eravamo due ragazzi poco più che ventenni e partecipavamo ormai attivamente alle attività necessarie alla sopravvivenza, e pure alle spedizioni. A dire il vero quello spericolato e sempre pronto ad offrirsi volontario era Jared , io lo seguivo più per la paura che mi prendesse in giro che per una reale voglia di esplorazione.

Fu Nathaniel a raccogliere il messaggio di richiesta di aiuto via radio, avevamo ancora un apparecchio radio all'epoca e il vecchio Nathan sapeva come farlo funzionare a dovere.

All'inizio molti erano scettici, era ormai un sacco di tempo che nessun segnale arrivava dall'etere: che fosse una trappola? Che i Muthas avessero trovato il modo di inviare una richiesta di aiuto fasulla? Era una cosa assurda ma la paura ti fa sembrare plausibile tutto.

Alla fine Jared ruppe gli indugi e partì, e io ovviamente gli andai dietro, insieme a Samuel ed Isaiah che erano due matti come noi.

Partimmo col mezzo più blindato che avevamo, un vecchio furgone che innesti di ferraglia saldata avevano trasformato in una sorta di carro armato. Dovevi restare sempre in movimento, se ti fermavi i Muthas ti avrebbero fatto a pezzi anche se eri in un mezzo corazzato. L'unico modo per sopravvivere era questo: uno guidava, un altro era pronto con le armi e gli altri si riposavano per farsi trovare pronti a dare il cambio.

Arrivammo dopo un viaggio di tre giorni e individuammo il luogo da cui proveniva il segnale radio: un bunker ipersofisticato e tecnologico costruito da un tizio che un tempo doveva essere stato ricchissimo e che lì si era rifugiato con la sua famiglia al gran completo, rifiutando di unirsi agli altri gruppi.

La piccola comunità era stata capeggiata dal figlio del fondatore, ostinato a restare bloccato in quella dimora, perché convinto che gli uomini non fossero meglio dei Muthas. Quando il folle era morto per bloccare l'ennesimo attacco di quei mostri che trovava più simpatici dei suoi simili, con lui erano morti tutti gli altri tranne sua moglie e la figlioletta di pochi anni. La donna era riuscita a rifugiarsi con la piccola in una stanza blindata e qualcuno prima di morire era riuscito a far partire il segnale di aiuto.

Se non fossimo arrivati noi non avrebbero avuto alcuna speranza di sopravvivere.

 

 

Tra Jared e Sarah non fu, almeno all'apparenza, amore a prima vista. Lei era abituata a essere trattata come una principessa, e non apprezzava i suoi modi sgarbati. A suo vantaggio giocava il fatto di essere piuttosto attraente, cosa che le faceva raccogliere i consensi e le simpatie di tutti i maschi della comunità. Persino un lupo solitario come me non era indifferente al suo fascino.

Di tutti, tranne quelli di Jared che non perdeva occasione per stuzzicarla, riprenderla e farla oggetto di battute. Naturalmente lei non stava zitta e fra i due era una scaramuccia continua; e a forza di scaramucce alla fine scoppiò la passione fra di loro, qualcuno ci restò pure male ma tutti restammo sorpresi. Perché il duro e scorbutico Jared aveva un lato nascosto, e quel lato aveva deciso di mostrarlo solo a Sarah.

E adesso vorrai sapere di me e Jared? Beh Geremia, ho un nome simile al tuo, mi chiamo Jeremy, e attraverso questa porta che non saprei neanche come definire riesco a dialogare con te che sei lontanissimo nel tempo e forse nello spazio (ma forse no), una porta che sembra uno specchio e che si collega a qualcosa che probabilmente anch'esso sembrerà uno specchio.

Non so quale scienza ci sia dietro questo aggeggio, ma so come farlo funzionare, me lo ha detto il vecchio Lucas, ma questa è un'altra storia che poi ti racconterò.

Adesso ti racconterò invece la mia di storia: ricordo a mala pena il volto di mia mamma, per nulla quello di mio padre. Facevano parte di una di quelle bande che imperversavano nel periodo appena dopo la catastrofe, e che erano destinate ad essere spazzate via: erano troppo sicuri di sé e sicuri di essere i nuovi padroni del mondo ma non avevano fatto i conti con i Muthas.

Mia madre riuscì a scappare e a raggiungere la comunità della Torre, spesso la banda aveva cercato di assalirla ma le difese di quell'edificio erano troppo solide. Tuttavia quando la mamma cercò rifugio da loro venne accolta senza alcuna esitazione. Lei non stava bene e morì poco dopo, mi allevò Lucas come fossi suo figlio e non so altro.

Jared invece arrivò dopo di me, un bambino spaurito trovato per caso in un seminterrato. Aveva vissuto da solo per chissà quanto, forse per mesi, sfuggendo ai Muthas. Era piccolo e riusciva rifugiarsi in cunicoli dove i mostri non potevano entrare, unico superstite di una piccola comunità distrutta da quegli essere maledetti. Aveva sette anni, la mia età, quando lo trovarono, Lucas mi disse che non aveva mai visto un bambino con quell'espressione scolpita in faccia. Solo il Cielo poteva sapere quali orrori avesse visto Jared, ma quello che divenne chiaro col tempo a tutti era che Jared viveva nutrendosi dell'odio per i Muthas, e che la sua vita aveva solo uno scopo: estirparli dal nostro mondo

 

 

Rachele osservava con attenzione il figlio. Geremia dormiva in apparenza tranquillo, le medicine lo tenevano almeno in stato di quiete ma la febbre lo divorava. Per distrarsi da tutta quell'angoscia cominciò a controllare lo stato della stanza quasi a cercare una mancanza del personale ma in realtà tutto era a posto, la biancheria fresca e i mobili privi di qualsiasi granello di polvere.

Poi lo sguardo si posò sullo specchio: quell'oggetto l'aveva affascinata, una fattura strana, un lavoro di intarsio raffinato. Aveva insistito lei per acquistarlo da un antiquario in una città lontana, nonostante il prezzo elevato. Ma adesso quell'oggetto le trasmetteva solo un senso di inquietudine. E cominciò a coltivare l'irrazionale pensiero che fosse legato alla malattia del figlio........

 

Jared entrò nella stanza e osservò Sarah, e il suo sguardo si sciolse finalmente in una espressione di tenerezza: lei si era raggomitolata sotto le coperte e sembrava dormire profondamente. Aveva qualche anno più di lui ma sembrava una bambina spaurita. Si avvicinò e le scostò i capelli dal viso, svegliandola.

Sarah lo guardò con i sui profondi occhi nocciola che si coloravano di verde quando facevano l'amore,e poi gli sorrise. Di lì a pochissimo però al sorriso subentrò uno sguardo serio e severo.

“Sei arrabbiata con me?” “Arrabbiata? E perché mai?” Jared la scrutò e non ebbe dubbi: decisamente Sarah era arrabbiata!

“Serve a qualcosa parlarne ancora, dirtelo ancora? Ogni volta che ti vedo partire una parte di me muore, lo capisci che non posso sopportare l'idea di perderti? Ti è così difficile? E non mi raccontare la storia del mondo migliore, non me la bevo. Hai un conto in sospeso con quei mostri e lo devi regolare. Non lo regolerai mai, in compenso un giorno o l'altro mi diranno che ti avranno fatto a pezzi e io non avrò neanche un corpo su cui piangere”

Jared restò in silenzio, mentre una lacrima scendeva lenta sulla guancia di Sarah. Le fece una carezza sul volto e uscì dal piccolo alloggio. Lei lo conosceva meglio di tutti, lei sapeva ciò che c'era dentro di lui. Li sognava ancora adesso, che erano passati almeno venticinque anni, quei maledetti buchi che erano stati la sua casa per un tempo indefinibile. Erano stati i suoi genitori a mostrarglieli: “rifugiati lì Jared, se dovesse accadere qualcosa di orribile. I Muthas sono troppo grossi per entrare” Gli avevano fatto vedere dove tenevano le scorte di cibo, i Muthas non mangiano il cibo degli umani, gli avevano spiegato di uscire solo di giorno, i Muthas odiano la luce.

Sembrava una favola, quella sui mostri cattivi che però esistono solo nelle fantasie dei creatori di fiabe.

E invece i mostri erano arrivati davvero, orrende creature dallo sguardo di morte, esseri scacciati da chissà quale inferno, e avevano spazzato via tutti. Aveva visto i suoi amici fatti a pezzi ancora vivi, ogni volta che quella scena lontana tornava nella sua mente sentiva ancora le loro urla straziate. Papà lo aveva scaraventato nei cunicoli gridandogli di fuggire, poi aveva caricato la pistola, aveva ucciso la mamma e si era suicidato.

Stramaledetti Muthas! Aveva vissuto per mesi nel terrore, uscendo quando i raggi del sole glielo permettevano per procacciarsi il cibo, per poi rifugiarsi nella sua tana. E pregando tutte le sere come gli aveva insegnato mamma perché qualcuno lo salvasse.

E alla fine lo avevano salvato, lo sguardo sorridente di Jacob che gli tendeva le braccia si era impresso nella sua mente col fuoco, anche se poi Jacob stesso gli aveva raccontato che non era stato facile snidarlo da quei cunicoli, era talmente terrorizzato da scappare ogni volta che vedeva un movimento.

Era cresciuto accudito dalla comunità e con lui, ma molto più di lui, era cresciuto l'odio per i mostri dallo sguardo spento, li voleva spazzare via dalla faccia della Terra.

La sua rabbia assumeva talvolta manifestazioni così violente che in una occasione Lucas, impaurito dai suoi eccessi, gli aveva detto una cosa a dir poco sconcertante: “non li odiare, non sono consapevoli di ciò che fanno e in loro c'è di umano molto più di quanto tu possa immaginare”.

Ma alle sue continue e pressanti richieste di spiegazioni il vecchio non volle mai rispondere.........

 

(continua...........)

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati