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L'incubo è finito. Wes Craven da L'ultima casa a sinistra a Scream 4.
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I miei incubi migliori? Sono iniziati con il trailer televisivo di Nightmare (1984). Se è vero che l’horror non è solo atmosfera e mostruosità, body count e frattaglie, perturbazione e angoscia, politica e filosofia, ma anche gioco metadiscorsivo, antologico e strutturalista, è anche vero che Wes Craven ha dato un nuovo indirizzo al genere delle tenebre, un nuovo modus di intendere il terrore e i suoi archetipi, la mostruosità e la sua iconografia.

L’esordio alla regia è di quelli con il botto. Il primo film di Wes Craven è infatti lo scandaloso L’ultima casa a sinistra (1972) che insieme a Non aprite quella porta (1974) dà il via alla lunga stagione del new horror seriale, adolescenziale e di taglio slasher tenuto a battesimo già da La notte dei morti viventi (1968), nonostante questi siano titoli duri e puri, padri politici e poco giocosi dei filoni a venire.

Ecco che nel genere horror fanno la loro apparizione figure inquietanti a metà strada tra incubo e realtà, killer metafisici, immortali e ubiqui; schiere di ragazzi e ragazzi pronti a farsi ammazzare nel rituale sacrificale del giovane che trasgredisce, beve, scopa, oltraggia regole e autorità; mattanze più o meno sanguinarie, più o meno stomachevoli, coreografate come piccole scene madri, nuclei narrativi indipendenti a strutturare una trama poco complessa e poco impegnativa, ma molto giocosa e autoreferenziale.

Con L’ultima casa a sinistra Craven si aggiudica anche, insieme a Romero, Carpenter e Hooper, il titolo di regista horror politico. La società, soprattutto la famiglia borghese americana, con le sue estetiche e le sue ipocrisie, diventa l’epicentro dell’orrore, la culla di ogni perversione, prima e vera agenzia del terrore. Trasferisce sull’altro, sul mostro, sul diverso, la propria leggibilità del male e ne fa il Drago di San Giorgio, lo combatte, lo uccide e lo ingloba nuovamente. Ecco che il gruppo di delinquenti capitanato da David Hess troverà nell’agguerrita famiglia Collingwood la nemesi perfetta.

Lo stesso succederà con il superbo Le colline hanno gli occhi (1977) dove a un plot più o meno simile, la tipica buona famiglia americana alle prese con la mostruosità che vuole sterminarla, si aggiunge l’elemento primitivo e wilderness che nel film precedente faceva solo da sfondo al dramma borghese e che qui diventa invece dispositivo drammatico quanto simbolico. Il territorio arido e desertico in cui la famiglia Carter troverà l’orrore è la frontiera western della storia nazionale americana e i suoi selvaggi mostriciattoli sono gli indiani che accerchiano le carovane dei pionieri. Un territorio allo stesso tempo amico e nemico, non solo teatro della mattanza, ma anche attante vero e proprio della vicenda.

Seguono anni interlocutori per Wes Craven. Tra produzioni televisive e sequel rattoppati, l’enfant terrible del nuovo cinema horror sembra aver perso l’energia politica e provocatoria delle prime due pellicole. I suoi nuovi titoli solo in filigrana suggeriscono un ritorno di tematiche e di visione sociale tali da far presumere una vera autorialità. Titoli come Stranger in Our House (1978), Benedizione mortale (1981) con una giovanissima Sharon Stone, il guilty pleasure Swamp Thing (1982), Invito all’inferno (1984) e il remake rattoppato Le colline hanno gli occhi II (1984), passano più o meno inosservati e a tutt’oggi continuano a giacere nel cono d’ombra del sottoscala, incapaci di destare il guizzo della rivalutazione.

C’è anche un porno nella carriera di Wes Craven. È del 1975 e si intitola Angela the Fireworks Woman, firmato con lo pseudonimo di Abe Snake. Dopotutto i settanta erano un epoca in cui la parola chiave era provocazione. Una provocazione attraverso immagini e racconti atipici, perturbanti, antagonisti. Horror e porno, o anche Eros e Thanatos, da sempre vanno a braccetto e non c’è da stupirsi se la stessa voglia di contestare la società borghese filmando il non filmabile sia alla base dell’horror come del porno.

Nel 1984 arriva Freddy Krueger e le cose non saranno più le stesse. Figlio precoce del decennio edonista, Nightmare porta sullo schermo le tematiche più care sia al regista che a buona parte delle produzioni horror dell’epoca e dei decenni successivi. Nell’inquietante storia di un pedofilo sfigurato dal fuoco che l’ha ucciso, che torna nei sogni dei figli dei suoi assassini e che gioca laidamente tra cinismo e perturbante, troviamo infatti tematiche come la famiglia disfunzionale, l’ipocrisia borghese, l’inibizione e il plagio religioso, il corpo, la carne, il sangue, l’incubo, la confusione tra sonno e veglia, femminismo/maschilismo, il mito e la paura per il fallo, la politica, la società tutta.

Dopo aver partorito Freddy Krueger, Craven si dedica prettamente a prodotti televisivi, tra cui cinque episodi di Ai confini della realtà (1985-1986), e tornerà al cinema nell’1988 con Il serpente e l’arcobaleno, pellicola amata dalla critica che risente però del forte contenuto politico a scapito dell’orrore puro, qui blando ed edulcorato, nonostante le simbologie zombesche e l’affondo antropologico tra onirismo e voodoo siano efficaci tanto narrativamente quanto tematicamente.

Nel 1989 ci riprova con Sotto shock cercando nella figura di Horace Pinker un nuovo Freddy Krueger, una nuova maschera horror che tra vocazione politico-provocatoria e humor nero potesse far breccia nel pubblico americano, ma l’operazione fallisce. Recupera invece consensi con La casa nera (1991), declinazione al nero della casa madre per eccellenza, la White House di Washington. Qui invece, i ritrovati Everett McGill e Wendy Robie, i già Big Ed e Nadine di Twin Peaks (1990-1991), first sir e first lady della periferia americana, rapiscono bambini e li segregano nella loro oscura magione fino a quando un ragazzino di colore li scopre e li mette in scacco.

Nel 1994 riprende in mano la sua creatura e dirige Nightmare – Nuovo incubo, giocando più sulla metadiscorsività del genere che sul terrore puro. Ormai siamo nel decennio dell’impero patinato della televisione, di Mtv e di Beverly Hills 90210 (1990-2000), di piscine e bellezze al bagno, l’horror non può più essere quello di una volta. Così anche l’operazione revival risulta stanca, anche se pur sempre apprezzabile. Con Nightmare – Nuovo incubo Wes Craven fa le prove per quello che sarà il suo successo più grande dopo Freddy Krueger. Nel 1996 dirige Scream, a cui seguiranno Scream 2 (1997), Scream 3 (2000) e Scream 4 (2011), nel frattempo qualche passo falso come Vampiro a Brooklyn (1995) e La musica nel cuore (1999) e qualche titolo incompreso o che poteva essere qualcosa che invece non è stato come Cursed (2005), Red Eye (2005) e My Soul to Take (2010) tre titoli da riscoprire perché nascondono un’anima autoriale e artigiana che solo un grande maestro del genere poteva conferire.

Tutto sta comunque in Scream e nei suoi seguiti. Ritorna la turba sessuale mista a quella sociale aggiornata alla fine del millennio, i rapporti disfunzionali di famiglia e istituzioni tanto quanto del gruppo di amici, virilità e affettività messe in crisi dalla sclerosi del modello sociale di riferimento: quello televisivo. E la televisione è messa in croce nella sua disumana rincorsa alla notizia, al voyeurismo sadico delle tragedie altrui, ovvero l’esorcizzazione delle proprie piccole frustrazioni borghesi.

Con personaggi indimenticabili, il giocattolone Scream supera il teen-horror, va oltre lo slasher degli ottanta e arriva al cuore del discorso critico tra immagine e realtà, tra produzione e riproduzione, tra genere e canone, tra linguaggio cinematografico e quello televisivo fino ad arrivare all’ammissione di colpevolezza del regista, demiurgo sadico che crea narrazioni simboliche per rappresentare la vita ed esorcizzare la morte e che purtroppo i comuni mortali recepiscono invece come stimoli ad agire, come esempi da imitare.

Dai cannibali alle streghe, da Freddy a Ghostface, dai lupi mannari agli zombi, Wes Craven ha creato nella sua incostanza autoriale alcune tra le immagini migliori del novecento orrorifico, contribuendo con Hooper, Carpenter e Romero a una demistificazione nera della società americana. Attraverso le sue maschere ha perpetuato le sue tematiche di base, ha criticato la giovane comunità americana utilizzando la sua estetica di riferimento, i suoi cliché e le sue figure chiave. Accusato di fare horror per bambini, Craven ha invece saputo raccontare l’orrore attraverso il quotidiano e il domestico, con un taglio umoristico tale da infrangere la barriera tra horror e commedia e con una messa in scena cripto-televisiva per avvicinare un pubblico sedato e colpirlo al cuore.

Ciò non bastasse, l’horror adolescenziale di cui è stato maestro indiscusso resta in fin dei conti l’horror più accessibile e più efficace che un ragazzo possa incontrare nella sua giovinezza, permettendogli così di poter decodificare l’immaginario orrorifico e riutilizzarlo come canale espressivo per rappresentare il proprio tipico antagonismo adolescenziale.

 

L'INCUBO ORMAI E' FINITO....

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