Ho una camera a bassissimo costo che sarebbe piaciuta a Bukowski. Spartana, essenziale. Ideale per grandi progetti partoriti da colossali depressioni post sbronza. Progettata con lucida determinazione nel rifuggire il bello e la moderna scienza ergonomica in fatto di fruibilità.
Ma aprendo la finestra al quinto piano vedo la Mole Antonelliana. E il sole che ci sbatte contro, non potendo evitarla. E' bellissima ma brilla, troppo. E il sole a Torino ha sconfitto la nebbia, fa quasi caldo. Troppa luce in un colpo solo, la testa ronza ancora per le ore piccole spese a buttare giù le righe della sera precedente. Ma funziona così, qui. Un altro pregio della mia stanza è che ha una doccia dal getto potentissimo, subito bollente. E questa è cosa buona.
Giorno 2
Shinjuku swan
After hours
Ancora Shion Sono. Ancora una sala gremita per il prolifico autore giapponese. La difficoltà nel parlare dei film di Sono è identificare il genere a cui appartengono. Non fa eccezione questo Shinjuku swan, film lungo, colorato, dinamico e estremamente mutevole all'interno della sua struttura narrativa. Sono non si ingabbia in una rassicurante linearità ma disegna parabole morali parallele ad ellissi narrative, eccessi slapstick a rallentamenti evocativi. Un linguaggio composito, frammentato, che scuote ogni certezza per far approdare lo spettatore sempre dove meno se lo aspetta. Nei film di Sono è ribadita con forza la presenza autoriale di chi dirige. Il regista si “vede” nella sua opera, un demiurgo invisibile che scombina le pedine in gioco, per gioco. Il film di Sono sono Sono. Un gioco di parole che rende l'idea della perculiarità artistica di cui sono portatori i film,
caratteristica alla quale gli spettatori occidentali non sono abituati.
La trama è sempre un pretesto: un giovane disadattato, senza casa e lavoro viene reclutato per strada da un procacciatore di donne per i night, per iniziare egli stesso quel lavoro. Una volta assunto tra scazzottate, storie di droga e gangster, storie d'amore e ricordi della propria adolescenza che ritorna a tormentarlo, dovrà difendersi dall'agenzia di reclutamento concorrente e combattere per sopravvivere in un mondo che prima non conosceva.
Parabola della mercificazione dell'anima prima che del corpo, Shinjuku swan è un melò-commedia-gangster movie, sopra le righe ma che cattura per la sua vitalità sin dalla prima inquadratura. Una strada/città illuminata dalle insegne stordenti proprie del consumismo, sulla quale gli abbordaggi dei procacciatori di donne agiscono facendo leva sulla insoddisfazione delle ragazze procaci, e sulla loro voglia di aggredire quel mondo che tanto propone, quasi irraggiungibile. Soldi. I soldi facili della prostituzione e la facilità del mercimonio sono il centro di gravità su cui si muove il film ma che poi si allarga come onde concentriche su tutto ciò che ad esso sta intorno.
Ma riguardo a questo aspetto critico della società Sono non impone una propria morale. L'ingenua vitalità del protagonista paragonato da una sua “prescelta” ad un principe fantasma di una fiaba, non viene corrotta dal sistema. Rimane se stesso dentro quel sistema, cercando di essere migliore possibile. Non c'è una parabola di redenzione che risolva il dubbio morale, semplicemente c'è una storia, che come tutte le storie va da sé e i protagonisti sono trasportati dal flusso narrativo portando in dote tutte le contraddizioni proprie della vita.
Voto ***1/2
Suffragette
Festa mobile
Era il titolo di richiamo dell'intero festival, il film d'apertura, il film con gli attoroni (Meryl Streep, Carey Mulligan, Brendan Gleeson) per una storia dell'inizio '900 inglese sulla lotta delle donne per ottenere il diritto di voto e parità di trattamento civile rispetto agli uomini.
La mano di una regista donna, Sarah Gavron si sente per aver spostato l'ottica della vicenda dalla vera paladina della lotta civile, Sylvia Pankhrst ad un personaggio di fantasia, Maud, operaia in una lavanderia industriale. Siamo agli inizi della rivoluzione industriale in quel passaggio che traghetterà la società nella modernità dovendo fare i conti con un sistema sociale fortemente sbilanciato a favore degli uomini rappresentanti in tutto e per tutto delle sottomesse, controparti femminili.
Esempio di come il cinema possa rinunciare al linguaggio in favore di una narrazione piatta e stanca, Suffragette è un cinema patinato di pose e ricostruzione storica, più interessante per il tema che propone piuttosto che per come questo viene reso sullo schermo e questo aspetto nel cinema è peccato mortale.
Un film convenzionale e didascalico se non pesantemente ricattatorio nei confronti dello spettatore al quale si chiede, grazie all'insistenza sui primi piani sofferenti, all'indugiare nella separazione manichea di buoni e cattivi, una immedesimazione nell'indignazione che fagocita la storia stessa, cosa della quale visto il tema, non ci sarebbe bisogno alcuno.
Voto **
La felicità è un sistema complesso
Festa mobile
E' complesso anche mostrarla sullo schermo. Il film di Gianni Zanasi è una commedia agrodolce sul tema del lavoro e danni collaterali in genere che narra le vicende di una famiglia di grandi industriali all'indomani della morte del patriarca e del subentro in azienda dei giovani eredi.
il film diciamo subito non è perfetto. Se qualcuno cerca una sorta di verosimiglianza con la realtà lavorativa delle grandi aziende rimarrà sicuramente deluso. Anche l'intreccio della storia vive di un po' di strappi, incongruenze, forzature narrative. Ma se invece ci si lascia trasportare dalla verve dagli attori e si interpreta come una semplificazione necessaria all'economia della narrazione l'interazione manageriale, e il resto come una iperbole della vita e delle sue conseguenze abbracciando lo sguardo attonito di Enrico (Mastrandrea) mentre la propria vita da rigorosa e ordinata diventa surreale, allora ci si diverte e il film scorre che è un piacere. La parte iniziale è briosa e a tratti esilarante, per poi divenire più complessa man mano che la storia si dipana. I personaggi cercano la felicità che non può prescindere dalla felicità altrui poiché nessuno è un totem, in questa vita mentre l'amore non è qualcosa che ci spetta di diritto. Molto bravo come detto Valerio Mastrandrea che finchè gigioneggia sorregge il film con forza. Il suo personaggio è il fulcro del film, quello che subisce l'evoluzione al verificarsi delle vicende. Una volta che entrano in gioco anche gli altri personaggi e la storia si stratifica, perde di leggerezza e un po' si sfalda.
Da segnalare la strepitosa colonna sonora e un uso della musica in genere come parte integrante del racconto.
Voto ***1/2
Me and Earl and the dying girl
Festa mobile
Vincitore del premio del pubblico al Sundance, questo film di Alfonso Gomes-Rejon è destinato a diventare un cult del cinema indipendente e sicuramente partecipante alla cerimonia degli Oscar da protagonista. Uscirà in Italia con il solito titolo demenziale Quel fantastico peggior anno della mia vita, ratificando il malcostume nazionale del rititolamento alla cazzo dei film.
E' una commedia amara sulla malattia trattata con garbo e ironia sdrammatizzante, forte di una sceneggiatura di ferro e di interpreti scritti in maniera sublime.
Esilarante e colto, citazionista, abbraccia il tema della malattia della protagonista (la leucemia) senza patetismi ma neppure con sufficienza rimanendo in miracoloso equilibrio fino alla fine.
Chi è avvezzo alle commedie indie si accorgerà di quanto questo sia un film “da Sundance” al 100%.
Dialoghi brillanti, coltissimi e serrati. Personaggi anticonformisti fino all'estremizzazione della caricatura. Cura maniacale per la scenografia, carica di significati ipertestuali che stratificano il senso della visione. Uno sguardo distaccato verso la morale comune e una potente riflessione sul cinema stesso. Ingredienti che possono far sembrare un film furbo e piacione un'opera che invece è fresca e diretta con un senso registico molto personale e che soprattutto, funziona alla grande.
Sicuramente uno dei migliori film del TFF 33.
Voto ****
Devil's Candy
Notte horror
La notte horror del Torino Film Festival ha regalato questo film destinato a diventare un cult. Dirige Sean Byrne astro nascente dell'horror aussie, già autore del pluripremiato The loved ones.
Film satanic metal, portatore sano di una colonna sonora da headbangers, Devil's Candy almeno per tre quarti è un signor film per poi cedere inevitabilmente ad una chiusura un po' consolatoria ma che non rovina per nulla una storia di pittura possessione e musica metal che si fa apprezzare e ricordare.
Una famiglia composta da padre pittore metallaro, figlia fedele discepola della musica d'albione e mamma più sui generis, si trasferisce nella casa nuova in campagna dove in precedenza un tizio che sente le voci aveva ammazzato i genitori e dopo una lunga detenzione in un ospedale psichiatrico torna a reclamare la casa natia. Ma non solo, il diavolo c'è e se tutto scorre sui binari conosciuti dei simbolismi infernali e della parabola del pittore pazzo che dipinge sotto l'influsso demoniaco, quello che risulta vincente è la presenza di un cattivo come da tempo non se ne vedevano al cinema, la stratificazione narrativa della sparizione di bambini ad opera di un serial killer e il ribaltamento di senso della natura della musica metal, considerata convenzionalmente la musica di debosciati invasati da orpelli demoniaci, qui unisce una sana famiglia americana, i buoni. L'andamento ricorda un Rob Zombie meno raffinato nella scrittura ma resta un film da vedere.
Voto ***1/2
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