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007. Il mito non muore mai.
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«Vecchio a chi?», potresti sentirti dire da James Bond prima che ti rompa il naso con un cazzotto ben piantato. E con giusta ragione. Tutti credevano che il mito e il franchise si sarebbero inevitabilmente usurati visto lo stretto legame dell’agente 007 con la guerra fredda e un mondo che oggi non c’è più. Eppure la serie Brosnan, la prima dopo la caduta del muro di Berlino, è tra quelle che hanno messo d’accordo pubblico e critica e fatto i migliori incassi di sempre, prima ovviamente del reboot del terzo millennio appannaggio di Daniel Craig che non solo rilancia la serie con l’ottimo esordio di Casino Royale (2006), ma rilancia lo stesso James Bond, più giovane, più rude, più violento e con più ombre che luci, in linea più con l’originale letterario di Ian Fleming del 1953 che dell’iconico mito cinematografico.

Nel 1987 Zona pericolo, il primo del dittico Dalton, è il peggior incasso di sempre, ma il successivo Vendetta privata (1989), nonostante fosse il più cupo della serie fino a quell’epoca, fece anche peggio. Con la caduta del muro si pensava non fosse più lontanamente immaginabile continuare con il mito spionistico di James Bond, eppure GoldenEye (1995), il primo della serie Brosnan, per la regia di Martin Campbell e la bellissima title track di Tina Turner, fa il botto: ottimi incassi e ottime recensioni. L’applauso è tutto per il protagonista Pierce Brosnan che ha saputo personalizzare l’icona Bond con humor e con disincanto, ma vengono apprezzate anche altre innovazioni che contribuiscono a reinserire il mito di James Bond in un nuovo contesto moderno post-guerra fredda: la figura femminile di M interpretata da Judi Dench è una di queste.

E così si snocciola il rosario: seguirà Il domani non muore mai (1997), con al timone Roger Spottiswoode, Jonathan Pryce come cattivo e title track cantata da Sheryl Crow; poi arriva Il mondo non basta (1999), Michael Apted, Robert Carlyle e Sophie Marceau e i Garbage; e infine la serie si chiude con La morte può attendere (2002) che sconfina nel terzo millennio guidata da Lee Tamahori, con Toby Stephens il glaciale cattivo e Madonna per la title track.

Al botteghino tutti e quattro i film hanno fatto bene il loro lavoro confermando il successo della nuova serie, ma l’ultimo episodio ha incassato meno e convinto poco. Inoltre, le battaglie legali con Kevin McClory e la Sony per ottenere una parte dei diritti sul personaggio avevano dissanguato la MGM che ottenendo però i diritti sul romanzo Casino Royale ipoteca il successo futuro. Viene messo in cantiere il nuovo film, con un nuovo Bond e un occhio attento ai nuovi sviluppi geopolitici. La sfida è vinta. Daniel Craig piace a pubblico e critica, i film firmati da Martin Campbell, Marc Forster e Sam Mendes pure, per non dire di Skyfall (2012) che è il più grande incasso nella storia della serie e in quella del botteghino inglese. In Casino Royale, Quantum of Solace (2008), Skyfall e Spectre (2015), Craig dà vita a un Bond lontano dai precedenti ridando nuova linfa al franchise e all’icona in termini di modernità e autorialità del personaggio.

Constatato che James Bond non può morire e che non ha bisogno del muro di Berlino per restare in piedi, la serie andrà avanti, ma senza Daniel Craig che si taglierebbe le vene piuttosto che tornare nei panni dell’agente segreto di sua maestà – proprio di sua maestà in persona, come succede in Happy and Glorious cortometraggio diretto da Danny Boyle nel 2012 in occasione delle Olimpiadi di Londra. Al suo posto, i due nomi più ricorrenti sono quelli dell’improbabile Idris Elba e quello di Damian Lewis, star di Homeland (2011-in corso). Ma girano pure quelli di David Beckham (wtf?!) e quello giustamente più convincente di Tom Hardy.

In attesa di conoscere il futuro dell’agente segreto più famoso e fico del mondo, con licenza di uccidere e di ringiovanire quando vuole, mi piaceva l’idea di riflettere brevemente su ogni singolo elemento topico della serie e ipotizzarne il futuro.

007.

L’agente secreto più famoso al mondo è inglese, ma prima che fosse davvero un inglese ad interpretarlo sul grande schermo ha dovuto passare dallo scozzese Sean Connery e poi dall’australiano George Lazenby per finire soltanto nel 1973, a dieci anni esatti dal primo capitolo della serie ufficiale, nei panni del londinese Roger Moore. Seguiranno il Bond gallese di Timothy Dalton, quello irlandese di Pierce Brosnan e infine di nuovo quello inglese di Daniel Craig.

James Bond, oltre la licenza di uccidere e sedurre, ha una serie di altre caratteristiche enumerate informativamente dallo stesso Ian Fleming in Dalla Russia con amore (1957): «Name: Bond, James. Height: 183cm; weight: 76 kilograms; slim build; eyes: blue; hair: black; scar down right cheek and on left shoulder; signs of plastic surgery on back of right hand; all-round athlete; expert pistol shot, boxer, knife-thrower; does not use disguises. Languages: French and German. Smokes heavily; vices: drink, but not to excess, and women. Not thought to accept bribes». È quindi moro, fisico asciutto, atletico e con qualche cicatrice. Girano voci su un Bond nero, gay o anche donna. Che il mondo sia cambiato è un dato di fatto, ma ci sono immaginari che non devono cambiare per non snaturarsi. James Bond deve essere necessariamente bianco, inglese ed etero.

Prospettive future? Dopo l’eroe muscolare e dai toni cupi del granitico Daniel Craig, Charlie Hunnam potrebbe essere una scelta azzeccata. Assicurerebbe continuità alla fisicità del ruolo e saprebbe rischiarare 007 da quel velo di oscurità che lo ha avvolto nel dittico di Sam Mendes, ridandogli l’energia, lo humor e la canaglieria dei Connery e dei Moore dei vecchi tempi. Girano però con insistenza i nomi di Idris Elba, Damian Lewis, Tom Hiddleston, Henry Cavill e Jack O’Connell, tutti validissimi attori, ma abbastanza lontani dall’appeal del classico agente segreto un po’ guascone e dall’aplomb tutto brit a cui ci ha iniziato il primo Sean Connery.

Sono però i nomi di Michael Fassbender e di Jamie Bell a incuriosire maggiormente chi gioca con gli scenari futuri. Se escludiamo l’attore irlandese di origine tedesca, è Jamie Bell a incarnare il miglior Bond possibile. Sveglio, buffo, faccia da schiaffi e accattivante, sfoggia un fisico asciutto ed atletico, miglior compromesso tra l’immagine classica di un Bond ingessato e l’esigenza di un Bond giovane e dissacrante.

Il cattivo.

Si sa, senza il cattivo non esisterebbe l’eroe, anche se del male e della violenza faremmo tutti a meno. A livello narrativo invece, e quindi di conseguenza anche a livello simbolico e rappresentativo, se non addirittura terapeutico, la presenza del cattivo e quindi la presenza di un conflitto, di una minaccia, di una sfida e infine di un duello tra due nemesi, è necessaria per il gioco proiettivo delle nostre zone d’ombra. Imparata la lezione, ecco che i cattivi di 007 sono stati pensati e disegnati i più eccentrici e fumettistici possibile, proprio per dare risalto a quell’idea di alterità malsana, controparte meschina e spudorata di chi lotta al servizio dei buoni e lo fa con gli stessi metodi dei cattivi. Uno psicodramma in cui i panni sporchi si lavano sul grande schermo.

Una rassegna di villain storici, non tutti propriamente riusciti, spesso affidati a grandi nomi del cinema e altre volte pescati tra le seconde o le terze file, in cui il colore locale di personaggi non anglofoni e il tratteggio barocco degli stessi, fanno dell’inclinazione borderline dei novelli Dottor Zero, i tratti più significativi e seducenti.

Dal primo Mr. No interpretato da Joseph Wiseman si passa alla cara Rosa Klebb di Lotte Lenya coadiuvata da un biondissimo Robert Shaw dalla Russia con amore, per poi inanellare una serie di riuscite caratterizzazioni del villanesco con Gert Fröber, Adolfo Celi, Donald Pleasence e Telly Savalas – Pleasence è stato il primo Blofeld con un’identità reale, mentre prima c’era soltanto Anthony Dawson accarezzando un gatto. L’era Moore è stata un po’ avara di icone del male sul vecchio modello originale, ma ha schierato pezzi da novanta come il signore delle tenebre, Christopher Lee, oppure Curd Jürgens, l’autoriale Michael Lonsdale e Christopher “king of New York” Walken affiancato dall’inquietante Grace Jones.

Con gli anni ’90 e la caduta del muro cambiano i crimini, cambia il crimine e cambiano di conseguenza anche i criminali. Bello il Joe Don Baker del primo Bond del dittico Dalton, ma poi si scivola giù giù giù per poi rialzarsi solo con il Mads Mikkelesen del primo trionfale Bond dell’era Craig. Se non fosse per il Raoul Silva interpretato monumentalmente da Javier Bardem in Skyfall ben poco ci resterebbe delle performance marginali di Jonathan Pryce, Sophie Marceau, di uno sprecatissimo Robert Carlyle, di Toby Stephens, Mathieu Almaric e Christoph Waltz. Forse solo lo Sean Bean di GoldenEye riesce a dare al cattivo quella marcia in più che tanto piace a chi sa che più riuscito è il cattivo, più riuscito è il film. Nota di merito, infine, a un cattivo defilato, il Mr. White interpretato da Jesper Christensen, che quando è in scena ne è assoluto padrone.

Previsioni future? Oggi non viviamo più in quel bel cinema in cui c’erano attori che facevano solo i cattivi e altri che facevano solo i buoni. Oggi anche un mediocre Tom Cruise si prende il suo sfizio interpretando un villain per poi tornare di corsa ai suoi ruoli ufficiali. Difficile quindi trovare un volto iconicamente perfetto per un ruolo malvagio senza magari rovistare nell’horror. Che ne dite di un Sid Haig in giacca e cravatta che vuole dominare il mondo dal suo segretissimo rifugio incastonato magari tra i ghiacci del Polo Nord?

Ad esclusione del sempre perfetto Gary Oldman o di un redivivo Gene Hackman, tra gli attori più quotati oggi, al netto delle star televisive sempre sul punto di fare il grande salto, c’è Dane DeHaan che ha il volto giusto per interpretare un cattivo dall’aspetto giovane e ambiguo, nella speranza che si torni a lottare nel mondo delle spie e non in quello degli affari e della politica come si è fatto negli ultimi capitoli della serie.

Le bond girl.

Dici donna dici danno. James Bond si sarà pur divertito come un coniglio, ma ha sempre rischiato il collo – proprio come i conigli. Le donne gli han sempre procurato grandi grattacapi e molti brividi sulla schiena. Qualcuna addirittura è arrivata a rubargli il cuore e a metterne in serio pericolo la vita e la missione. Da Ursula Andress a Monica Bellucci, da Daniela Bianchi a Léa Seydoux, passando per Honor Blackman, Claudine Auger e Luciana Paluzzi, Jane Seymour e Barbara Bach, fino a Famke Janssen, Michelle Yeoh, Sophie Marceau e Maria Grazia Cucinotta, Halle Berry e Rosamund Pike per arrivare a Eva Green, l’unica in linea diretta con le classiche Bond Girl vecchia scuola. Dalla sua, la grande attrice parigina ha un fascino felino e ambiguo che va a nozze con la sua perfetta ed elegante presenza scenica. Il suo piglio attoriale ha funzionato da valore aggiunto, smarcandola così dal ruolo di semplice ragazza giocattolo dell’agente segreto e rivelandone la grandezza attoriale.

Previsioni future? Le scelte sono molte, quasi infinte. In ogni angolo del mondo c’è una modella, un’attrice, un’atleta, una rockstar o una bella ragazza della porta accanto che senza saperlo potrebbe ritrovarsi ad agitare Vodka-Martini per la spia venuta dalla city. Balza all’occhio, tra attrici italiane e francesi, le più quotate, l’assenza di attrici spagnole. Ecco allora la candidatura di donne che presenziano nel cinema spagnolo con gran cognizione di causa e con gran mestiere: Aitana Sáchez-Gijón e le più giovani Blanca Suárez e Amaia Salamanca. Ma come toglierci il piacere di vedere Amanda Seyfried, Marine Vacth o Scarlett Johansson sedurre Bond, denudarsi per l’ultima rentrée, abbandonarlo nudo da qualche parte, lasciarlo in fin di vita e infine… irrimediabilmente annichilirsi l’uno nell’altra?

La title track.

Orfano di Joe Cocker non posso più sperare di sentire la sua indimenticabile voce sui titoli di testa. Storicamente affidata a grandi nomi della musica dell’epoca, dal primo compositore Monty Norman all’ultimo Sam Smith, passando per ben tre volte da Shirley Bassey, e poi da Tom Jones, Nancy Sinatra, Louis Armstrong, Rita Coolidge, i Duran Duran, gli A-ha, Tina Turner, Madonna e Adele, non sempre all’altezza dell’incarico, vedi i recenti Cornell, Keys e Smith – gli ultimi che hanno lasciato il segno sono i Garbage a mio parere – i title singers sono parte integrante del campionario immaginifico e commerciale della saga: tema topico, sonorità ricorrenti, stile inconfondibile come un whisky ben invecchiato e l’appeal del cantante.

Previsioni future? In questo caso possiamo anche superare i confini britannici senza problemi, ma non ci starebbero male sui titoli di testa le voci di Paul McCartney, Rod Steward, anche i Blur o il jazzista Jamie Cullum che ci fa tremare ogni volta che ascoltiamo Gran Torino (2008). A ben vedere la scelta del cantante o del complesso incaricato di aprire le danze dopo il classico prologo tutto adrenalina e immersione nel mondo autoironico di Bond, dipende strettamente dai toni e dagli stili scelti per il film. Se per esempio Bond dovesse recarsi in Jamaica e sviluppare nei Caraibi la maggior parte della sua nuova avventura, non guasterebbe uno dei figli di Bob Marley, o Damian o Ziggy per lo meno; ma anche i canadesi Bedouin Soundclash sarebbero azzeccatissimi.

Personalmente, mi ributterei nel migliore passato possibile e rispolvererei l’ottimo Tom Jones e lo pregherei di non rifare Thunderball (1965), ma di avvicinarsi di più a questa sua ultima fase artistica, ovvero il sobrio ritorno al blues e al gospel dopo il travolgente giro di giostra del periodo dance che ci ha fatto ballare tutti da Sex Bomb contenuta in Reload (1999) a 24 Hours (2008). Praise & Blame (2010), Spirit in the Room (2012) e Long Lost Suitcase (2015) possono dare la misura del contributo dell’urlatore gallese nella sua fase più matura.

Geografia.

Dalla Jamaica di Mr. No alla Roma di Spectre. L’Italia è uno dei paesi più amati da James Bond, visitato ben sette volte in più di cinquant’anni di onorata carriera. Allo stesso modo Inghilterra, of course (9), gli States (9), l’area tedesca (6), la Russia (4), la Turchia (3) e molti vari paesi del sud del mondo, sono stati gli scenari che più di tutti hanno forgiato l’immaginario bondiano. Soltanto due volte 007 passa dalla Spagna: Madrid in Solo per i tuoi occhi (1981) e Bilbao ne Il mondo non basta, anche se lo spettacolare paesaggio lunare de Las Bardenas Reales, in Navarra, è stato utilizzato per ricreare il Kazakistan nel terzo capitolo della serie Brosnan.

Dalle montagne innevate ai mari tropicali, James Bond ha iconizzato questi luoghi emblematici come feticci di lusso, avventura e pericolo seducente. Le metropoli occidentali e le incasinate città del medio e lontano oriente fungono invece da controparte caotica e postmoderna del fascino classico delle locations tradizionali. In tempi recenti, con l’impennata del merchandising legato al brand di James Bond, l’esotismo ha perso di romanticismo e si è convertito in cartoline posticce senza firma. Ottima invece, e in controtendenza, la scelta di ambientare buona parte di Skyfall nel tipico paesaggio triste, desolato e uggioso di Inghilterra e Scozia, che scopriamo essere la terra nativa del piccolo James Bond – quindi 007 è davvero Sean Connery!!!

Previsioni future? Difficile dire quale paese non è ancora stato toccato dalle gesta spionistiche di Bond che, soprattutto per motivi “alimentari”, ha girato un po’ tutto il mondo. Sorprende però un’assenza di lusso: Australia e Nuova Zelanda. Gli antipodi non devono piacere molto all’entourage bondiano nonostante sfoggino un paesaggio naturalisticamente impressionante, animali dal forte simbolismo – coccodrilli, squali, dingo, diavoli della Tasmania e anche il leggendario Tilacino – e ovviamente un classico del franchising: spiagge da sogno, compresa la barriera corallina.

Anche la bella Milano non è entrata nel mirino di 007 nonostante tra Lago di Como e zone limitrofe la Lombardia abbia fatto la sua piccola parte. Se vogliamo però restare sul classico e rinverdire la serie partendo dai topici bondiani è doveroso ritornare in Jamaica, patria elettiva di Ian Fleming, che manca dal 1973 di Vivi e lascia morire dopo essere stata visitata solo una volta nel primo film della serie.

Così, dalla Jamaica a Milano, dalla Madunina alla terra dei canguri, passando sull’isola della leggendaria Tigre e poi nella Spagna dei tori allo stato brado, per fare poi ritorno sull’isola regina delle Antille, ci si potrebbe gustare un Jamie Bell sedotto da vampiriche bond girl irresistibili, Blanca Suárez e Marine Vacth su tutte, nel tentativo di sconfiggere uno psicopatico Dane DeHaan sguinzagliato dal folle mad-doctor Gary Oldman, che una bella mattina si svegliò con il pallino di inabissare definitivamente il sud del mondo e celebrare così il dominio dello standard anglosassone.

 

Ecco cosa sarebbe stata la title track cantata da Joe Cocker.

 

E come potrebbe essere con l'ultimo Tom Jones.

azzeccatissima per uno 007 simil-nerd interpretato da Jamie Bell e diretto da Danny Boyle.

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