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Bambole horror.
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scena

Profondo rosso (1975): scena

Avevo una bambola da piccina che mi faceva paura. Me l'aveva regalata una vicina di casa, una volta che era venuta a trovarci. Era di quelle bambole che si vendevano insieme alle scatole di cioccolatini, di quelle scatole con la carta argentata, dove dentro c'erano cioccolatini di vari gusti, e legata insieme al fiocco della scatola c'era questa bambola...inquietante. Aveva la faccia di plastica lucida e gli occhi di vetro con le palpebre che si aprivano e chiudevano a seconda di come la tenevo in braccio. Il vestito era a pallini, con dei pizzi sulle spalle e i polsini chiusi alle manine. I capelli erano marroni lucidi, raccolti in due codine con dei fiocchi di nastro scadente. La cosa che più mi aveva (inspiegabilmente a pensarci oggi) impaurita erano le scarpine: di vernice lucida, con una piccola apertura a modo di sandalino. Erano piedini troppo piccoli rispetto alla dimensione della bambola, era impossibile farla stare ritta sulle gambe, che pure erano di plastica rigida. Dopo averla rigirata un po' tra le mani, misi questa bambola sullo scaffale più alto della cameretta. Non le diedi un nome, come di solito ero fare con i miei giocattoli, non credo di averla mai pettinata o svestita, tanto meno levate le scarpette. Se mai ci ho giocato le facevo sempre fare una brutta fine. Quando entravo in camera, buttavo sempre un occhio alla bambola senza nome, come a controllare che non si fosse mossa in mia assenza, inutile dire che mi sentivo sempre osservata dagli occhi di vetro, tanto che mi capitava di nasconderla sotto qualche altro pupazzo...La nascondevo talmente bene da dimenticarmene, quindi il mio spavento era maggiore una volta che me la ritrovavo tra le mani casualmente mentre giocavo con i pupazzi che l'avevano nascosta.

Nei film le bambole hanno sempre rappresentato qualcosa di sgradevole, racchiudono in sé una presenza malevola e maligna, un corpo feticcio e apparentemente inoffensivo per un'anima molto più potente. Non sono solo il mezzo preferito da Satana in persona o di qualche altro demone per possedimenti casuali, sono loro stesse (molto spesso) il simbolo del male, rappresentano la personalità malata di maniaci assassini, oppure sono il ponte perfetto tra i vivi e i morti. Filastrocche infantili, nenie, girotondi fanno da cornice a bambolotti impiccati, con gli occhi di vetro fissi nel vuoto.

Non mancano gli spiriti di bambini morti che non si separano mai da bambole dalla personalità ambigua.

Ci sono bambole ad immagine e somiglianza della protagonista diventata troppo vecchia, rimasta imprigionata  nella fragile ceramica di una bambola a dimensione naturale. La bambola è immortale, un sarcofago ben confezionato per spiriti maligni che cercano un corpo da abitare.

Credo che ognuno abbia avuto un gioco preferito, una “Rosebud” perfetta da ricercare una volta cresciuti. Nella stessa maniera esiste ciò da cui si è sempre scappati, il gioco che non si usava mai, quello da tenere nascosto e da regalare alla prima occasione.

Il rimpianto per un gioco perduto e la paura inspiegabile per qualcosa che non ci ha mai abbandonato vivono sullo stesso scaffale del mio cuore da molti anni.

scena

L'evocazione - The Conjuring (2013): scena

 

Forse è questa la ragione per cui mi piacciono e guardo sempre senza stancarmi film dell'orrore, una sorta di esorcizzazione per vecchie paure rimaste nascoste sotto qualche pupazzo. Il gioco “perverso” forse consisteva e consiste ancora oggi dopo molti anni, a ricercare quell'antica paura, quel brivido agghiacciante nel sentirsi spiata da una presenza estranea che non avevo mai accettato, per poi riscoprirsi al sicuro tra le mura della propria cameretta. Chissà se ci avessi giocato tanti anni addietro con quella bambola dalle scarpe di vernice, magari oggi mi guarderei solo commedie e film di avventura. Il segreto forse è proprio questo: affrontare le proprie paure senza nasconderle dietro alle facciate più rassicuranti.

 

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