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Wise Bob, Wise Guy e..."les auteurs"
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La teoria autoriale (Auteurism o, per meglio dire, la théorie des auteurs, alla francese, visto che si deve alla critica d’oltralpe la sua elaborazione), all’inizio, mi sembrava assolutamente centrata. Mi aveva convinto il particolare approccio che i vari Bazin, Truffaut e Rohmer avevano saputo elaborare. Mi affascinava l’ardita impalcatura filosofica che sottendeva l’opera d’arte, la sicurezza con cui condannavano o esaltavano i registi, partendo dall’assunto che si riconosce l’autore solo se di questo si riesce ad individuare determinate caratteristiche nella sua direzione o messa in scena. Se queste caratteristiche si rivelano, diamo di fronte a un vero autore, altrimenti no, detto così in soldoni.

Ecco allora l’esaltazione di registi come Wyler, Hawks, Hitchcock e Nicholas Ray.

Poco a poco, però, mi sorgevano sempre più dubbi riguardo alla fondatezza di questa teoria.

Capivo che era sempre più una questione di gusti e quindi soggettiva, più che un metodo sistematico e obiettivo.

Non riuscivo a capire, per esempio, come mai restavano fuori dalla “lista” autoriale, registi come Hathaway, Fleischer, Frankenheimer e Robert Wise.

O meglio, lo capivo, ma non ero d’accordo nel non tenere in considerazione dei registi che, a mio avviso, avevano dimostrato, in varie occasioni, di dirigere film  straordinari.

In questi giorni, ad esempio, ho visto un film che alla stragrande maggioranza del pubblico non dice nulla. Si tratta di DUE BANDIERE ALL’OVEST, di Robert Wise, della 20th Century Fox, la cui tematica ricorda un poco SIERRA CHARRIBA di Peckinpah. La presenza di attori come Joseph Cotten, Jeff Chandler, Linda Darnell e Cornel Wilde, arricchisce una trama interessante e infonde un registro drammatico che eleva la qualità del film oltre la categoria di B-Movie, come era nel progetto della FOX e di quel vero genio della produzione che era Darryl Zanuck.

Delle due l’una, o il livello dei B-Movie era, anche nel western, di grande professionalità al punto da competere spesso con i film ad alto budget, oppure ci troviamo di fronte alla conferma che, poiché la critica non ha mai considerato altro che un buon artigiano il buon Wise, questo film sia uno dei tanti western minori da dimenticare, fatti solo far lavorare gli attori sotto contratto e contare su entrate sicure, pur se limitate.

Il peccato di cui Wise è, secondo i critici che scrivevano allora per CAHIERS DU CINEMA, colpevole, è quello di avere disperso i temi a lui cari in una lunga serie di film appartenenti ai generi più svariati. Troppi e troppo diversi i generi, i temi su cui ha lavorato. Quando un regista fa questo, diventa, secondo la teoria autoriale, troppo dipendente dai voleri dei suoi capi e rinuncia alle sue idee pur di lavorare. Così facendo, il suo cinema diventa un lavoro su commissione e non più un terreno su cui esprimere la sua visione del cinema e del mondo.

Nel caso di Wise, scrivevano (1):”Il puro tecnico. I suoi primi film furono scoppiettanti, ma pare che faccia fatica ora a mantenersi ad un livello elevato., per mancanza, senza dubbio, di un bisogno interiore profondo. Il suo stile finisce per apparire come un insieme di trucchi che usa anche se con un’abilità consumata. Se la sceneggiatura non è buona, egli non salva che superficialmente il film, con una regia realizzata in modo estremamente curato, ecco quindi LA SETE DEL POTERE. Se la sceneggiatura è buona, ecco STASERA HO VINTO ANCH’IO. Se è intelligente e profonda, Wise ne viene superato ed ecco quindi LA LEGGE DEL CAPESTRO. E’ l’uomo che non delude a patto di non chiedergli troppo”.

Insomma, non una condanna totale, ma quasi. E’ solo un tecnico, insomma, un bravo artigiano.

A scanso di dubbi, questo tipo di regista è esistito, esiste ed esisterà sempre. Ciò che mi preme rilevare è il pericolo che, in questo modo, non vengano adeguatamente valorizzati i meriti di molti registi.

A Wise, molto probabilmente, non interessava molto essere considerato un autore, visto che gli veniva riconosciuta una professionalità e una capacità non comuni proprio dalle massime autorità ed istituzioni cinematografiche americane, avendo vinto nel 1961 l’Academy Award  per il miglior film e come miglior regista per WEST SIDE STORY, essendo stato a capo del Directors Guild of America dal 1971 al 1975 e presidente della Academy of Motion Pictures and Sciences dal 1984 al 1987.

Wise piaceva ai produttori perché era particolarmente meticoloso nella preparazione, nell’organizzazione del lavoro e nella conoscenza del mezzo tecnico. I riconoscimenti ricevuti erano dovuti in buona parte al fatto che Wise non aveva mai fatto perdere denaro agli Studios e questo, per gli americani e non solo, è un elemento straordinariamente importante.

Stranamente, ma non tanto, questi riconoscimenti fanno sempre arricciare il naso alla critica. Più un regista piace ai produttori, meno piace alla critica. E’ comprensibile, certo, ma non dovrebbe essere una regola.

A Wise. Insomma, è stata rimproverata la mancanza di personalità (caratteristica comune a tutti i registi non autori). Un grande regista si caratterizza per la sua personalità, secondo gli “autoristi”. Ora,  Wise, secondo loro, ha diretto film impersonali, carenti di una chiara linea di continuità, di coerenza con il suo stile. Ma a Wise non interessa questo. In effetti, esiste il pericolo di “pensare” un film incanalandolo su linee stilistiche, narrative e visive che riconducano il loro autore agli stilemi suoi propri, ma allontanandolo da soluzioni che avrebbero richiesto altre scelte e che meglio avrebbero interpretato lo spirito di quel determinato film.

Cioè, un regista un po’ megalomane cerca di asservire un film alla sua visione del mondo e alle sue regole, mentre un altro cerca in un racconto lo spirito che lo anima e tenta di interpretarlo.

Se allora dovessimo interpretare un film, seguendo i rigidi canoni della teoria autoriale, rischiamo di perdere di vista delle opere e dei registi che affrontano a modo loro il film, preoccupati di interpretarlo di volta in volta, e in modo diverso.

Ma uno dei punti deboli più richiamato da molti critici è, l’esatto opposto. Intendo dire che, se da un lato, non si tengono in considerazione le opere dei registi non ritenuti “autori”, dall’altro, si esaltano opere decisamente minori di questi registi, opere non all’altezza dei loro film più riusciti.

Considerare film d’autore opere minori di Ray, Hawks, Ford è un’assurdità, una sfida al buon senso. Così come va contro il senso comune ignorare la filmografia di tanti registi, magari meno famosi o celebrati dalla critica.

Per Wise “il film è soprattutto un veicolo destinato ad interessare, avvincere, affascinare, commuovere un pubblico e, al meglio, ad insegnargli qualcosa di nuovo su certi aspetti della vita, della società e del mondo. Almeno a sensibilizzarlo su di essi”.(2)

Credo che, autore o no, Wise debba avere il rispetto che merita e anche qualcosa di più.

Le foto che ho scelto si riferiscono a film che più di altri suoi mi hanno colpito e convinto. (3)

 

 

(1) Sembra che l'autore di questa nota sia Claude Chabrol

(2) Cfr.intervista a Eric Leguèbe in "Le cinéma américain par ses auteurs", ed.Guy Gauthier, Parigi 1977

(3) Questo articolo è debitore in parte della monografia ROBERT WISE, di Danièle Grivel e Roland Lacourbe, Edilig, Paris, 1985.

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