Espandi menu
cerca
Tôru Takemitsu, ovvero come con i se e con i MA si potrebbe (ri)fare la storia (del cinema)
di giovenosta ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

giovenosta

giovenosta

Iscritto dal 29 novembre 2007 Vai al suo profilo
  • Seguaci 30
  • Post 3
  • Recensioni 831
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

È passato un po' di tempo (più di tre anni ormai) dal mio primo e unico post e adiacente playlist, convinto dal "fratello" Database che mi sarei appassionato in fretta e che in breve tempo avrei fatto parte della "famiglia" di FilmTv in maniera piuttosto attiva e assidua.
In realtà, un po' la pigrizia, un po' la mai troppa facilità a scrivere (meglio le note, eh, eh… ma anche quelle con una certa parsimonia), mi hanno bloccato subito agli esordi.
Magari non frega niente a nessuno, ma comunque mi scuso, con il sopracitato Database e quei pochi che mi avevano dato un caloroso benvenuto, per aver acceso una miccia e poi essermela data alla chetichella.

 

 

Qualche tempo fa vidi un servizio alla televisione (che guardo veramente di rado) che parlava di un ex-manager italiano convertito al buddismo (tibetano, mi sembra) il quale affermava che, dopo i circa i 50 anni, aveva deciso di ritirarsi dal lavoro in cui aveva guadagnato abbastanza e dedicare parte del tempo (ormai più) "libero" agli altri.
Ho più o meno la stessa età, non ho guadagnato abbastanza, e non sono sicuro di essere così saggio, giusto e altruista da poter dire di volermi offrire volontario per chissà quali nobili imprese.
Però…c'è un però.
Forse anche convinto dal nuovo appeal del sito e dalle sue sempre maggiori possibilità interattive, in questi giorni sono riapparso qua e là, solleticato dalla condivisa recensione di Database (sempre lui) su Interstellar, scambiando inoltre interessanti pareri con alcuni utenti, grazie alla bellissima e analitica recensione del film Pitfall fatta da Yume; per la inevitabile rottura degli "argini" SerialTv fatta da bradipo68 col commento a Äkta Människor; per aver scoperto che kotrab (che, come il sottoscritto, ama Guitry) ha come avatar il fotoritratto nientepopòdimenoche di Béla Bartók! (e, come nickname, il suo palindromo).
Torno all'ex-manager buddista (e al però). Mi sono detto: "di lavoro ce n'è sempre meno, quand'anche ci fosse, è pagato una miseria…allora bisognerebbe proprio mettere una piccola parte del mio tempo (la pigrizia è una brutta bestia) a disposizione degli eventuali appassionati. Qualcosa di quelle migliaia di film che ho visto, quel numero improbabile di ore di musica che ho ascoltato devono uscire dall'appagante e spesso solitario onanismo percettivo (in questo so che non sono solo), provando a condividere, anche se solo con qualcuno, le esperienze maturate. Tutto ciò ha qualche punto di contatto col corso di laurea di Musica per Immagine che tengo alla Scuola Civica di Milano, ma fatto in modo molto più libero e alla mano (gli allievi selezionati sono comunque dei musicisti).

 

 

Proprio a causa della recente ri-visione del capolavoro di Teshigahara, mi sono imbattuto in streaming nel bel documentario di Charlotte Zwerin dedicato al compositore nipponico Tôru Takemitsu, autore di alcune tra le più significative colonne sonore di sempre (non solo giapponesi). Per chi non lo conoscesse, Takemitsu è stato un po' il Morricone+Berio del Sol Levante: eclettico, anti-accademicamente sperimentale e geniale come Morricone - ma al contrario del Maestro italiano, venerato in patria anche dall'ambiente classico - e al contempo filosofo, politico, musicologo, colmo di interesse, ad ampio spettro, anche verso la musica meno "seria" come il folk e il jazz (proprio come Berio), finanche alla "canzone leggera" contemporanea, che con grande "souplesse" tratta alla stregua della chanson française degli impressionisti di inizio '900. A questo proposito, celebri e un po' "dandy" sono le trascrizioni per chitarra classica delle song dei Beatles, amore anche questo condiviso col sommo compositore di Radicondoli.
Questo documentario, attraverso la musica, ma soprattutto le parole di Takemitsu (e le immagini di alcuni film memorabili da recuperare assolutamente) ci fa capire quanto si può aderire con estrema coerenza alla poetica di un film (non solo dei tempi andati) se il rapporto con il regista è fiduciario, anche se non necessariamente privo di conflitti. Il regista in fin dei conti è il "capitano di ventura", il "responsabile" dell'opera finita: è soprattutto a lui che vengono riconosciuti gli oneri e gli onori. Commoventi sono le dichiarazioni di alcuni dei più grandi registi giapponesi, come quando ad esempio Kobayashi realizza di aver cambiato modo di pensare il proprio cinema nel momento in cui il Nostro irrompe nella sua vita artistica, o nel momento in cui Shinoda confessa di aver addirittura seguito un suo pressante consiglio su come montare la scena madre di un film, arrivando a esprimere una riconoscente meraviglia subito dopo averne verificato l'efficacia, oppure quando Ôshima narra di quando era ancora in veste di aiuto-regista, e di quanto era emozionato all'idea di poter solo parlare con quello che era definito il "genio" da parte di tutti gli addetti ai lavori.
Viene mirabilmente spiegata la misteriosa essenza del MA, ovvero dello spazio (vuoto) esistente tra le cose, essenza che Takemitsu traduce in musica riuscendo a portarla a livelli quasi estatici e probabilmente mai così efficaci.
A questo punto verrebbe da domandarsi come poter applicare al presente tutto 'sto pippone su un cinema che è stato e che forse non è più…e perché servirebbe tanto farlo! Perché sono ormai troppi, troppissimi i film che oggi vediamo, verso la cui colonna sonora soprassediamo con condiscendenza, forse anche impauriti dall'apparente inafferrabilità della questione, vincolati dai propri gusti contingenti (e un po' superficiali), gusti mai come oggi ossimoricamente appiattiti dalla confusione della globalizzazione e dalla apparente sapienza generata dalla velocità di accesso all'informazione.
Una miriade di pellicole di possibile pregio potenziale, vengono irrimediabilmente devastate da colonne sonore sbagliate perché tronfie, magniloquenti, monotone, interscambiabili, anonime, volgari e dozzinali, non solo nella mera creazione ma anche nell'uso sconsiderato del loro ingombro (in termini di minutaggio e volume).
A parte rari casi, oggi il concetto di MA non esiste praticamente più. Le "nouvelles vagues" provenienti dalle cinematografie di tutte le nazioni del globo erano riuscite (più o meno consapevolmente) a farci (ri)assaporare il gusto di questa essenza, precedentemente distrutta o per lo meno fagocitata dalla giustificata ingordigia determinata dall'avvento del sonoro, durata circa 30 anni. Quell'essenza dello spazio in musica, che spesso dà miracolosamente nuova vita, spessore e inaspettate direzioni alle immagini.
Sarebbe un po' stupido, presuntuoso e anche ingenuamente donchisciottesco pretendere che le grandi produzioni odierne potessero seguire le logiche artistiche del cinema di 40 e più anni fa, anche se, in un universo parallelo, mi piacerebbe tanto verificare se un Avatar con una colonna sonora meno "cheesy-new age" e un po' più "coraggiosa" (anche nei silenzi, naturalmente) avrebbe veramente determinato degli incassi modificati o addirittura compromessi… il vantaggio? Che il film avrebbe potuto mirare un po' più al cuore (o alla mente, vedete voi) invece che solo agli occhi, come di fatto in fin dei conti è successo.
Ciò che ci insegna il Maestro nel breve documentario è un'altra regola d'oro ormai regolarmente infranta per sciatteria e ignoranza: che immagini e musica non devono avere per forza lo stesso "segno", perché corrono il rischio di annullarsi.  Questo postulato potrebbe anche risultare anti-algebrico, ma a pensarci bene risulta essenziale.
Si provi a immaginare (sempre in un mondo parallelo) un film così "imperativo" nelle sue affermazioni filosofiche come The tree of life con una colonna sonora un po' meno assertiva e più discreta di quella scelta, proprio e soprattutto nella sua "presenza" incombente (e soffocantemente oleografica). Saremmo usciti dalla sala meno rintronati e con qualche certezza "urlata" in meno, magari con maggiore distacco e saggezza, chissà…con la sensazione che se per caso l'Autore avesse voluto dimostrare di essere nel possesso della piena maturità espressiva, di fatto lo sarebbe stato in quanto ostinato e persistente nel desiderio (e il pudore) di voler rappresentare anche qualche momento di dubbio. E quella colonna sonora è un pennarello evidenziatore in rosso che cancella ogni titubanza, che azzera tutte le domande amplificando un sacco di (discutibili) risposte.

 

 

Concludo il post con un piccolo consiglio di ascolto: The unanswered question, breve masterpiece di Charles Ives composto nel 1908; brano che sarebbe potuto diventare la migliore colonna sonora possibile per il film di Malick, sia per il contenuto musicale che per il significato del titolo.
Descrizione (molto visionaria) suggerita dall'Autore: il tappeto consonante che si ode dall'inizio (e che sostiene fallacemente e in maniera ciclica tutta la composizione) rappresenta Il Silenzio dei Druidi, che non Sanno, non Vedono e non Sentono Nulla. Una tromba solista per 7 volte ci pone la Perenne Domanda sull'Esistenza alla quale i fiati, che rappresentano i Rispondenti Combattenti (e Superficialmente Impertinenti, aggiungerei), cercano appunto di rispondere, in modo sempre più irregolare e canzonatorio per le prime 6 volte poi, rendendosi conto dell'inutilità del loro agire svaniscono, lasciando esporre la Domanda per la settima e ultima volta prima che i Silenzi possano tornare alla loro Indisturbata Solitudine. yeah.
Buona "visione".


 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati