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ADDIO A GIACOMO FURIA
di antonio de curtis
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Chi non lo ricorda nel ruolo del pizzaiolo tradito nel celebre episodio dell'anello con Sofia Loren ne«L'oro di Napoli»? E come dimenticarlo al fianco di Totò e Peppino, come imbianchino-falsario ne «La banda degli onesti»?

 

Ci ha lasciati a 90 anni l'attore campano Giacomo Furia, ultimo tra i caratteristi del nostro cinema. L'attore è morto a Roma, dove lunedì si terranno le esequie.

 


Furia era nato ad Arienzo, in provincia di Caserta, il 2 gennaio 1925. Da ragazzo, grazie a un lavoro di doposcuola estivo, conosce i De Filippo e da lì comincia la sua carriera di attore

 

 

Diviene in seguito efficace caratterista in numerose pellicole di Totò, insieme al quale recitò ben 17 film. Tra centinaia di ruoli secondari, avrà il ruolo di vero protagonista solo in due film: L'oro di Napoli (1954, episodio Pizze a credito) in cui interpreta il personaggio di Rosario, ingenuo marito della bella pizzaiola Sophia Loren; La banda degli onesti (1956, regia di Camillo Mastrocinque), con Totò e Peppino De Filippo dove interpreta il nevrotico artista Cardone.

Altre interpretazioni memorabili sono quelle ne Il medico dei pazzi, (1954, Mario Mattòli) e Totò, Eva e il pennello proibito.

 

 

Giacomo Furia e Totò
tratto da Totò di Orio Caldiron e I film di Totò di Alberto Anile


Quando ero nella compagnia di Eduardo, alla fine del nostro spettacolo noi giovani ci struccavamo e scappavamo per andare a vedere Totò che facendo la rivista finiva sempre un'ora dopo la prosa. Arrivavamo in tempo per vedere lo "sketch" del sotto finale e poi la famosa passerella, la marcia dei bersaglieri con cui inesorabilmente chiudeva. Ho fatto poi molti film con Totò, erano film che si giravano in venti giorni, anche meno. I produttori avevano interesse a girarli nel minor tempo possibile e a sfornarli uno appresso all'altro. Il medico dei pazzi lo girammo in dodici giorni addirittura. Ma bisogna tener conto del fatto che Totò arrivava sul set verso le tre e finiva verso le otto, non c'era molto tempo. Qualche volta non sono neppure sicuro se in un certo film c'ero o non c'ero, per certi film ho lavorato un giorno, due giorni, anche tre: si dimentica, non si può dire ho fatto un film, ma ho fatto una cosa. Mi ricordo che Mattòli si rivolgeva a Totò dicendogli: «Principe, tu devi fare così », mi faceva un po' ridere, ma lui accettava quello che Mattòli gli diceva, andavano d'accordo.


Nei suoi film ci sono un po' sempre gli stessi attori, Totò aveva bisogno di stare sempre con gli stessi, non gli piacevano i cambiamenti. Quando andò a fare un film in Spagna si trovò malissimo con l'operatore, che voleva fargli fare determinati passi per riprenderlo con una certa illuminazione. Totò gli diceva: «No, i passi no », si sentiva legato, impacciato, aveva bisogno di muoversi liberamente, altrimenti si limitava a dire la battuta e non rideva più nessuno. Il suo problema sono sempre stati gli occhi, all'inizio ci vedeva pochino, e poi alla fine non ci vedeva quasi più. Non potendosi divertire come una volta sulle tavole del palcoscenico, Totò si divertiva sul set. Quando tra una scena e l'altra riuscivamo a giocare a scopone, era contento di stare a guardare, sosteneva una volta un gruppo e una volta un altro. Era un uomo adorabile, molto generoso. Qualche volta mi diceva: «Buono, buono, ma perché l'hai detta così, si può perfezionare... ». Secondo me, perfezionare la battuta divertente di un altro, per un comico è il massimo del sacrificio, della generosità.



Il Ferraniacolor me lo ricordo perche' avevo una parrucca in testa e sudavo come una spugna. Una cosa proprio incredibile, perché allora fare un film a colori significava una luce che non finiva mai. Ricordo che faceva proprio caldo, tant'è vero che De Laurentiis aveva raccomandato a noi tutti di non dire che faceva caldo perché sennò Totò non girava più. "Il primo che dice che fa caldo, lo licenzio", era un suo modo per scherzare. Però aggiungeva: "Non lo dite, perché sennò Totò s'avvilisce e se ne va". Il medico dei pazzi fu girato forse in meno di tre settimane proprio perché faceva caldo e Totò voleva partire per la villeggiatura. Certo, non è che quelle luci gli facessero bene, però secondo me per Totò andare a lavorare significava sempre andare a divertirsi, era un gioco.



A casa era il principe de Curtis, una persona gentilissima, ospitale, tutte le cose belle di questo mondo, invece sul set, mentre si stava lavorando seriamente, lui organizzava perfino degli scherzi. C'era per esempio un fratello di Eduardo De Filippo, Pasquale De Filippo, figlio anche lui di Scarpetta, che si vantava di essere un grande giocatore di scopone: diceva di avere scritto un libro " Il settebello è una carta" e noi lo pigliavamo tutti in giro. Continuava a parlare di questo Il settebello è una carta; un giorno Totò fece affittare un aereo da turismo e fece lanciare sulla De Laurentiis migliaia e migliaia di manifestini dove c'era scritto "Finalmente è stato pubblicato il libro Il settebello è una carta". Queste erano le cose che faceva Totò, uno scherzo anche costoso.

                               

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