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Sicilia Queer FilmFest 6 - Giorno 4
di EightAndHalf
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Primo giorno di giugno. Mese nuovo, prospettiva nuova: si cambia posto a sedere e lato in sala De Seta. La compagnia di visione, già alle 16, è ben assortita. Essendo, quelle pomeridiane, le proiezioni meno affollate, io e gli amici cinefili-avventurieri siamo forse l'unico insieme di persone sedute accanto in tutta la sala, che per il resto è un prato rosso con sporadiche teste solitarie. La sala va via via però riempendosi, e le proiezioni dalle 18,30 in poi si sono rivelate ben più frequentate.

 

locandina

Dora or the Sexual Neuroses of Our Parents (2015): locandina

 

Si parte appunto alle 16 con Dora Oder Die Sexuellen Neurosen Unserer Eltern, ovvero Dora o le nevrosi sessuali dei nostri genitori, di Stina Werenfels. Il titolo mi ricordava tremendamente le Chroniques Sexuelles di Jean-Marc Barr, ma per fortuna è stata una preoccupazione vana. Il film è un curioso ritratto introspettivo di una giovane diciotenne disabile, interpretata magistralmente da Victoria Schulz, che si invaghisce dell'uomo che un giorno la violenta in un bagno pubblico. La crescita e l'avviarsi verso l'età adulta sono per Dora scandagliati da eventi traumatici che però la sua mente registra come fatti se non positivi quantomeno normali e sereni: l'affetto nei confronti dell'apatico violentatore è la risposta al desiderio della sessualità che la ragazza, nonostante la disabilità, finisce ovviamente per provare vedendosi circondata da coppie e da spazi relazionali che sembrano esserle preclusi.

La Werenfels, che ha direttamente vissuto un problema di handicap mentale in famiglia, racconta brillantemente il disagio della giovane Dora curando sì le prospettive sfocate, i dettagli e i tremori delle sequenze più estreme, ma probabilmente dàndo il meglio negli splendidi, immobili, campi lunghi che in certi momenti interrompono la narrazione visiva cui ci aveva abituati e infondono negli occhi un gravoso senso di mestizia. Il film comunque propone anche numerosi dubbi e quesiti sul ruolo di questo tipo di individui nella società tedesca: come ben si è detto alla fine della proiezione, in cui è intervenuta l'attrice protagonista membro della giuria di questa sesta edizione del Sicilia Queer, genitori e amici vedono Dora più come un caso umano che come un essere umano. Ma esiste una sfera misteriosa della volontà della ragazza, e questa sfera sarà il fattore trainante e destabilizzante di un dramma robusto ma morbido, non eccessivamente rigoroso, coinvolgente e con una seconda parte migliore della prima, in grado di non concludersi né contenutisticamente né formalmente, deviando sul controverso personaggio dell'insoddisfatta e imperfetta madre di Dora.

 

Voto: ***1/2

 

locandina

De l'ombre il y a (2015): locandina

 

Alle 18,30 Vincent Dieutre e Andrea Inzerillo presentano uno dei favoriti del concorso Nuove Visioni, De l'ombre il y a, sulla carta notevole esemplare di caduta libera negli anfratti più squallidi della condizione umana. Nicholovitch accumula gli shock visivi all'inizio del film (con aure ferrariane se non sottilmente scorsesiane), ed esaurisce proprio all'inizio i contenuti più estremi. Questo azzera curiosamente la suspence, e dà spazio a ben altro. L'opera infatti vive di ellissi e rinvii continui, e almeno nella rigorosa prima parte non cerca l'empatia emozionale, quanto piuttosto quella sensoriale, che passa di diritto dalle situazioni più banali e degradanti, per poi scivolare nell'inerzia e nella marcescente vita del protagonista Ben, alias Mirinda, prostituto travestito in uno squallido quartiere di Phnom Penh. Lo scivolamento nel buio dell'anima e dei corpi, momentaneamente interrotto e poi rinforzato dall'apparizione della piccola Panna, bambina già spontaneamente tendente all'autodistruzione, ricorda le tematiche ricorrenti del cinema di Antoine D'Agata (non a caso, il documentario sul regista in questione si intitola The Cambodian Room, e vi si respirano sensazioni analoghe). Lo stesso Ben, pelato quando non indossa la parrucca, seduto sul suo letto o piegato su se stesso, sembra il corpo contratto di D'Agata. Qui però Nicholovitch non adotta una mdp fissa e attonita, ma una cinepresa mobile, dai tempi - almeno all'inizio - succulentemente dardenniani (i tempi delle immagini e degli apparenti tempi morti sono in realtà i tempi dell'emozione spettatoriale). L'irrompere però di una trama, legata alle origini di Panna e alla compravendita di bambini nella Cambogia più malfamata, non si inserisce bene nella fluidità dello sguardo di Nicholovitch, e il film affonda in un frammentato maledettismo dalle tinte più prevedibili (il rapporto affettuoso fra Ben e Panna è trattato con cessione di una buona dose di rigore fino ad allora adottato). E nonostante le ellissi lo spettatore, più che disorientato, è annichilito e svuotato da un impianto visivo che tende a collassare su se stesso. La concessione extradiegetica finale e il racconto della bambina indeboliscono una struttura che nelle fondamenta prometteva grandi cose.

 

Voto: ***

 

locandina

La belle saison (2015): locandina

 

Il disastro viene invece alle 20,30. Catherine Corsini, regista dall'invidiabile anonimato estetico, dipinge la stucchevole storia d'amore lesbico fra Delphine e Carole (la seconda è interpretata da una sprecatissima Cécile de France), sulle tracce de La Vie d'Adèle e volendo del Cowgirl vansantiano, specie nella prima parte ambientata a Parigi (la versione suffraggetta politically correct degli spaccati giovanili del recente Après Mai di Olivier Assayas, o di altri capostipiti ancora più illustri). Per chi pensava che le scene di sesso de La vie d'Adèle fossero senz'anima né pathos, dovrebbe vedere quelle - ridicolmente caste - di questo film. Il polpettone si fa più indigesto via via che il minutaggio prosegue, ci si sponta nella narrowmindedness della campagna francese, e la relazione fra Delphine e Carole diventa sofferentemente clandestina. I personaggi sono così scontati che ad ogni momento si sa cosa succede il momento dopo. Nel tedio più indicibile, proprio da dimenamenti in poltrona, arrivano anche situazioni al limite del risibile. Si potrebbe pensare che si tratta di un film innocuo: ma quando la rivoluzione viene mostrata in maniera così..poco rivoluzionaria, piatta, direi quasi stereotipata, in termini cinematografici, non si può che provare vergogna.

 

Voto: *

 

locandina

Batguano (2014): locandina

 

Arriva dunque il film ad ora più folle del Sicilia Queer FilmFest. In concorso, Batguano, di Tavinho Teixeira, un delirio post-apocalittico, Beckett o Pinter nell'era della riproducibilità tecnica, indagine sul cinema come illusione che passa necessariamente dall'assurdo, dal grottesco e dall'osceno. Batman e Robin sono rinchiusi in un gigantesco capannone, una parte del quale è un'invalicabile foresta abitata da un minotauro, e stanno al sicuro da un'epidemia, dovuta agli escrementi di pipistrello, che sta mettendo in ginocchio la popolazione mondiale. La clausura però non nega ai due protagonisti di intrattenere delle avventure esterne: tramite effetti speciali bene in mostra, esplicitazione della natura finzionale cinematografica, praticamente uno squartamento della patto di sospensione dell'incredulità, i due fanno lunghi giri in macchina, interagiscono con degli schermi, e finiscono loro stessi per fondersi con le immagini proiettate. Con rigore schematico, dissimulato da un feroce umorismo filosofeggiante, Teixeira dispone l'uno di seguito all'altro tutti gli espedienti di mise en scène della Settima Arte, osservando la stessa nella sua dimensione banalmente primordiale: la fuga dal reale. Più volte Robin avverte il disilluso Batman che l'importante è essere vivi, domandando retoricamente cos'è la vita rispetto all'arte. Tutto questo ambaradan però è filtrato dal tema dell'automutilazione (Batman non ha un braccio) e della mercificazione del corpo (la qual cosa passa necessariamente dalla sua rappresentazione anche pornografica), tematiche vagamente memori delle follie apotemnofiliache del Consumed cronenberghiano. Insomma, una geniale distopia teorica, riflessiva e automutilante, che si fa beffe di qualsiasi tentativo di etichetta.

 

Voto: ***1/2

 

Domani verrà proiettato Novecento di Bertolucci, in occasione dell'arrivo a Palermo di Dominique Sanda. Il sottoscritto dunque si concederà un giorno di riposo dalla pubblicazione dei post. Nuovi aggiornamenti dopodomani 3 giugno, in cui sono previsti Helmut Berger, Actor di Andreas Horvath, Je tu il elle di Chantal Akerman e Tangerine di Sean Baker.

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