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Profondo rosso compie 40 anni, io ne avevo solo 14 quando....
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L'anno prossimo Profondo Rosso compie quarant'anni. Al TFF di quest'anno verrà presentato per l'occasione in anteprima una versione restaurata, con la presenza in sala del regista Dario Argento.

Torino, Profondo Rosso e Dario Argento, sono una miscela esplosiva, che molto probabilmente mi spingerà a partire per il capoluogo piemontese per la ghiotta occasione (anche se i biglietti per la serata paiono già irraggiungibili).

 

Perché? Perché un film diventa tanto importante nella vita di una persona?

Vi racconto il mio caso.

Fin da piccola ho sempre avuto una passione per il cinema, e una curiosità morbosa per i film dell'orrore. Cosa normale nei ragazzini, quella di essere attratti dal proibito, da ciò che non si può vedere.

Negli anni '70 c'erano le tv private e libere, perciò mi vedevo di nascosto i gialli e qualche zombi o Dracula, ma il mio obbiettivo era arrivare a Profondo Rosso.

Sul mitico “Sorrisi e Canzoni” avevo visto un servizio sul film che mi aveva impressionato tantissimo: una foto a due pagine della famosa scena dell'occhio aperto nel buio.

Da quel giorno cominciai a stressare il mio babbo perché mi facesse vedere il film, ma ovviamente all'epoca ero troppo piccina (avrò avuto 6 anni) e mi venne levata anche la rivista con la foto incriminante, che tenevo tra i giocattoli.

Crescevo. I miei genitori andarono a vedere Profondo Rosso in seconda visione, ad un cinema di Chiavari durante le vacanze, posteggiandomi al cinema per ragazzi a vedere “Il libro della giungla”.

Ascoltavo di nascosto le chiacchiere dei miei genitori dopo che avevano visto il film, mi suggestionarono anche più delle fotografie su Sorrisi e Canzoni: dovevo vedere quel film.

Strappai una promessa ai miei genitori: “vedrai il film quando avrai 14 anni”, ne avevo circa 9... contavo i giorni.

Arrivò il 1984 (fate pure i conti, ora ho 44 anni), e in seconda serata davano “Profondo Rosso”.

Me l'avevate promesso, ora ho 14 anni, lo posso vedere”.

Mio padre mi ha sempre permesso quasi tutto, sul cinema -lo confesso- tutto; mia madre era un osso più duro, ho dovuto barattare con lei altre cose del tipo “se sei grande per vedere certe cose, lo sei anche per aiutare di più in casa” (mia madre era una commerciante nata).

All'epoca vivevo in un condominio di 3 piani, io ero al primo piano, al secondo abitavano i miei zii con i miei cugini più grandi. Il programma era quello semplice di molti adolescenti: guardare il film tutti insieme sul divano, con patatine e cocacola.

Io ero la più piccola, accettai con gioia di andare di sopra dai cugini per vedermi il film con loro, per tutti era la prima volta.

Ricordo ogni cosa. Io in mezzo ai cugini grandi, il salone sempre perfetto della zia, un buio pesante, ero concentrata in questa visione di colori e immagini fortissime. Mia madre telefonava alla zia per sapere se avevo paura (vi rendete conto di quanto potessi vergognarmi?), perciò io facevo la gradassa con i miei parenti: ridevo nelle parti più paurose, commentavo con frasi stupide le scene che mi impressionavano di più, mascheravo con sbadigli e stropicciamento di occhi la paura di vedere le scene più crude (ancora oggi non riesco a vedere quella dell'incidente con il camion).

Per me quel film fu uno smottamento, un terremoto emozionale, uno sconvolgimento totale... e dovevo fare finta di niente. Avrei pagato per essere da sola, nella mia camera, o nel mio salotto pieno di luci, con la mamma che mi proibiva di vederlo (benedetta mamma, non esiste persona che mi conoscesse come lei). Avrei pagato perché la proibizione a vedere il film fosse stata prolungata ai 18 anni... eppure non riuscivo a staccare gli occhi e la mente da quelle immagini, la musica mi era entrata (per sempre) nella testa. Quando si arrivò alla scena dell'occhio aperto nel buio, fu come vivere un incubo, stavo vedendo davvero quello che avevo solo immaginato per tanti anni... e l'effetto ottenuto è stato tanta ma tanta paura, mai avrei immaginato di arrivare a provarne tanta (purtroppo l'avrei riprovata anni dopo, per altri motivi e lontanissimi dal cinema).

Finito il film, c'è quell'imbarazzo che nasce dal non voler mostrarsi impauriti, mi atteggiavo a grande: “tutto qui? Mi credevo chissà che, che stupidata...”. Temporeggiavo, invidiavo i miei cugini che avrebbero dormito tutti e 3 nella solita camera, chiedevo alla zia un bicchiere d'acqua per ritardare il rientro a casa, per cercare di “dimenticarmi” del film in quei pochi minuti. Che ingenuità, quel film mi sarebbe rimasto appiccicato addosso per altri trent'anni.

Scendi ora, che è tardi e tua madre di aspetta!”-mi dice la zia.

Avrei pagato perché mia madre fosse venuta di sopra a prendermi, avrei fatto “quella offesa”, mi sarei lamentata per la mancata fiducia, avrei recitato una parte. A distanza di anni, credo che mia madre mi abbia voluta punire non venendomi a prendere quella sera.

Due rampe di scale e la luce a tempo. Dovevo fare due rampe di scale per arrivare alla mia porta, dovevo farle velocemente prima che la luce si spengesse.

La paura era a livelli altissimi, le rampe delle scale sembravano infinite, un silenzio anomalo, le mie gambe paralizzate. Improvvisamente mi veniva in mente in ordine sparso: l'occhio, il bambolino, il corvo infilzato, la donna nella vasca a bollore, la villa, il bambolino, il disegno mostruoso sul muro, la mano inguantata, il bambolino... e la donna nello specchio. Tutte le immagini insieme farcite dalla cantilena infantile dei Goblin. Paralizzata non riuscivo né a salire né tanto meno a scendere al mio piano. La luce va via, rimango quasi pietrificata. Penso di morire quando sento una porta che si apre... e finalmente la voce della mamma che fa: “ma che fai lì? Non scendi ancora?” La mamma mia aveva sentita scendere e non vedendomi rientrare si era affacciata alla porta per vedere che fine avevo fatto.

Mio padre se la rideva, mia madre mi sgridava “te l'avevo detto che non lo dovevi ancora vedere”, io dovevo avere una faccia che non lasciava dubbi.

Naturalmente quella notte, e molte altre a seguire, non dormii.

L'immagine della donna nello specchio, il bambolino e l'occhio nel buio mi hanno perseguitato per anni.

Effetti collaterali: problemi a passare per il corridoio di casa che aveva uno specchio a circa metà , la mia stessa immagine di passaggio mi inquietava. Levai tutte le bamboline e peluche che avevo sulle mensole della mia camera. Mai truccata agli occhi per molti anni.

Profondo Rosso ha segnato la mia esistenza, me ne rendo conto ora. Il film che più mi ha spaventato, che mi ha insegnato un nuovo modo di vedere un film. Un percorso interiore, verso le mie paure più nascoste, che poi ho riconosciuto durante la vita, con le esperienze più brutte, che mi hanno messo a dura prova. L'atteggiamento gradasso ho imparato a lasciarlo da parte durante la visione dei film horror, mi chiudo gli occhi con le mani e cerco di tutelarmi così dai miei fantasmi.

Per questo sono grata a Dario Argento, è stato il primo a mettermi davanti ad una parte di me che non conoscevo, ma che sapevo che avevo nascosta e che si manifestava solamente quando ero sola.

Profonodo Rosso compie quarant'anni, io ne avevo quattordici quando lo vidi la prima volta, ma ancora oggi quando mi capita di rivederlo provo esattamente le stesse inquietudini di allora. Un film che non ha mostrato segni di invecchiamento... non si può dire lo stesso di me.

 

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