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Ben Affleck

Runner Runner (2013): Ben Affleck

Ben Affleck, secondo me, non è un grande attore. Direi anzi un attore appena discreto, nonostante la Coppa Volpi nel 2006 per Hollywoodland, il premio per il miglior ruolo da non protagonista dello Hollywood Film Festival e un Golden Globe sempre nello stesso anno.

Forse è un ottimo regista, stando a parecchi critici d’oltre Oceano, ma non mi interessa. Quello che vorrei sottolineare è un altro aspetto.

Fino a poco tempo fa, consideravo Affleck un pessimo attore. Non riuscivo a comprendere come un attore, così poco espressivo, fosse così spesso chiamato a recitare in film di un certo impegno.

Ancora oggi, lo vedo legnoso, statico, incapace di rappresentare con la giusta espressione certi sentimenti ed emozioni.

Poi, dopo aver visto e rivisto due film come IPOTESI DI REATO e THE COMPANY, ho visto qualcosa che mi era sfuggito.

Sono due film molto diversi l’uno dall’altro. Nel primo, Affleck interpreta il ruolo di un giovane ed ambizioso avvocato, tutto teso a scalare rapidamente i gradini di una carriera tanto spietata quanto luminosa.

Nel secondo, è invece un “executive” che, a causa della crisi economica che sta flagellando il suo Paese, perde il lavoro ed è costretto a ripartire da zero, adattandosi a fare il muratore e a scendere vertiginosamente la scala sociale che tempo prima aveva scalato con baldanza.

C’è una scena, nel primo film, che mi ha colpito: Affleck ha appena compiuto un atto di pura malvagità verso un uomo con cui al mattino ha avuto un litigio, le cui conseguenze gli stanno procurando diversi guai.

Mentre urla in strada tutta la sua rabbia e la soddisfazione per avergli procurato un grave danno morale (lo ha fatto arrestare con false accuse per impedirgli di vedere i propri figli), ad un tratto vede la moglie di quell’uomo (ben interpretato da Samuel Jackson) con i suoi due figli per strada, disperati per ciò che è appena accaduto al padre. In pochissimi secondi, l’espressione facciale di Affleck cambia, la sua rabbia e la sua gioia belluina poco a poco lasciano il posto a un’altra che sottintende chiaramente la graduale presa di coscienza per il dolore che ha appena causato nei confronti di persone innocenti. E’ una delle scene migliori di questo buon film, diretto con mano sapiente da Roger Michell nel 2002. E’ una sequenza che segna l’inversione di un percorso che, da china costellata da tutto ciò che rende indecente un uomo, diventa una progressiva catarsi che lo spinge ad avvicinarsi all’ALTRO, un cammino morale che lo rende migliore e che lo indurrà a rivedere la sua vita, le sue relazioni e i compromessi morali con cui è si andato via via accompagnando. 

Il secondo, diretto da John Wells, è senza dubbio uno dei migliori film sulla crisi economica che sta attanagliando il pianeta e che sta sconvolgendo la vita di milioni di persone, riducendo e spesso vanificando drammaticamente speranze, illusioni di un’intera generazione.

Affleck è un dirigente, addetto alle vendite, di una grande società. La crisi costringe i vertici aziendali a traumatiche ristrutturazioni che riguardano anche quadri e dirigenti. Affleck è uno di questi. All’inizio, per orgoglio, non intende adattarsi alla nuova situazione. Non intende rinunciare al lussuoso tenore di vita cui si era ormai abituato assieme alla sua famiglia. Poco a poco però, la dura realtà quotidiana fatta di bollette, rette scolastiche, banchetti e macchina di lusso lo costringe a cambiare atteggiamento e a ridurre drasticamente il suo stile di vita e ad accettare un modesto lavoro di muratore, graziosamente offertogli dal rude cognato.

Ma quello che mi ha colpito (e  che è l’oggetto di questo post) è l’espressione di questo giovane e rampante figlio prediletto della classe imprenditoriale di un Paese chiamato Stati Uniti d’America, tanto pronto a stendere tappeti rossi a chi ha successo nel Business quanto spietatamente lesto a appioppare un vigoroso calcio nel sedere a chi, per colpe anche non sue, non riesce a sfondare.

E’ un’espressione che spaventa, perché svela il baratro che si cela dietro a chi si trova improvvisamente in mezzo al guado. Davanti a sé il livello dell’acqua sta improvvisamente e impetuosamente crescendo. E’ impossibile proseguire. E’ ancora possibile invece tornare a riva, a condizione però che si lasci perdere il bagaglio che si è portato con sé, fatto di progetti e sogni di gloria.

Ho visto poche volte espressioni così. Un misto cioè di grave incertezza, depressione, smarrimento e sofferenza interna.

E’ uno sguardo quasi vuoto, un’espressione che inquieta e che intenerisce. Intenerisce perché mette a nudo l’inconsistenza di noi umani davanti alle leggi naturali e non, piegate alla volontà e al capriccio di pochi, quei pochi che decidono per tutti e sempre in spregio alla solidarietà, al bene comune, all’interesse generale.

Quello sguardo vuoto lo abbiamo visto tante altre volte, e molto spesso anche qui a casa nostra, in un Paese che si trova improvvisamente spaventato per la repentina discesa, a tratti inarrestabile, verso un declino materiale e morale di cui non si intravede il fondo, o la fine.

Forse è per questo che ho rivalutato, anche se solo in parte, Ben Affleck.

In quegli occhi sbarrati, in quello sguardo vuoto, spaurito ho visto ben rappresentata l’immagine di un intero Paese.

 

Ben Affleck

Gone Girl - L'amore bugiardo (2014): Ben Affleck

 

“Affleck has the milk-fed good looks of a Kennedy, this is far from sufficient in a role that calls for some moral outrage ... He's game, but lacks depth; he's mopey”.

ELVIS MITCHELL, The New York Times, 7 Ottobre 2014 (recuperato)

 

 

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