In Italia abbiamo alcune eccellenze, molte cose buone e tante, ma tante, cose cattive.
Abbiamo la moda, il design, l’agro-alimentare, la duttilità e versatilità delle piccole e medie imprese che sopravvivono, nonostante lo Stato faccia di tutto per affondarle. Abbiamo dei cervelli che funzionano e si fanno onore nel mondo intero,nonostante le paghe da fame, una burocrazia tra le peggiori, una meritocrazia alla rovescia che premia i mediocri (ma raccomandati) e allontana i migliori.
Poi abbiamo Gianni Amelio.
Il nostro cinema non è un’eccellenza, diciamolo pure, del nostro Paese. Abbiamo buoni registi, alcuni ottimi; purtroppo però, fare cinema qui è impresa ardua che richiede forti dosi di pazienza e fortuna.
Gianni Amelio, classe 1945, dal 1982, anno di uscita del suo primo lungometraggio per il circuito commerciale, non finisce di stupire.
Ciò che colpisce, è soprattutto il linguaggio del cuore, il sentimento, il desiderio di una società umana, solidale, comprensiva ancor più che tollerante. Il suo è un cinema che tocca le corde più profonde, che ci richiama alle ragioni del cuore prima ancora di quelle della ragione.
E’ il tecnico che non esita a recarsi in Cina per portare un pezzo meccanico allo scopo di evitare una tragedia simile a quella che era costata la vita a un suo compagno.
E’ il ladro di bambini che non esita a portarsi dietro due bambini, accollandosi spese e responsabilità che vanno oltre le sue competenze: un gesto che gli costerà caro vista la burocrazia stupida della macchina statale. E’ il giovane padre che, dopo aver abbandonato il figlio, decide un giorno di tornare ad interessarsi di lui, ricostruendo un rapporto semplicemente e straordinariamente intenso e struggente.
Oppure è l’amico che si fa in quattro per tutti, sostituendoli nei loro lavori, confortandoli e spandendo a piene mani l’energia vitale e l’ottimismo inguaribile che lo pervadono. Oppure ancora è il giudice che, pur in un ambiente e in una società fascistizzati, comprende che la pena di morte non è certo il miglior deterrente per l’estirpazione del crimine ed è disposto a seguire le proprie idee, sacrificando onori e carriera.
Il suo è un cinema semplice, un cinema che arriva a tutti; un cinema che rifugge da astrusi sperimentalismi o temi facili dal successo garantito. I suoi eroi sono gente come noi, gente che vive in un mondo difficile, spesso ostile e quasi sempre indifferente.
Le armi di questi eroi fanno sorridere: contrappongono all’aggressività un’indole buona, all’ostilità la solidarietà, al pessimismo la speranza. Sorridere, certo, perché sembrano spuntate, donchisciottesche in un mondo di lupi come il nostro. Gente, come ricorda Machado, “che non conosce la fretta, neanche nei giorni di festa. Dove c’è vino beve vino, dove non c’è vino, acqua fresca. E’ gente che vive, fatica, passa e sogna e, in un giorno come tanti, riposano sotto la terra”.
Non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che ci ha dato e quel che ci sta dando.
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