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The Aussie Horror Picture Show
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«Mentre vampiri e zombie eccitano gli spettatori dell’emisfero nord, lo scenario per un’idea australiana di horror giace da qualche parte nel vasto centro del continente». Così recita l’incipit di un articolo dell’Australia’s audiovisual heritage online (1). E con giusta ragione.

L’horror australiano è un horror prettamente terrico, rurale e carnale, ben radicato nella cultura tellurica del sostrato aborigeno. Si sa infatti, che gli aborigeni, maltrattati tanto quanto i nativi americani, rappresentano il rimosso, lo scheletro nell’armadio, il fatto di sangue che ha fatto perdere l’innocenza ad una nazione intera al pari dei loro cugini d’oltreoceano. Così, allo stesso modo del “ritorno del pellerossa” teorizzato da Leslie Fiedler (2), si può ben parlare del “ritorno dell’aborigeno”, presente a volte direttamente e a volte indirettamente, in molte pellicole australiane, horror e non.

L’aborigeno ritorna come feticcio di un orrore passato che il popolo australiano non può dimenticare. La tematica ovviamente attraversa più generi e trova le sue migliori rappresentazioni nei drammi d’autore come L’inizio del cammino (1971), Dove sognano le formiche verdi (1984), La generazione rubata (2002), The Tracker (2002), 10 canoe (2006), Samson and Delilah (2009), September (2013), Charlie's Country (2013) che rende omaggio anche all'attore icona del cinema australiano David Gulpilil e Last Cab to Darwin (2015), senza però dimenticarsi del grande potere rappresentativo del genere. Anche un film poco riuscito come Howling III: The Marsupials (1987) non le manda certo a dire quando in gioco c’è la riabilitazione degli indigeni, ma è soprattutto il poliziesco dalle tinte noir e dall’atmosfera horror Red Hill (2010) che più di tutti gioca con i simboli e le tematiche di una terra piena di misteri e contrasti drammatizzando il ritorno spettrale di un aborigeno in carne e ossa pronto a consumare la sua vendetta (3). Stessa storia per Mystery Road (2013), dove l’aborigeno è addirittura un agente del corpo poliziesco locale e da solo penetra nelle trame oscure della sottocultura provinciale, territorio liminale tra cultura white trash e sostrato aborigeno.

Ad ogni modo, con o senza aborigeni, il genere horror puro non è mai stato una costante del cinema australiano. Durante l’epoca del muto i film possedevano elementi fantastici e folklorici piuttosto che elementi del terrore; erano più favole nere che veri e propri scary movie. Titoli come The Strangler’s Grip (1912), The Face at the Window (1919), The Guyra Ghost Mystery (1921), The Twins (1923), Fisher’s Ghost (1923) rappresentano la protostoria del genere con storie dal tocco soprannaturale.

Un vero e proprio cinema australiano del fantastico nero nasce con gli anni ’70 e solo nel corso degli anni ’80 diventa un cinema di risonanza mondiale – la famosa ozploitation. La storia si ripete agli inizi del terzo millennio, dove alcune riuscite pellicole fanno di quello australiano uno dei cinema più interessanti nella rivisitazione del genere. Un ulteriore dato, come informa l’Australian Screen, è che tra gli anni ’40 e i ’70 il genere horror in Australia non è mai stato incentivato, quasi come se non le appartenesse.

Dopotutto, l’Australia, è stata colonizzata solo nel 1788 e per secoli ha avuto una società disunita, sparpagliata per un vasto territorio inospitale e in molti punti inaccessibile. Mentre in Europa e in America fioriva la letteratura gotica con Shelley, Allan Poe e Stoker e più avanti, a inizio ‘900, il cinema concretizzava gli incubi moderni con vampiri, mostri, automi e licantropi, in Australia gli scrittori erano più ispirati dalla vita pionieristica e dalle sue difficoltà. La paura per il cuore selvaggio del territorio australiano è un’acquisizione più recente.

Le cose infatti, cambiano con gli anni sessanta e precisamente nel 1961 quando lo scrittore australiano Kenneth Cook pubblica Wake in Fright, storia di un placido maestro di scuola che parte per visitare Sydney e si ritrova invece a vivere un incubo fatto di alcol, sesso e violenza nell’outback australiano. Dieci anni più tardi, nel 1971, il regista canadese Ted Kotcheff porterà sugli schermi l’adattamento cinematografico del romanzo di Cook di cui è indicativa e manifesta la frase di lancio: «Vuoi un bicchiere, amico? Vuoi fare a pugni, amico? Vuoi un po’ di polvere e sudore, amico? Perché non c’è nient’altro là fuori». Grazie a una certa atmosfera di violenza e disturbo, di discesa agli inferi e soprattutto per via del ritratto animalesco che si fa delle zone remote dell’Australia, il pubblico australiano può per la prima volta rivedere se stesso nello specchio deforme del racconto nero e disturbante.

Sulla scia di Wake in Fright, negli anni settanta vedono la luce pellicole fondamentali per la successiva ondata horror degli anni ’80. Dal regista Terry Bourke arrivano titoli come Night of Fear (1972) dove una donna si ritrova da sola nella wilderness braccata da uno psicopatico, e Inn of the Damned (1975) un western modellato sullo psycho movie; Ralph Lawrence Marden dirige il pressoché sconosciuto The Sabbat of the Black Cat (1973), ispirato a Poe e frammischiato con stregoneria e rituali vari; mentre Peter Weir, che aveva già esordito con il bizzarro Homesdale (1971), inanella una serie di successi che corteggiano il genere: Le macchine che distrussero Parigi (1974), Picnic at Hanging Rock (1975) e L’ultima onda (1977). Senza dimenticare che nel 1979 George Miller dirige il primo Mad Max con Mel Gibson, forse il primo grande e internazionale successo di genere del cinema australiano. E le cose, cambiano nuovamente.

Sul finire nel decennio, l’Australia sforna una serie di film di genere che non lasciano affatto indifferente l’industria ed entra così negli anni ottanta con un’ondata di film horror, commedie e action-movie a budget ridotto e con grandi idee e grande presa sul pubblico. Fulcro di questa primavera horror è il produttore Antony I. Ginnane che vanta titoli come il celebre Patrick (1978) di Richard Franklin, Snapshot (1978), Thirst – Sete di sangue (1979), Harlequin (1980), Strange Behavior (1981), Turkey Shoot (1982) e Dark Age (1987).

Da quel giorno ad oggi la produzione di film horror non si è arrestata. Da classici slasher come Nightmares (1980) e Innocent Prey (1984) a psycho thriller come Cassandra (1986) e Out of the Body (1988), passando per Incident at Raven’s Gate (1988), film di Rolf de Heer con elementi sci-fi, Next of Kin (1982), un classico psycho thriller girato in stato di grazia da Toby Williams, il road thriller Roadgames (1981) sempre di Richard Franklin, fino a Ore 10: calma piatta (1989) di Phillip Noyce.

I caratteri dell’horror australiano sono molteplici, ereditati anche dalle mode e dalle exploitation commerciali del cinema americano: dallo slasher di impostazione classica fino allo psycho thriller con aguzzini, serial killer e pazzi furiosi di ogni sorta, passando per le mostruosità europee come vampiri, fantasmi e zombie. Molte pellicole australiane hanno ripreso temi e figure di importazione americana o europea e non senza successo, come i due felici esordi splatter del neozelandese Peter Jackson con Bad Taste (1987) e Gli schizzacervelli (1992), e poi Houseboat Horror (1989), Body Melt (1993), Cut (2000), Cthulhu (2000), Feed (2005), Undead (2003) e Saw (2003), il cortometraggio della coppia James Wan/Leight Whannell che ha dato il via a una delle saghe horror più interessanti e di successo della storia del genere nero, fino ai più recenti successi di instant cult come The Loved Ones (2009), Snowtown (2011) e Babadook (2014).

Gli horror del terzo millennio australiano convincono e sembrano aver saputo dotare i modelli importati di temi tipici australiani, rivitalizzando così un genere che era già partito molto bene negli anni ’70 e che proprio in quella fase aveva gettato le basi tematiche e strutturali di un horror prettamente autoctono. Tant’è che i caratteri più emblematici ed incisivi dell’aussie horror sono strettamente legati alla terra, alla natura selvaggia e alla cultura isolata dell’outback.

La maggior parte dei film horror australiani mette in scena la paura per la wilderness locale, in tutte le sue rappresentazioni. Dalla natura inospitale agli animali assassini fino ai bifolchi culturalmente marginalizzati, si racconta di turisti ammazzati e di orrori atavici che ritornano a chiedere vendetta. L’eterna lotta tra l’uomo bianco colonizzatore e la natura ribelle ha trovato nel carattere primitivo della wilderness australiana spunti originali per una serie di animal attack movie che hanno fatto la storia del più recente cinema di genere australiano: Long Weekend (1978, 2008), Razorback (1984), Dark Age (1987), Howling III: The Marsupials (1987), Rogue (2007), Black Water (2007), The Reef (2010), Shark Bait 3D (2012) e The Pack (2015). Cinghiali enormi, coccodrilli assassini, squali voraci e cani selvatici affamati diventano così l’emblema di una natura violenta e aggressiva che difende il proprio status selvaggio, senza dimenticare le pecore fameliche del neozelandese Black Sheep (2006).

La paura per il turista, che forse è la rappresentazione distorta e simbolica delle politiche di accesso al paese, ha creato negli Anni Zero un vero e proprio filone di successo in cui il fattore wilderness, la natura selvaggia dell’outback con tutte le sue leggende e i suoi misteri, si incontra con il psycho thriller dall'estetica torture porn sbizzarrendo così la fantasia di sceneggiatori e registi con titoli come Wolf Creek (2005) ovvero l’esordio col botto di Greg McLean, Storm Warning (2007), Dying Breed (2008) anche se ambientato in Tazmania come Van Diemen’s Land (2009), e poi ancora The Loved Ones e Road Train (2010) due ottimi esempi di horror carnale con più di una riflessione sulla carne e sulla valenza della percezione della carne e del corpo come articolazioni della narrazione, l'inguardabile Primal (2010), l'irrisolto e castrato Uninhabited (2010) e quel capolavoro anarchico che è Wolf Creek 2 (2013) a cui segue a ruota il terzo capitolo, Wolf Creek 3 (2016).

È proprio il film di Greg McLean a portare il cinema horror australiano ai livelli delle produzioni americane, innescando una nuova prolifica stagione dell’horror made in Australia. Il primo Wolf Creek, capostipite di una serie cinematografica che ha generato anche una serie tv nel 2015, rilegge da una prospettiva autoctona il modello narrativo dell’horror rurale e carnale degli anni ’70, in particolar modo riutilizza gli archetipi hooperiani derivati da Non aprite quella porta (1974). A dieci anni di distanza, McLean rincara la dose e aggiusta il tiro e con Wolf Creek 2 celebra questa rielaborazione di temi e motivi dell’horror rurale firmando un capolavoro di genere, superiore anche al primo capitolo (4). Contaminando i suoi film con filoni narrativi diversi ed un gusto per l'immagine fisico ed epico-immaginifico allo stesso tempo, il regista propone una chiave di lettura del racconto horror inedita e coinvolgente, conseguendo che il road thriller, il torture porn, il wilderness drama, lo psycho horror alla The Hitcher (1986) e scampoli iconografici e motivali del western diventino i principali elementi della nuova estetica horror australiana (5). 

Note.

(1) http://aso.gov.au/titles/collections/horror-in-australian-cinema

(2) FIEDLER Leslie, Il ritorno del pellerossa, Rizzoli, Milano 1973; Guanda, Milano 2011.

(3) //www.filmtv.it/film/43609/red-hill/recensioni/736888

(4) //www.filmtv.it/film/29503/wolf-creek/recensioni/180841

(5) Il western, per iconografia e assonanza storica e culturale (conquista e dominio di un territorio nuovo, il paesaggio pressoché desertico, i nativi aborigeni, la cultura anglosassone), ha sempre partecipato mimeticamente a molti wilderness drama australiani. Vanno però ricordati a proposito alcuni titoli che possono essere ben catalogati come australian western: The Overlanders (1946), The Kangaroo Kid (1950), Kangaroo (1952), Ned Kelly (1970), Inn of the Damned (1975), Mad Dog Morgan (1976), The Chant of Jimmie Blacksmith (1978), L’uomo del fiume nevoso (1982), Carabina Quigley (1990), The Tracker (2002), Ned Kelly (2003), La proposta (2005), Australia (2008), Lucky Country (2009); per non contare i numerosi film muti degli anni ’10 del novecento incentrati sulle figure dei banditi australiani, i cosiddetti bushrangers.

 

Link utili:

//www.filmtv.it/post/32068/le-cose-piu-belle

Filmografia essenziale:

1971 WAKE IN FRIGHT

1972 NIGHT OF FEAR

1975 PICNIC AT HANGING ROCK

1977 L’ULTIMA ONDA

1978 LONG WEEKEND

1978 PATRICK

1979 THIRST – SETE DI SANGUE

1981 ROADGAMES

1982 NEXT OF KIN

1984 RAZORBACK

1987 BAS TASTE

1987 DARK AGE

1987 HOWLING III: THE MARSUPIALS

1988 UN GRIDO NELLA NOTTE

1989 ORE 10: CALMA PIATTA

1992 SPLATTERS – GLI SCHIZZACERVELLI

2003 SAW

2003 UNDEAD

2005 FEED

2006 BLACK SHEEP

2005 WOLF CREEK

2007 GONE – PASSAGGIO PER L’INFERNO

2007 BLACK WATER

2007 ROGUE

2008 ACOLYTIES

2008 DYING BREED

2008 LAKE MUNGO

2008 LONG WEEKEND

2009 THE LOVED ONES

2010 THE REEF

2010 RED HILL

2010 ROAD TRAIN

2011 SNOWTOWN

2013 MISTERY ROAD

2012 SHARK BAIT 3D

2012 100 BLODY ACRES

2013 WOLF CREEK 2

2014 BABADOOK

2014 CHARLIE’S FARM

2015 THE PACK

2016 TERRITORIAL

Altri titoli:

1973 THE SABBATH OF THE BLACK CAT

1975 INN OF DAMNED

1974 LE MACCHINE CHE DISTRUSSERO PARIGI

1980 NIGHTMARES

1981 L’OCCHIO DELLA SPIRALE

1981 DEAD KIDS

1987 CASSANDRA

1987 THE OUTBACK VAMPIRES

1988 KADAICHA

1989 HOUSEBOAT HORROR

1989 OUT OF THE BODY

1989 UN BRUTTO SOGNO

1990 BLOODMOON

1991 DEAD SLEEP

1993 BODY MELT

1998 IN THE WINTER DARK

2000 CTHULHU

2000 CUT – IL TAGLIAGOLE

2001 CUBBYHOUSE

2001 DEN

2003 VISITORS

2006 THE PUMPKIN KARVER

2007 STORM WARNING

2008 THE HORSEMAN

2008 THE OPEN DOOR

2009 CRUSH

2009 VAN DIEMEN’S LAND

2009 DAMNED BY DOWN

2009 DAYBREAKERS – L’ULTIMO VAMPIRO

2009 FAMILY DEMONS

2009 TOMBOYS

2010 NEEDLE

2010 UNINHABITED

2010 PRIMAL

2010 SLAUGHTERED

2011 THE TUNNEL

2013 CARGO

2014 LEMON TREE PASSAGE

2014 PLAGUE

 

 

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