Espandi menu
cerca
Un ultimo, commosso saluto a una donna e un’artista eccezionale: Judith Malina, scomparsa a New York il 10 aprile scorso.
di spopola
post
creato il

L'autore

spopola

spopola

Iscritto dal 20 settembre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 507
  • Post 97
  • Recensioni 1197
  • Playlist 179
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

E anche Judith Malina ci ha lasciati. 

Lo ha fatto qualche giorno fa, visto che è venuta a mancare – ricordata qui in Italia poco e male – il 10 aprile scorso, mentre si apprestava a raggiungere fra breve (più o meno un anno) il traguardo dei novant’anni. Era inevitabile che prima o poi accadesse visto che nessuno è eterno e lei – fragile nell’aspetto ma indomita nel carattere – che ha caparbiamente continuato a mantenere alta la bandiera del Living Theatre, fondato insieme a Julian Beck nel 1947 (un’esperienza congiunta unica, fondamentale e irripetibile, che ha illuminato la scena della seconda metà del novecento) proseguendo indomita e da sola per ulteriori 30 anni (tanti ne sono trascorsi dalla morte di Julian Beck, scomparso prematuramente nel 1985,  “marito, amante, compagno” come lo ha definito nella sua straordinaria “commemorazione postuma”  Mauro Petruzziello  su “Alfabeta  2” , http://www.alfabeta2.it/2015/04/15/la-bellezza-della-rivoluzione/ non poteva certo fare eccezione ed essere immortale (anche se sarebbe stato bello continuare ad immaginarlo).

Sempre fedele alla linea tracciata insieme a suo marito, non ha sgarrato di millimetro anche quando il vento aveva  cambiato direzione (si può imputare proprio a questo lo scarso interesse che le è stato riservato dai media nonostante il suo passato e il suo valore anche attuale di donna e di artista appunto).

Se ne è andata dunque in silenzio e nell’indifferenza generale, singolare destino per una donna di spettacolo tanto carismatica che anche qui in Italia negli anni ’60 ha davvero fatto la storia (insieme a Julian e agli altri attori del gruppo) del teatro politico e d’avanguardia, lasciando tracce indelebili nel ricordo in chi, come me, ha vissuto in diretta quella irripetibile stagione emozionante e piena di fermenti innovativi.

Praticamente attiva fino ai giorni nostri, lei la rivoluzione ha continuato a farla col teatro.

 

Non è mai stata invece utilizzata dal cinema come avrebbe meritato: soprattutto mortificanti piccole parti secondarie o semplici apparizioni (Candy e il suo pazzo mondo, Quel pomeriggio di un giorno da cani,, China Girl, Radio Days, Nemici – Una storia d’amore, La famiglia Adams – dove interpretava il ruolo della nonna - Verso il paradiso, Riccardo III – un uomo, un re), insufficienti per rendere giustizia alla sua eccezionale statura artistica.

Fino a che è stato in vita Julian, erano tutt’uno: parlare dell’uno significava  parlare anche dell’altra e viceversa (spesso citandoli come J. & J) e questo pure per quel che concerne il campo della regia, poiché indipendentemente dalla firma che era quasi sempre quella di Beck (e in alcuni casi addirittura quella del collettivo), la preparazione e la successiva costruzione drammaturgica erano comunque coordinate da entrambi.

 

Il cinema dell’avanguardia newyorkese realizzato a cavallo fra i ’50 e i ’60 e conseguenti, deve comunque molto alla loro esperienza teatrale, soprattutto per quel che riguarda “The Brig” girato con la regia di Jonas Mekas (//www.filmtv.it/film/42794/the-brig/recensioni/492999/#rfr:film-42794), ma anche per “The Connection” diretto da Shirley Clarke (//www.filmtv.it/film/27368/the-connection/ ).

Per me, comunque, rimane la memoria indelebile della inobliabile presenza dei loro spettacoli sulle scene Italiane protrattasi per lungo tempo e molte occasioni. Ero ancora troppo confuso e distratto per accorgermi  in tempo del passaggio da Milano di The Brig  e non posso portare dunque al riguardo una mia personale testimonianza perché purtroppo me lo sono perso. Lo posso fare invece, raccontandone le emozioni profonde provate davanti a una Antigonedi straordinaria potenza espressiva e di un altrettanto prepotente valore accusatorio e dove Antigone era proprio la Malina, fiera combattente contro le leggi assurde della sua terra.

 

Per me, comunque, rimane la memoria indelebile della inobliabile presenza dei loro spettacoli sulle scene Italiane protrattasi per lungo tempo e molte occasioni. Ero ancora troppo confuso e distratto per accorgermi  in tempo del passaggio da Milano di The Brig  e non posso portare dunque al riguardo una mia personale testimonianza perché purtroppo me lo sono perso. Lo posso fare invece, raccontandone le emozioni profonde provate davanti a una Antigonedi straordinaria potenza espressiva e di un altrettanto prepotente valore accusatorio e dove Antigone era proprio la Malina, fiera combattente contro le leggi assurde della sua terra.
Un teatro spesso gestuale, il loro, ma non solo, e questa Antigone l’ho vista almeno una decina di volte fra palcoscenici ufficiali e spartane sale delle case del Popolo, perché è proprio in una di quelle, all’Andrea del Sarto di Via Luciano Manara che approdò in prima assoluta per Firenze (la gente faceva a pugni pur di entrare). Ma sotto il profilo più “strettamente teatrale” e meno “politico” (poiché l’Antigone era davvero ”arte e politica” al tempo stesso),  porto un ricordo ancor più travolgente che riguarda la messa in scena tutta al maschile (teatro di travestimenti e di metafore) di un impressionante. indimenticabile Les Bonnes di Genet di sconvolgente  coinvolgimento rituale, visto una domenica pomeriggio al Teatro di Palazzo Durini di Milano in una platea tristemente semideserta, con fra gli interpreti, uno strepitoso Rufus Collins (che era fra i protagonisti anche dell’ Antigone e di The Brig teatrale e cinematografico), sicuramente la migliore trasposizione scenica fra le tante che ho visto.

Erano gli anni che anche io facevo teatro, ed era difficile sottrarsi all’attrazione di quella nuova forma di rappresentazione che puntava tutto sulla potenza soprattutto gestuale degli interpreti, prima fra tutti quella piccola, flessuosa donna tutta nervi e sguardi fulminanti capace di emettere suoni gutturalmente sconvolgenti con la sua insolita modalità tutta “fisica”  di intendere il rapporto con il pubblico. Il Living e i suoi artefici (soprattutto la Malina e Beck ) diventarono per lungo tempo il punto di riferimento non solo di ogni piccola compagnia sperimentale (e ce n’erano davvero tante in quegli anni) ma anche del teatro ufficiale….. Nel nostro piccolo, furono tre gli spettacoli realizzati con quel procedimento speciale che richiedeva snervanti costruzioni anche ginniche (ovviamente rimanendo di molto al di sotto dell’originale): un Prometeo Incatenato  presentato al teatro Metastasio di Prato, un Fuenteovejuna  andato in scena al Teatro di Rifredi e uno Stato d’assedio di Camus per il teatro dell’Affratellamento che indubbiamente fu fra tutti il successo più clamoroso di tutto il nostro percorso artistico.

 

Per questo il rammarico per la sua dipartita, è in me così profondo e sentito: è come se avessi smarrito un punto di riferimento che – se anche indirettamente - è stato molto importante (addirittura fondamentale insieme all’espressionismo) per la mia formazione.

Probabilmente poco conosciuta dalle nuove generazioni, la voglio allora ricordare prima di tutto attraverso il commovente tracciato che ne ha fatto il Petruzziello (ha detto talmente  tante cose e con tanta sentita commozione, che non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro). Per chi vorrà, digitando il link già sopra riportato e che ripeto nuovamente qui http://www.alfabeta2.it/2015/04/15/la-bellezza-della-rivoluzione/  

potrà valutare da solo l’accorata bellezza del suo scritto attraverso il quale saprò davvero chi era Judith Malina. Da parte mia, provo a fornire un ulteriore contributo non con le mie parole (che sarebbero davvero poca cosa) che in questo momento non riesco proprio a tirar fuori, ma con quelle scritte da  Fernanda Pivano (correva l’anno 1975) in un articolo dal titolo: Per Julian, per Judith che aiuteranno ulteriormente a valutarne l’impegno e l’importanza:

Nove monografie, due autobiografie, una raccolta di versi, centinaia di articoli su riviste, migliaia di cronache sui giornali, mito e leggenda, lunghi silenzi  dal carcere  e clamori di cronaca che parlano dei loro arresti, facce sempre più magre, corpi sempre più trasparenti, vestiti sempre più sgargianti e sempre più laceri, teatro diventato sempre più una scelta di azione e scelte diventate sempre più idee di teatro, rivolta come indipendenza, come integrità, anticonformismo come stile di vita, centinaia di migliaia di ragazzi ansiosi di ascoltare un nuovo messaggio, un nuovo blueprint o una nuova proposta: questo è il Living, questo sono la Malina e Beck. Lo prevedevi profetico Julian, lo prevedevi apocalittica Judith, e perfino razionalissimo Joe, lo prevedevi che sarebbe andata così? O forse non ve ne siete nemmeno accorti? Per voi, forse, è stato soltanto come uno scorrere lento di un fiume che si inerpica fra argini coperti di erbe, argini sempre più alti con erbe sempre più brulle, scoscesi ed insidiosi, coperti di spine e di imprevisti, duri fino a diventare pareti di una cella, prigionieri politici di tutte le rivoluzioni. Voi siete la disobbedienza civile non violenta per il disarmo nucleare e quella altrettanto  non violenta che vu ha reso paladini della  difesa dei diritti privati: l’omosessualità di The Heroes di John Ashbery (1952): teatro chiuso dai pompieri per ragioni di sicurezza’, la contestazione giovanile Anni Cinquanta di Young Discipline di Paul Goodman (1953): teatro chiuso  dall’amministrazione comunale ‘per ragioni di sicurezza’, la droga di The Connection di Jack Gelber (1959): aggressione a tappeto dei quotidiani dell’Establishment, la violenza e l’abbrutimento delle prigioni militari di The Brig dii Kenneth Brown (1963): espulsione dal teatro ordinato dall’ufficio delle tasse, venticinque arresti, processo clamoroso senza avvocati, un mese di prigione per Judith, due mesi pere Julian; e poi disubbidienza non violenta per la difesa della libera espressione teatrale collettiva senza interventi di registi (Mysteries, 1964) e della creazione collettiva del teatro alchemico col pubblico che prende parte all’azione (Paradise Now, 1968), teatro portato sulla strada e dunque teatro di rivoluzione, carovana di zingari , suonatori girovaghi vaganti di città in città, di continente in continente, fino al Brasile, invocati dagli artisti brasiliani a sostegno della loro lotta di liberazione(Eredità di Caino, Sacher-Masoch, 1971),con conseguente divieto di continuare le rappresentazioni a causa della droga, due mesi di carcere, firme raccolte in tutto il mondo, scarcerazione e espulsione … e ancora le disturbanti Les Bonnes tutte al maschile  (Rufus Collins superlativo) da Genet e l’indimenticata – indimenticabile Antigone la cui eco a travalicato i continenti….

Da allora quieto esilio in patria, memorie scritte a Brooklyn, il fiume delle esperienze straripato in un lago, in un mare, in un oceano: muri troppo stretti per contenere le immagini e i ricordi, problematiche  e previsioni, forse dubbi, certo speranze, una cellula a Londra, una cellula in India, amori finiti  e bambini nati e cresciuti, ma niente e nessuno che muore per davvero, perché il Living si chiama Living e se qualcosa o qualcuno morisse, morirebbe per primo il loro esorcistico nome.

I muri diventano troppo stretti anche a chi vi ripensa come me:  giugno 1961 a Milano, manoscritto di Kaddish venduto all’asta coi quadri di Kooning e di Rauschenberg, 25.000 dollari racimolati per finanziare il viaggio, ancora ignari del déluge che si addensava sulle vostre teste, simbolo antinucleare di Russell piccolo e d’oro luccicante sul golfino nero di Judith al posto delle perle vere o finte sui golfini neri delle signore che la invitavano ai parties, parties alla milanese, soltanto per le ‘stelle’ però  ma non per gli attori, discorsi di non violenza, intrighi organizzativi di teatri scandalizzati dal programma imprevisto, teatro esaurito, ma rifiuto di rispettare il contratto, grandi occhi perplessi di Julian, mani nervose di Judith , sbigottimento nel passaggio da teatro d’avanguardia a teatro di protesta a teatro di rivoluzione, consigli da maestri di vita e larghe visioni da guru, marce e sfilate, trenta giorni di prigione nel 1955 per disobbedienza civile a un’esercitazione obbligatoria della difesa antiaerea: il problema erano ancora la bomba atomica e i residuati della Caccia alle Streghe di  Joseph Mccarthy.

Già rivoluzionari a Parigi nel giugno del 1966, The Brig approdò al teatro Odeon fra i fischi di un pubblico militarista, il disprezzo di critici neofascisti, i camerini squallidi e disadorni  e nessuno degli allori francesi di qualche anno prima (1961, Grand Prix de la Recherche, Prix de l’Université du Theâtre des Nations, Médaille de la Critique Dramatique). Judith distratta che si struccava un centimetro di pelle e subito se lo ritruccava come se dovesse ritornare in palcoscenico, vestaglie logore dopo estenuanti-estenuate vicende, Julian  sommerso da parole distruttive quasi infamanti, Rufus paziente, cene sempre più vegetariane e scarne ( una fetta di bambù in scatola e senza pane). Lunghe ore a parlare di manoscritti non ancora finiti, di autobiografie non ancora raccolte, di poesie non ancora battute a macchina, progetti editoriali rimasti inevasi, il tempo, il tempo che sfuggiva a tutti e due, ma soprattutto a te mia cara Judith:, quante ore in un giorno? quanti minuti in un’ora? quanti secondi nel sonno e quante giornate a spostarsi, pigiati nel camioncino Volkswagen acquistato coi soldi guadagnati grazie all’Edipo di Pasolini?

Anche piccole risalite entusiasmanti però: novembre 1969 a Milano, Paradise Now in un circo, servizio d’ordine orgogliosamente prestato dal Movimento (che tempi magnifici sono stati quelli!) ‘Paria’ venuti chissà come dalle tenere colline intorno a Lugano, clandestini passati sotto i ganci delle tende, folla al di là del pensabile, emozione al di là del credibile, tensione al di là del sopportabile, gradinata crollata sotto il peso inconsueto, pubblico in pista (come in un antico revival istericizzato), occhi vitrei di Julian, mani tremanti di Judith, fuga dal dionisiaco per approdare a un ristoranteaprezzofisso (le scelte fatte non permettevano di più), pelle livida dal freddo, sandali e fragili indumenti da estate sulla neve ghiacciata e Judith che non ha nemmeno il cappotto perché era stato confiscato con tutto un baule per pagare chissà quale albergo.

Mito e leggenda, leggenda di questa caccia al tesoro per i pochissimi dollari quotidiani, mito di un’integrità decisa ad alzare le braccia  inermi contro le insidie e le baluginanti lusinghe delle biglietterie rasentando la miseria ma con gli ideali intatti e due generazioni che hanno fatto teatro col vostro nome e con i loro gesti ,ma  pensando alla vostra vita e al loro teatro”.

Dormi allora finalmente in pace, anche se non sei riuscita a cambiare il modo: hai fatto comunque grandi cose e nessuno avrebbe potuto  chiederti di più: tu non sei mai cambiata… sono gli altri… siamo noi che abbiamo disertato. Dormi e riposa dunque… muore anche il mare (G. Lorca).

 

Ringrazio Lorenzo (Marcello Del Campo) vero ispiratore di questo tardivo ricordo quasi fuori tempo massimo (sarebbe stato magnifico se lo avesse fatto lui). Ha invece preferito passare a me il testimone… e questo è il risultato perché davvero: mi sono mancate le parole e non sono riuscito a trovare il tono giusto, come sempre accade quando ci si trova a dover parlare della dipartita di una persona cara.

 

 

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati