Espandi menu
cerca
David Lynch al Lucca Film Festival
di cheftony ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

cheftony

cheftony

Iscritto dal 2 marzo 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 100
  • Post 6
  • Recensioni 471
  • Playlist 14
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

 

29 settembre 2014: David Lynch è tornato dopo un bel po' di tempo in Italia, precisamente a Lucca, in qualità di ospite d'onore di un festival che negli stessi giorni accoglierà anche John Boorman, regista, fra gli altri, di “Deliverance”.

Il programma del festival, che terminerà il 3 ottobre, prevede per il pomeriggio di domenica 28 una conferenza sulla meditazione trascendentale (o fuffologia, se preferite), retrospettive delle opere di Lynch pittoriche, fotografiche e ovviamente cinematografiche e incontri vari. Last but not least manco per sbaglio, “Lezione/conversazione di cinema” con relatore lo stesso Lynch.

 

 

 

 

Giacché abito a (soli?) 40 km di distanza da Lucca, la fibrillazione ventricolare è partita in automatico mesi fa e non se ne sarebbe più andata fino al suddetto giorno.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti. Calma, calma e gesso! Le locations del centro storico di Lucca, belle quanto ci pare ma ristrette, mi inquietano e i presagi del giorno prima sono dei peggiori (Assalto a Lynch, in tanti rimangono delusi), portandomi alla fanatica decisione di esser lì davanti al portone della ex-chiesa di San Francesco con un anticipo minimo minimo di un paio d'ore.

 

Siamo in tre: io, la mia ragazza dispoticamente sottoposta da tempo alla coercizione di farsi piacere Lynch e un amico e compagno di studi. Arriviamo e ci sarà già un centinaio di persone in fila (o in calca, che rende meglio l'idea), numero che comunque contiene le mie imprecazioni al minimo indispensabile e mi fa ben sperare. E infatti son stato ripagato, fortunatamente, insieme ad altri appassionati provenienti dalle zone più disparate, fra Bologna, Roma, Mantova, Cento e chissà dov'altro. Così non è stato per tutti, avrei scoperto poco dopo...

 

Ma andiamo al piatto forte: Lynch! Sempre schivo, ma affabile e piacevole, l'artista proveniente dal Montana si presenta con un ciuffo bianco-argenteo ancora in grande spolvero e saluta la platea con un “Bonjornou!” degno del siparietto di Brad Pitt in “Inglourious Basterds”. Ha così inizio un'informale chiacchierata, moderata dagli organizzatori del Lucca Film Festival e dalle interpreti, che non ha regalato grandi scoop ma che, fra aneddoti e posizioni peculiari dette e ribadite, ha avuto senz'altro il suo perché.

 

 

 

 

Si parte dal rapporto con la pittura, vero motore scatenante della carriera cinematografica di Lynch, che in origine voleva fare il pittore, ma realizzò come il cinema fosse in realtà un quadro in movimento col sonoro che si muove contemporaneamente ed armoniosamente con l'immagine, andando ad unificare le sette arti in un unico prodotto. Ma “the first thing we need is ideas” (“la prima cosa di cui abbiamo bisogno sono le idee”): la centralità del pensiero lynchano è riassunto dall'espressione “to fall in love with ideas” (ripetuta allo stremo), ovvero innamorarsi delle idee, dalle quali parte tutto, alle quali affezionarsi e attenersi fedelmente.

 

È durante questi momenti che dall'esterno del portone si levano forti delle contestazioni da parte di chi non è riuscito ad entrare nell'edificio, con grida come “Vergogna!” e “Buffoni!” quasi ad interrompere il regista e a gettare un po' d'imbarazzo; io sono dentro, ho una visuale dignitosa e perciò sto godendo come un riccio, ragion per cui non ho intenzione nemmeno adesso di metter bocca sulle difficoltà organizzative e sulle diatribe nate al riguardo. Il tutto nasce inevitabilmente dalla vasta eco che un artista prestigioso come Lynch richiama e dagli errori nella valutazione dell'affluenza (Troppi partecipanti, posti insufficienti: caos per Lynch in San Francesco), ma ora torniamo sul pezzo.

 

Gli argomenti toccati variano e spaziano dalla libertà creativa che Lynch esige dai tempi del flop di “Dune” (sul quale non aveva il final cut) e che rivendica con una certa decisione: “If you don't have the final cut, the final say, creative freedom, what's the point to say that?”.

 

Intanto che comincia ad agitare quelle ipnotiche manone nell'accompagnare il flusso di pensieri e parole, Davidone parla della differenza per lui esistente fra ispirazione e influenza, ribadendo come la sua influenza più grande in assoluto sia sempre stato il mood della città di Philadelphia, soprattutto ai tempi di “Eraserhead”. Ci rientra pure di tentare di strappare una confessione mentre racconta la storiella di come ha trovato la sua personale interpretazione di “Eraserhead” molti anni più tardi sfogliando la Bibbia, ma la frase precisa, ovviamente, non la dirà mai. Ed è anche giusto così!

 

 

 

 

Spaziando poi fra le esperienze con la litografia e il fondamentale rapporto fra immagine e musica (e quindi anche con l'immenso Angelo Badalamenti), arriva anche a parlare del digitale, di cui si era innamorato e di cui decanta i pregi in termini di tempo, sprechi e costi, ma confessando anche che la profondità e la bellezza di un'immagine su pellicola restano per lui inarrivabili. E dire che non è mai stato uno studente d'arte “serio”, visto che non ha mai guardato molto film o quadri “comuni”, un po' per il suo peculiare processo creativo e un po' perché “I don't really care what's going on in the world”.

 

Di fronte a qualche domanda, da parte del pubblico ma anche degli organizzatori, Lynch risponde laconico, con 4-5 parole o con una battuta, a voler far intendere che non tratta quell'argomento o che quella domanda non gli interessa. Certo, è un tipo che vive un po' su un altro pianeta e non dev'essere facile intervistarlo, ma non capisco cosa gli si volesse strappare chiedendogli quale sia secondo lui l'eterna bellezza; anche sui nuovi mezzi di comunicazione (“I don't know”) e sui personaggi dei suoi lavori con caratteri autobiografici, David risponde in maniera secca, ma fortunatamente col suo cortese senso dell'umorismo. Dà il meglio di sé quando, interpellato sulla natura del bambino-feto mostruoso di “Eraserhead”, non ci pensa su due volte e dice: “As you may know, I never talk about the baby” (“Come forse saprete, non parlo mai del bambino”). Unico!

 

 

 

 

Ad un certo punto viene invitato a salire sul palco il mitologico Enrico Ghezzi (con tanto di maglietta rossa di Godzilla), ma non è lui a sfornare la domanda più interessante e prolifica della rassegna, bensì uno sconosciuto del pubblico che chiede lumi a Lynch sul suo rapporto con due attori sui generis quali erano Jack Nance e Richard Farnsworth: del primo si limita a dire sentitamente che era una persona molto speciale e un grande amico dai tempi degli esordi, mentre del secondo prende bonariamente in giro la sua lentezza nel raccontare storie e ricordando come a 3-4 anni fosse stato investito da una macchina, ma tenendo sempre stretto in pugno il dime (10 centesimi di dollaro) che gli era stato dato per comprarsi dolciumi all'altro lato della strada. Nato cowboy e divenuto poi stuntman, Farnsworth divenne un attore noto lavorando, afflitto dal cancro, in “Una storia vera” come delicato e dolcissimo protagonista.

 

Si resta quasi in argomento, parlando della direzione degli attori e degli addetti al set, che spesso arrivano per tentativi a capire quale sia mai l'idea di Lynch, ma arriva poi il callo dolente: la domanda su Dino De Laurentiis. David ne parla come una persona di cui conserva un buon ricordo, in particolar modo perché gli ha insegnato a cucinare i rigatoni, ma sul piano professionale, senza rancore e con molto spirito, ammette di aver detestato quanto successo al progetto di “Dune” e il conseguente basso budget di “Velluto blu”.

 

Arriva, praticamente in chiusura, un'altra domanda interessante dal pubblico o, con più probabilità, dalla tribuna stampa, curiosa di sapere che fine ha fatto la sceneggiatura basata su “La metamorfosi” di Kafka, un grande amore di Lynch, il quale espone con serenità i due problemi legati ad essa: la piccola fetta di pubblico potenzialmente interessata e i costi eccessivi per finanziarlo e per realizzare l'insetto; pur rassicurato dall'intervistatore sull'interesse di pubblico sicuro, David risfodera il suo humour e gli risponde You talk to the financiers!” (“Vai a parlare tu ai finanziatori!”). Per cui niente da fare: sui progetti futuri ormai sappiamo che è tutto legato alle idee e Lynch non si sbottona con promessa alcuna.

 

Al termine della conversazione, David, pur cortese e disponibile, si rifugia nel retro-palco e rimane inavvicinabile, credo più per esigenze di “ordine pubblico” che per snobismo. Al massimo è consentito consegnare fogli bianchi ai commessi per farli firmare e farseli rendere. Non importa, è già stato bello così.

 

 

 

 

Ce ne andiamo a pranzare molto rapidamente ché ci aspetta la coda (stavolta per prendere i biglietti) per vedere “Velluto blu” al Cinema Centrale. Splendida e necessaria (re)visione, in lingua originale e sottotitolata, per chiudere bene la giornata e riassaggiare il Lynch cinematografico.

 

Velluto blu

 

La rassegna continua: in serata Lynch riceverà il premio alla carriera e verrà proiettato “Mulholland Drive”; sarebbe magnifico, ma siamo già stanchi e soddisfatti. Tornerò probabilmente mercoledì a (ri)guardare la puntata pilota di “Twin Peaks”, ma il più è ormai fatto. Grazie, David! E facci un altro film, Cristo!, ché non sappiamo più come chiedertelo...

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati