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Sicilia Queer FilmFest - Giorni 5 e 6
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In occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno ai Cantieri Culturali della Zisa si è potuto assistere alla proiezione di uno dei più importanti film di Bernardo Bertolucci, Novecento, nella sua versione integrale. Ma il fatto davvero emozionante che ha accompagnato questa giornata è stato certamente la presenza di Dominique Sanda in persona, attualmente residente in Sud America, ma che ha preso parte all'evento presentando insieme ad Andrea Inzerillo e ad Umberto Cantone il film in cui lei interpreta la leggendaria Ada. Non appena le viene data la parola, racconta del suo rapporto con Bernardo Bertolucci in un italiano notevole per una donna che comunque non lo mastica da anni ma che lo parlava moltissimo, per necessità di cose, nel suo periodo d'oro. Ha narrato dell'affetto che nutriva Bertolucci per lei, e che lei nutriva per lui, ha discusso dell'importanza di Novecento e ha saputo commuovere con il ricordo di quella mitica esperienza nelle nebbiose campagne romagnole. Appena conclusa la presentazione, con sorpresa si è seduta tra le file centrali della sala De Seta e accompagnata da un applauso ha deciso di vedere con tutti il film. Durante i titoli di testa, ha tenuto a esclamare, di seguito a tutti i nomi cui aveva fatto cenno durante la presentazione,: "E c'è anche la splendida musica di Ennio Morricone!". 

Dominique Sanda ha ricevuto la cittadinanza italiana a Palazzo delle Aquile a Palermo la mattina del 3 giugno.

 

locandina

Helmut Berger, Actor (2015): locandina

 

Il 3 giugno è stata forse la giornata più soddisfacente di proiezioni, nel senso che tutti i film hanno in un modo o nell'altro soddisfatto le aspettative. Da uno, ovvero Je, tu, il, elle di Chantal Akerman, c'era da aspettarselo. Ma gli altri due erano, per chi scrive, mezze incognite. Ebbene, il film di Andreas Horvath è un documentario dai contenuti arroventati e quasi indicibili: la musa di Luchino Visconti, il leggendario Helmut Berger, è osservato e seguito nelle sue attuali condizioni di vita, ovvero quelle in un sedicente appartamento di Salisburgo, nella decadenza più totale. Il cinema è diabolico, sussurra Helmut al suo osservatore-intervistatore, Andreas Horvath (che, da quanto si intuisce nel film, è anche il suo attuale partner). Con un accompagnamento musicale ardito e monumentale, Horvath tira le fila di un documentario che discute del suo stesso costruirsi, montarsi e disfarsi. Spesso nel film si parla dell'impegno preso da Helmut nel realizzare questo film in cui lui sarebbe intervenuto in alcune interviste, e avrebbe raccontato degli anni del suo massimo splendore, gli anni del Giardino dei Finzi Contini e soprattutto di Ludwig. Invece il film, nella sua piega metadocumentaristica, finisce per riflettere sulla vanità infinita di un uomo che, rinchiuso nei ricordi di un passato che non può esistere più, non fa altro che recitare se stesso, fino ad autoannichilirsi. Dunque un vero e proprio documentario shock, quasi una pietra tombale su un certo tipo di cinema del passato, che si chiude idealmente con una nevrotica e agghiacciante masturbazione, summa dell'intera, odierna, vita dell'attore Helmut Berger.

 

Voto: ***1/2

 

locandina

Je, tu, il, elle (1974): locandina

 

Alle 18,30 è stato il turno del mitico film di Chantal Akerman, non meno perturbante del film che l'ha preceduto. Je, tu, il, elle ha il rigore di un'installazione museale, sospinta però con un gusto e un taglio che non sono nient'altro che cinematografici. La regista di Jeanne Dielman ha realizzato uno dei più grandi film sulla concezione dello spazio come teatro di una vita meccanica e svuotata, espressione di un'insoddisfazione esistenziale che non si rassegna e si spinge verso un'agognata libertà, forse raggiunta o forse no. I monologhi della voice over sono rappresentativi di questa totale insofferenza nei confronti dei canoni del mondo (anche la stessa concenzione di uomo e donna), e si fanno portavoci di giganteschi contrasti ed abnormi opposizioni: fin dall'inizio la stessa Akerman, che interpreta la protagonista, annuncia di aver dipinto un mobile prima di un colore e poi di un altro. Ma noi non riusciremo a vedere i colori, il film è in un granuloso bianco e nero. Negando l'esplosione colorata e vitale della Nouvelle Vague, la Akerman (come ha ben fatto notare Vincent Dieutre nell'introduzione al film) guarda più al cinema americano underground, e ne rivive le incertezze e le aspirazioni. La sessualità smette dunque di essere libertà, e diventa un tentativo di fuga incerto quanto tutto il resto, specie se destinata al fuoricampo (la splendida scena della masturbazione dell'uomo, un giovanissimo Niels Arestrup irriconoscibile, è un ricalco di Blow Job di Andy Warhol). Ogni azione, il sesso e la nutrizione, o anche la produzione artistica (la protagonista scrive diverse lettere all'inizio del film), sono svuotati del loro piacere una volta che vengono raccontati e commentati costantemente e ripetutamente (la stessa sequenza già citata della masturbazione è descritta in ogni attimo dallo stesso Arestrup). In questo loro costante guardarsi vivere, i personaggi scavano la loro stessa fossa nel cimitero dei valori e della spontaneità, o rassegnandosi o rifuggendo un'alienazione cui sembra costringere la stessa condizione umana. Eppure Jeanne Dielman è forse più pessimista e apocalittico di questo Je, tu, il, elle: la sequenza erotica finale, che oggi fa pensare alla Vie d'Adèle di Kechiche ma ha in realtà tutt'altro ruolo e significato (abbastanza pretestuoso e irritante qualsiasi tipo di confronto), è improvvisamente silenziosa, e in questo senso - forse - liberatoria, anche solo per un attimo, per quegli attimi in cui si scorda di guardarsi vivere, e finalmente si vive: esperienza, comunque, da cui lo spettatore è tenuto alla larga da inquadrature fisse e distanti. Cinema sperimentale che fatto oggi apparirebbe fuori tempo massimo, ma che per allora era pura avanguardia.

 

Voto: ****

 

locandina

Tangerine (2015): locandina

 

Tangerine è forse il film più divertente di questa edizione del Sicilia Queer FilmFest. Prendete un Harmony Korine con la voglia di scherzare di un Kevin Smith, delle immagini con sovraesposizioni come se piovesse, una sceneggiatura parolacciara ma scoppiettante, ed eccovi servita una commedia che fa del ritmo e del movimento di camera la sua stessa ragion d'essere. Con un entusiasmo che purtroppo non riesce a privarsi di una piega in qualche modo conformista sul finale - comunque accettabile vista la necessaria contestualizzazione nel genere d'appartenenza - Tangerine è comunque un esperimento dall'esito felice e ben riuscito, in grado di intrattenere con intelligenza, sia narrativamente che visivamente. Scatta poi un inevitabile, ingenuo, entusiasmo, se si pensa che l'intera pellicole è realizzata con la fotocamera di un iPhone 5, con dovuta aggiunta di lenti. In concorso qui al Sicilia Queer, ha costretto il sottoscritto a rivalutare Alki Alki, e porre Tangerine al terzo posto in classifica dei film più belli che concorrono al premio delle Nuove Visioni, dopo Batguano di Teixeira e De l'ombre il y a di Nicholovitch.

 

Voto: ***

 

Domani, penultimo giorno di proiezioni, sarà la volta della seconda parte dei cortometraggi in concorso, di Henry Gemble's Birthday Party di Stephen Cone, di John From di Joao Nicolau (entrambi in concorso) e di Theo et Hugo dans la meme bateau di Olivier Ducastel e Jacques Martineau. 

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