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La bella di Roma
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Benché non recitasse in un film da molti decenni, Silvana Pampanini, scomparsa oggi alla simpatica età di novanta primavere, ha continuato ad alimentare da sé la sacra mitologia nazionalpopolare attorno alla sua figura. Ospite di numerosi programmi televisivi, dalle orgiastiche rievocazioni nostalgiche di Paolo Limiti ai talk di cinica derivazione costanziana, la Pampanini non perdeva occasione per ricordare quando nel 1946, nonostante la giuria avesse scelto un’altra concorrente, fu eletta Miss Italia ad ex-aequo a furor di popolo.

Celebrando continuamente questo evento, tipico aneddoto da dopoguerra, sottolineava implicitamente la sua florida bellezza che, inutile a dire, assumeva un significato presso il popolo nel momento in cui il Paese cercava di evadere dalla miseria. Così come le piaceva accostarsi alla creazione di Malafemmena, la canzone che Totò scrisse per l’ex moglie Diana e non dedicandola alla conturbante attrice con cui lavorò nella grandissima farsa 47 morto che parla. Ne aveva ben donde John Ford: come nel West, anche qui se la leggenda incontra la realtà, vince la leggenda.

Glorioso esempio di diva domestica, fenomeno di costume, core de Roma, il successo della Pampanini si intuisce forse più dalla pubblicistica che dai film. Non è difficile trovare, nelle bancarelle tenute da quei tipi un po’ rigattieri e un po’ antiquari, le riviste col suo faccione in copertina, in una stagione in cui riuscì a coniugare l’inequivocabile ed aggressiva sensualità della figura con una rassicurante vita privata che naturalmente diventava pubblica nella mitografia di cui sopra (mai sposatasi, il padre era il suo agente).

Almeno fino all’incontro con Totò, la sua carriera procede tra film non particolarmente interessanti, commediole con Peppino De Filippo (Biancaneve e i sette ladri), Tino Scotti (È arrivato il cavaliere) o Walter Chiari (L’inafferrabile 12), melodrammetti (Marechiaro) e avventure esotiche (Lo sparviero del Nilo). Nella farsa brillante trova un suo spazio, dall’assurdo O.K. Nerone di Mario Soldati a La presidentessa di un pigrissimo Pietro Germi passando per La paura fa 90 di Giorgio Simonelli, diventando titolare di prodotti fieramente popolari come La donna che inventò l’amore, La peccatrice dell’isola, L’incantevole nemica, La schiava del peccato: un privilegio non proprio scontato considerati i tempi.

Il turning point è il cruciale Bellezze in bicicletta di Carlo Campogalliani, in cui si spartisce la scena con l’alternativa bellezza di Delia Scala e una decina di attori di varia estrazione, campione d’incassi anche grazie alla fortunata congiunzione discografica ma soprattutto per il racconto accordato con le passioni e col sentimento del tempo. A questo punto l’attrice può essere facilmente inserita come nome di maggior richiamo al fianco di Amedeo Nazzari in Processo alla città, capolavoro di Luigi Zampa, legal alla napoletana che non entra mai in un aula di tribunale: alla Pampanini è delegato il ruolo fondamentale di cantare Tradimento (con la voce di Nilla Pizzi, nonostante l’attrice avesse una buona preparazione vocale), dando così una svolta alle indagini.

La frequentazione con gli autori continua con Giuseppe De Santis (che la sceglie come icona populista: il fotoromanzo Un marito per Anna Zaccheo e l’interminabile La strada lungo un anno) ed Antonio Leonviola (il dimenticato Noi cannibali), senza trascurare la commedia corale ad episodi (è nel Giorno in pretura di Steno, nel cechoviano Il matrimonio di Antonio Petrucci e nel moraviano Racconti romani di Gianni Franciolini).

Ormai trentenne, raggiunge l’apice della sua recitazione viscerale, ruspante e scaltra con La bella di Roma, perno di una rustica ronde passionale (se la contendono il maturo Paolo Stoppa, l’attraente Antonio Cifariello e il cinico Alberto Sordi, suo partner ideale). Torna, quasi un decennio più tardi, ad eguagliarsi ne Il gaucho di Dino Risi, grazie al magnifico ruolo quasi autobiografico ed autoironico di una diva in declino, alla ricerca di una sistemazione familiare nel nuovo mondo.

Dopo poca roba, da segnalare qualche trasferta messicana e un cammeo nel Tassinaro di Sordi in cui viene scambiata per Sylva Koscina, e un allegro viale del tramonto da signora pariola con una buona autostima, un look sontuoso se non eccessivo, un ridicolo libro di memorie in cui dialogo con gente come Neruda e Garcia Lorca e una grassa risata. Parentesi trash: memorabile la rissa nel Maurizio Costanzo Show in cui la grande Marisa Merlini se la magnò con la voracità di chi si detesta davvero.

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