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Nabokov, Kubrick, Lyne e i piedi di Lolita
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Diciamolo subito. Un paragone con il testo letterario di partenza è impossibile. Non solo per Lyne, ma anche per Kubrick. La ricchezza narrativa, l’ironia struggente, l’impossibilità dell’amore spirituale, l’ossessione della carne, la sublime deriva di Humbert sono tesori che appartengono solo alle pagine di Nabokov. Kubrick ne trae un funereo viaggio verso la morte (il film si apre e si chiude con l’omicidio di Quilty), lavorando sulla sottrazione visiva di tutto quanto possa essere scabroso e quindi censurabile. Lavora per ellissi visive, il rapporto fisico tra Humbert e Lolita è sempre suggerito, mai mostrato. Lyne invece sceglie l’opposto, rendere visibile l’incesto, recuperare lo splendore della pelle come inesauribile tentazione. Kubrick ha una visione funebre del sesso, fredda e distaccata (pensate all’orgia inEyes Wide Shut) oppure ludica e coreografica (gli stupri in Arancia Meccanica, il sesso a tre sulle note del Guglielmo Tell), in Lolita non c’è gioia, non c’è follia carnale, solo un rigido controllo, una gelida geometria, perché questo è Kubrick, una mente che tutto controlla.

 

Dominique Swain (Lolita per Adrian Lyne) ha invece la sensualità, l’innocenza e l’erotismo, la grazia e la goffaggine di un  corpo femminile che si sta formando, è lei la ninfetta, è lei che tortura Humbert e le scene di seduzione, proprio nel loro rendere espliciti gesti e situazioni, riescono a trasmettere proprio quella sensazione, quella di un corpo che chiama e desidera, forse ancora inconsapevolmente, quella della linee del culo e dei fianchi di una ragazzina che si muovono sotto le lenzuola facendo vibrare ogni centimetro dell’anima e della palle di Humbert. E’ l’impossibilità di un sogno erotico che diventa realtà letteraria, quello delle pagine di Lolita. Il diario di un pedofilo colto e straziato, pagine che toccano profondità così meravigliose, dove l’arte si esprime in tutta la sua potenza, muovendosi tra i paradossi sociali e culturali, esplodendo in un turbinio emotivo che esplora le molteplici ambiguità del nostro essere.

 

Il piede di Sue Lyon che viene smaltato nei titoli di apertura del film di Kubrick. Un gesto di adorazione. I piedi di Dominique Swain ripresi da Lyne. Sono strumenti di controllo nei confronti di Humbert. Il regista ci mostra come la ragazzina abbia il pieno potere su questo uomo adulto. Senza dovere dire niente, senza nessuno scambio veramente interiore, è l’ossessione verso quei piedi, verso quello che sorreggono, un’ossessione fisica, prima di tutto, anche se Humbert crede di ricercare in lei quella bambina persa nel proprio passato, il suo primo amore.

 

Perché davanti alla giuria che lo condannerà Humbert parlerà prima di tutto proprio dei suoi sentimenti, ma non è quello, non può essere solo quello. Sono le movenze sgraziate di quelle gambe e quelle braccia, l’odore del suo corpo, che nessuno di noi potrà mai sentire, essere padre e amante, protettore e schiavo, perdere ogni controllo sulla propria esistenza, un’estasi delirante e assoluta, il corpo di Lolita, i suoi piedi nudi, una gabbia, la libertà.

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