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Musica e Cinema per parlare di Resistenza e Antifascismo. Intervista a Federico Spinetti, regista di "Il Nemico - Un Breviario Partigiano"-
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Quando due settimane fa ho incontrato Massimo Zamboni ad un concerto e gli ho chiesto una intervista per il nostro sito, lui subito si è reso disponibile a parlare del film appena uscito. Non solo, mi ha messo immediatamente in contatto con il regista del documentario che tanto mi aveva colpito. Per questo considero questa intervista a Federico Spinetti un naturale prosieguo di quella fatta a Zamboni. Parlare con Federico mi ha fatto comprendere meglio cosa ci fosse dietro al progetto de “Il nemico-un breviario partigiano”. Una chiacchierata esaustiva che spazia tra musica, cinema e antifascismo. Oggi che è così difficile fare sia musica che cinema, nonché parlare di antifascismo. Mi ha allargato il cuore ascoltare certe cose da Federico, un ricercatore etno-musicologo che, anche se da anni vive e lavora all'estero, ha una visione lucida ed emozionante di quello che con la musica e il cinema si può raccontare e documentare in Italia oggi. Si può fare arte e ricerca storica anche così.

locandina

Il Nemico - Un breviario partigiano (2015): locandina

Come sei arrivato a Massimo Zamboni per questo documentario?

E' stata una cosa in parte casuale, in parte cercata. Il progetto era ed è più grande: il recupero della memoria antifascista nella musica dei nostri anni. Mi ero messo a registrare ed incontrare molti musicisti. Fra questi ci dovevano essere anche i CSI. Ho incontrato Massimo a Bologna, alla cineteca. A parte il grande piacere di incontrarlo - ho studiato a Bologna ci sono stato 9 anni, i CSI sono stati la colonna sonora della mia vita - c'è stata subito la percezione che sarebbe accaduto dell'altro. In verità c'entra un po' il caso. Abbiamo passato un pomeriggio insieme e la nostra è stata una chiacchierata molto intensa . Ci siamo trovati a condividere una serie di riflessioni ed emozioni. Avevo questo progetto più grande - al momento - della ricerca e comprendeva solo il documentario. Dopo l'incontro con Massimo ho cominciato a pensare che lui dovesse avere uno spazio più ampio. Ma questa è stata una sinergia personale. Nel senso che Massimo si è dimostrato molto interessato al progetto da subito. All'inizio doveva essere un ritratto di diversi musicisti, poi si è concentrato tutto su di lui.

Guardando il documentario, ci si rende conto che alcuni passaggi sono “reali” e non solo raccontati.

Ci sono diversi elementi nel film. Quello di osservazione: speravamo che succedesse qualcosa davanti alla camera e in effetti così è stato. Il lavoro si è sostanzialmente diviso tra il lavoro dei CSI sul pezzo del IL NEMIICO, e la ricerca che Massimo aveva quasi completato. Mentre riprendevamo questa parte, sono successe effettivamente delle cose che noi siamo andati poi a documentare. Non c'è stato quindi solo un “racconto” della ricerca di Massimo, ma in parte questa ricerca è stata fatta insieme a lui e girata “in diretta”. Momenti molto intensi. E' un documentario, ma ovviamente ci sono anche delle parti costruite.

Il lavoro dei CSI è sostanzialmente costruito. L'idea di riunire i POST-CSI è venuta a Massimo sulla base del lavoro che stava facendo con il documentario, che stava andando avanti già da otto mesi. C'erano già delle scene e lui aveva già scritto il testo e la linea melodica de Il nemico, che viene poi stravolta dai CSI.

Quando ho visto il film la prima volta, non avevo capito subito che era legato anche ad un progetto musicale. Pensi che il film possa “vivere” anche da solo?

Il film fa parte del progetto, ma ha anche una sua vita indipendente. Questa era la mia intenzione iniziale - mia e della produzione Lab80 - un film che sostenesse e fosse sostenuto dal lavoro dei POST-CSI. Però l'intenzione era che il film fosse in grado di “stare in piedi da solo”. Infatti è andato in vari festival.

Per adesso è venduto solo insieme al CD, ma è disponibile per le proiezioni in sala cinematografica.

Qual'è il tuo approccio con il cinema? Vuoi essere un regista di professione? O questo tipo di lavoro ti interessa solo se legato a quello di musicologo?

Non sono regista di professione. Lavoro come musicologo e mi diverto molto a fare i film, ma non credo sia solo una questione di “divertimento”. Penso che fare film su argomenti che hanno a che fare con la vita culturale, artistica, ma anche politica, sia un modo molto interessante per affrontare le cose. Principalmente perché puoi arrivare ad un pubblico più vasto. E poi perché puoi attivare dei livelli di identificazione diversi, che hanno a che fare più con la dimensione affettiva. Lavorare molto di più con il linguaggio del codice della memoria. La memoria è fatta di sorprese, di rotture, di emozioni forti. E questa è un aspetto emotivo che si può affrontare molto bene con la musica e le arti visive. Cosa che nello scrivere è molto più complesso, e non di accesso così diretto.

Sono partito con questo tema del recupero della memoria della Resistenza pensando che dovesse trovare uno sbocco cinematografico. Poi la ricerca che sto facendo è più ampia, a livello europeo. Oltre l'Italia sto coinvolgendo altri Paesi, ben 13 Paesi europei: università, centri di studio, associazioni indipendenti, per fare un lavoro molto grosso sull'antifascismo in Europa.

Anche su questa ricerca dovrebbero uscire un paio di documentari, perché di musica antifascista ce n'è tanta.

scena

Il Nemico - Un breviario partigiano (2015): scena

Ho visto dei corti girati da te, dai quali si comprende proprio la tua voglia di documentare e “registrare”. Cosa ti interessa di più dell'aspetto documentaristico delle tue ricerche?

L'aspetto musicale delle cose è la parte principale dei miei interessi di musicologo e di persona. Nello specifico sulla Resistenza: l'apporto che la musica contemporanea italiana ha sulla memoria antifascista non è ben presente agli storici italiani. Quando oggi si parla di antifascismo in Italia, difficilmente si parla di quello che è successo negli ultimi 20/25 anni, in particolare nella musica. In Italia ci sono stati dei musicisti che hanno recuperato quella memoria in maniera vitale, febbrilmente, in modo veramente unico. Un fenomeno di tale magnitudo non esiste in nessun Paese di Europa. Noi abbiamo almeno una trentina di musicisti che in questi ultimi vent'anni si sono occupati a livello nazionale di memoria della Resistenza. Producendo canzoni o recuperando vecchi canti partigiani, facendo parte di iniziative antifasciste. Insomma un movimento molto significativo. Da una parte la musica è importante perché riallaccia le persone anche a livello emotivo ad un passato. Questo è forse l'aspetto che ha tenuto lontani gli storici dall'interessarsi alla musica. Evidentemente non lo considerano un tipo di discorso analitico, non lo ritengono un campo dove si fanno delle riflessioni. A mio modo di vedere, molto spesso i musicisti in Italia hanno portato avanti delle riflessioni importanti attraverso i loro testi, le iniziative alle quali hanno collaborato (pensa a Materiale Resistente dei CSI e anche a questo progetto). Ci sono degli elementi di riflessione molto importanti. Se tu prendi le canzoni dei CSI, anche quelle che ci sono nel film, ognuno di questi pezzi non è solo una espressione di sentimento che lega al passato, ma è anche un momento di riflessione.

Stai portando avanti la tua ricerca sulla memoria musicale antifascista a livello europeo. Cosa rende l'Italia “speciale” in questo tipo di panorama?

Penso che la Resistenza abbia fornito un punto di riferimento etico, certe volte anche immaginario - ma va benissimo - nel nostro Paese, soprattutto per una generazione che si è trovata molto sguarnita da questo punto di vista. Ovvio pensare al fatto che dopo l'inizio degli anni '90 le realtà politiche siano diventate “striminzite” e molto polarizzate. Senz'altro molto lontani da un'idea di partecipazione attiva civile che potesse entusiasmare. Secondo me la Resistenza ha fornito questo tipo di “punto di riferimento”. C'è da dire anche che in Italia il fenomeno della Resistenza è abbastanza unico, nel senso che fu un esperimento di partecipazione politica anche selvaggia - quella dei partigiani – che non ha molti pari al di fuori dei nostri confini. Non è sorprendente che, soprattutto per gli artisti, quell'esperienza continui ad essere estremamente affascinante...ed è bene che sia così. Poi sai...con quello che è successo negli anni '90, la proprietà del discorso sulla Resistenza si è emancipata dai discorsi narrativi e retorici, soprattutto del Partito Comunista (ma non solo... anche della DC). In parte molti che provenivano dall'ambiente della sinistra varia, si sono reinventati un linguaggio per poter parlare di quel passato. Molto spesso sfidando quella retorica che era del PCI. Retorica che voleva i partigiani tutti bravi, tutti ideologizzati, perciò tutti o comunisti o liberali o cattolici. Invece oggi sappiamo, grazie alla nuova storiografia, che i partigiani non è che avessero un'idea politica così definita. Avevano più un istinto, ed era un istinto di libertà.

Massimo Zamboni

Il Nemico - Un breviario partigiano (2015): Massimo Zamboni

Ritornando al film in questione. C'è un passaggio molto toccante in cui Massimo passa davanti alle lapidi dei caduti partigiani di Reggio, dove sono esposti i nomi con le foto di ognuno. I partigiani riprendono i loro vestiti e i loro sguardi di uomini e donne, perdendo forse quell'alone di “eroi mitologici”?

L'approccio di Massimo all'epoca di “Guardali negli occhi” era molto influenzato dalle letture di Fenoglio. Quindi è molto legato a questa dimensione dell'idea di “Una questione privata”. Comunque chi combatteva si era ribellato a tutta una serie di problemi che aveva nella vita quotidiana. Spesso senza avere degli ideali politici. Questo è vero solo in parte, ma è una visione interessante perché avvicina molto i partigiani ad oggi. Invece di vedere questi “eroi monumentali”, vedi delle persone, piene di contraddizioni e spesso con le idee poco chiare.

Questo credo sia un contributo che Massimo con i CSI, dal punto di vista della comunicazione musicale, siano veramente riusciti a fare. A differenza di altre band italiane rimaste legate alla mitologia italiana.

Il romanzo di Massimo parte da una “questione privata” e affronta quella più globale e condivisibile. E' questa la maniera “nuova” per parlare di antifascismo e Resistenza?

La forza della resistenza e dell'antifascismo in generale è proprio questa. Si appoggia su delle esperienze personali vissute e la si recupera oggi allacciandola alle esperienze vissute dell'attualità. Nella carne e nelle ore e nella giornata. In Italia chi fa musica antifascista, molto spesso lo fa pensando e cantando momenti della loro quotidianità. Spesso delle realtà famigliari. La cosa interessante, oserei dire forse unica, è il fatto che Massimo ha messo in piazza il conflitto tra la sua identità, il suo orientamento umano ed etico, per non dire politico, e la sua storia famigliare. Il fatto che da antifascista, ha avuto la forza e la voglia di andare a scoprire un passato famigliare che era di segno opposto. E' quello che mi ha interessato tantissimo. Come dici tu non è solo una questione privata, si lega ad una questione generale. Se vuoi si può vedere come una metafora del popolo italiano. Se andiamo a vederci dentro, siamo tutti un po' come Massimo Zamboni, anche se non abbiamo avuto tutti il nonno fascista. Ma come popolo abbiamo avuto quel tipo di passato.

Mi auguro che chi avrà il modo di vedere questo documentario “Il nemico-un breviario partigiano”, ascoltare il cd dei POST-CSI “Breviario Partigiano” e leggere il libro “L'eco di uno sparo” di Massimo Zamboni, possa capitare sulla scheda del film qui sul sito. In questo modo poter approfondire, con queste due interviste, un argomento e un progetto che ho amato immediatamente e che ritengo importante comprendere fino in fondo.

Massimo Zamboni e Federico Spinetti hanno voluto condividere con gli amici di Filmtv.it il loro pensiero e le loro riflessioni. Io spero di poterli incontrare di nuovo, al più presto... alla “prossima avventura”.



 

 

 

 

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