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Una storia americana (anzi italoamericana)
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3.000 abitanti circa, stradine tortuose, un incantevole belvedere, cucina che stacca con ampio margine i moderni dioscuri dell’alimentazione. E’ Ferrazzano, comune a 10 chilometri da Campobasso, Molise. Un posto dove non sarete stati mai, e come darvi torto: perso in una inaccessibilità in parte voluta, incapace di pubblicizzare le proprie bellezze naturali, guardingo se non diffidente nei confronti degli stranieri, siano anche della non distante Isernia o della metropoli Campobasso (il capoluogo di regione, la città del terziario, dei locali, della Università e della perdizione).

 

 

Intorno alla metà degli anni ’90 Ferrazzano è scossa da più di un fremito. Si organizza un Festival cinematografico dedicato a Robert De Niro, grazie alla meritoria iniziativa di un’avvocatessa (per inciso già compagna di scuola del sottoscritto, appunto nella vicina e dispersiva grande città). Una settimana in estate all’aperto, all’insegna delle proiezioni dei film del grande Robert: accorrono in numerosi, dalle case del borgo (non di rado portando in spalla le proprie sedie di plastica), ma anche dal capoluogo e dai paesini limitrofi, di cui qui risparmieremo i nomi, poiché non ha senso declinare una toponomastica dei luoghi fantasma. Un successone: la piazza è gremita, benchè Ferrazzano in agosto sia vittima delle tarde estati molisane di una volta: serate fredde, ventose, brividi di emozione e di ipotermia (il petto nudo di Jake La Motta deve sembrare incongruo agli spettatori stretti nelle magliette di cotone pesante). Inizia a correre una voce, che da limitata si fa crescente e scatena un effetto valanga in tutta la regione. Ma lo sapete che Robert De Niro è molisano? I suoi avi erano di qui, di Ferrazzano! Sembra una boutade, il canto delle sirene di posti brulli e selvaggi, incapaci di affrancarsi dalle catene della altrui indifferenza e del proprio orgoglio sordo. Ma l’avvocatessa insiste, forte di un entusiasmo che contagia: ve lo dimostrerò, prima o poi vedrete Robert seduto al ristorante “Emilio”, mentre ordina una squisita pizza e minestra.

 

 

Non c’è ancora Internet: dunque le notizie sui natali di De Niro risultano alquanto frammentarie, in massima parte affidate alla saggezza o alla diffidenza popolare. A Campobasso c’è qualcuno che conferma di aver già sentito quella voce e, del resto, un cognome così parlerebbe da solo; altri, davanti ai bar, non potendo più discutere della squadra di calcio caduta in ampie disgrazie, si riscattano con il cinema e, magari, si infilano in bocca una sigaretta stile Casablanca per farsi belli di fronte alle cassiere. Siamo nella regione di De Niro, no? Ma la maggioranza, francamente, se ne infischia. Robert di Ferrazzano? Bene, aspettiamo il suo outing, dovrà ricordarsi delle valigie di cartone e degli stentati primi pranzi americani. Poi una voce prende corpo: il nonno! E’ il nonno che partì dal paesello, si chiamava Di Niro e scappò dagli stenti di Ferrazzano verso la fine del 1800, per cercare fortuna negli States. L’avvocatessa è lì, che se la ride. Ogni promessa è debito.

 

Intanto il Festival continua, un appuntamento fisso dell’estate. Si chiama “C’era una volta in…Ferrazzano” ed i tre puntini di sospensione, lungi dall’essere una evocazione di Céline, stanno lì a ricordare furbescamente l’ipotesi, la orgogliosa meraviglia, la pervicace promessa: Robert De Niro è dei nostri. Altro vento, altro freddo, altre visioni dei capolavori del molisano lontano. Ci sono spettatori fedeli, altri che vanno e vengono, sfidando le intemperie, un audio non sempre impeccabile, i bambini che piangono, le mamme che arrancano, i padri che fumano in tempi di divieti elastici o proprio assenti. Qualche volta si annuncia la sortita a sorpresa di Robert; poi, per qualche ragione, sempre rimandata. Pare di essere in una rappresentazione dilettantesca di Aspettando Godot, dove il personaggio del titolo è un attore tra i più grandi, la cui carta d’identità sembra parlare quel dialetto strano, ibrido e bastardo, senza una propria identità ed invece percorso dagli scarti dei vicini vernacoli del beneventano e del foggiano.

 

Gli anni passano, la notizia resta lì, sospesa tra ali di informazioni che vanno arricchendosi di una linearità prima sconosciuta. Sembra confermato che il nonno di Robert fosse originario di Ferrazzano. Ma ormai gli entusiasmi sono sopiti, i più pensano ad altro: il computer ti porta il mondo in casa e, in provincia, la quantità di conoscenze un po’ dà alla testa, un po’ cancella i romanticismi. Ma c’è chi lavora nell’ombra e prepara la sorpresa, la festa con il Babbo Natale più inaspettato.

Una domenica come tante, nella primavera del 2007. La notizia è già corsa lungo il Molise e zone adiacenti. Basta accendere la televisione il pomeriggio e, ecco, qualcosa accadrà. Pippo Baudo chiama vicino a sè l’avvocatessa e la sua ossessione; ella porta in mano, guardate bene, un paio di chiavi che sembrano d’oro (!). Qualche minuto di convenevoli e salamelecchi di ordinanza e, poi, da una quinta un po’ nascosta compare lui, l’uomo che ha rivoluzionato il modo di interpretare un personaggio, il faro di molte giovinezze, il viso dalle infinite espressioni: Robert De Niro e, sullo sfondo, una diapositiva che raffigura il borgo di Ferrazzano, una di quelle immagini che vedi riprodotte in una cartolina da tabacchino di provincia e che nessuno comprerà mai, se pure varcasse la soglia del Sale e Tabacchi. L’avvocatessa consegna le chiavi all’attore, sul cui volto pare di scorgere una lacrima furtiva o comunque un segno di commozione lontana (c’era già la Carrà ma Maria De Filippi aveva ancora i calzoni corti). Infine l’epifania: RDN ammette le proprie origini e diventa cittadino onorario di Ferrazzano. Ecco, lasciateci essere un po’ più contenti, noi molisani.

 

Ora, Robert a Ferrazzano non si è ancora visto. Qualcuno continua ad aspettarlo, vuole valutare somiglianze, tratti somatici, imperscrutabili corrispondenze di amorosi sensi. Che volete: gli impegni, l’America, le donne, i film, la vecchiaia incipiente. Ma lui ha ammesso, ha riavvolto il nastro delle proprie origini ed ha regalato un quarto d’ora di notorietà a quanti andavano cercandolo con cronometri intartariti dal tempo e dalla volontà. E, comunque, che De Niro sia molisano non può essere revocato in dubbio: il personaggio de Il cacciatore potrebbe benissimo imbracciare il suo fucile e perdersi tra le montagne del Matese a dare la caccia ai cinghiali selvatici. Se poi passate per Roma, scoprirete che la maggior parte dei taxisti è molisana (al più abruzzese, ma di prima della separazione del 1963). Dunque Martin Scorsese, per affidare a De Niro il ruolo di Travis Bickle, deve aver fatto tappa a Ferrazzano.

 

 

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