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Un altro cinema è possibile?
di maurri 63
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Da molti anni mi occupo di cinema indipendente: aiuto piccole produzioni, seguo amici che esordiscono la prima volta, indico strade per la ricerca di fondi: nel tempo, ho aiutato molte persone che volevano approcciarsi al cinema a capire se effettivamente questa poteva essere per loro un mestiere, non solo un hobby costoso. Ma ancora una volta sono qui a chiedermi cosa è davvero il cinema indipendente.

scena

Louisiana (2015): scena

Lo faccio in concomitanza con le affermazioni di Robert Downey jr. che ha di recente rilasciato un'intervista nella quale sconfessa il suo passato di attore low budget, in pratica rinnegandolo.
Secondo la star di “Avengers: Age of Ultron”, le produzioni indipendenti sono piccoli “film che ti prosciugano, arrivando addirittura a chiederti di lavorare il 4 luglio per finire l'opera o chiedendoti di pagare il catering”. Ovviamente, anche i registi “sopravvalutano le proprie capacità”, dice l'attore, lasciando intendere che il cinema è appannaggio di studios e non di vere e proprie personalità artistiche. Le sue dichiarazioni sono capitate proprio a ridosso del Festival di Cannes, nel quale, in un modo o nell'altro, cominciano a dettare legge (ma non lo facevano già prima ?) i meccanismi economici, piuttosto che i film. A voler ben guardare le cose, possiamo dire che oggi il cinema delle star ha letteralmente inglobato il cinema d'autore: l'involuzione di Nanni Moretti, che ha propagandato per anni un cinema fatto di attori, misti a comprimari familiari, senza fare uso di nomi famosi ma affidando le parti ad amici più che interpreti, è evidente. In un tempo relativamente recente, non solo il più stoico dei nostri autori appare rapito (comprato?) dalla imposta filosofia produttiva, tipicamente americana ma anche Sorrentino, Garrone - che pure nelle loro prime opere si professavano come scopritori di talenti - e perfino i Dardenne hanno abdicato al loro cinema primordiale, questi ultimi passando da illustri sconosciuti come Emilie Duquenne a star del calibro mondiale come Marion Cotillard. Ma un cinema scevro dalle regole di mercato è davvero possibile? A sentire produttori come Gianluca Arcopinto, “ogni film dipende in qualche modo dal pubblico, dal contributo economico, dall'impiego di maestranze; si può al massimo partorire un cinema autonomo”. Osservando meglio, però, possiamo oggi scoprire come prodotti diversi finiscono per risultare uguali tra loro: non è solo colpa dell'omologazione. Se un autore ha talento, se dimostra di poter portare un pubblico a vederlo, lo si coinvolge subito in progetti più importanti: la moneta permette più facilmente alle idee di diventare realtà. E attira facilmente, non solo dalle nostre parti: basti pensare a nomi come Florian Von Dorkel, passati disastrosamente da una realtà complessa come quella tedesca a un mercato quale quello statunitense che ne ha annacquato l'ipotetico valore.
In un recente articolo di MicroMega, che metteva a confronto Michelangelo Frammartino, Sydney Sibilia e Alice Rohrwacher, quest'ultima ha sostenuto che “non è facile imporre qualcosa di differente o innovativo rispetto alla produzione mainstream, perché ciò che non c'è non c'è. Ma il problema riguarda la società, non il solo cinema. Non ci si incontra più, non ci sono momenti collettivi di vero confronto, condivisione e socialità. La crisi mette di fatto le persone una contro l'altra”. Intanto, Roberto Minervini esce questa settimana in sala. Ha saputo resistere alle regole della produzione, grazie a una moglie manager orientale che l'ha sostenuto, soprattutto economicamente. E i suoi film, in genere, costano meno di 50.000 dollari. Ma andrete a vederlo?

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