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Cinelavorando: Intervista a Leonardo Pallenberg e Cassandra V.H. Petersen
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Fuga di cervelli. Si definisce così quel movimento "forzato" che porta centinaia e centinaia di giovani italiani a lasciare l'Italia e a volare all'estero per tentare di trovare una propria strada. Accade spesso nel mondo della ricerca o dell'ingegneria ma non è difficile che succeda anche ai giovani cineasti, che nel nostro Paese faticano a trovare un posto al sole.

È capitato ad esempio a Leonardo Pallenberg, nato a Roma nel 1982 da una famiglia per metà tedesca e metà ungherese. Laureatosi all'European Institute of Design nel 2006, Leonardo ha dimostrato presto di sapersi muovere nel campo delle arti visive e della fotografia cinematografica rivelando il suo talento prima nel mondo della pubblicità sia nel mondo dei cortometraggi. Muovendosi tra Londra, Francoforte, Roma e New York, ha visto alcuni dei suoi lavori presentati a Cannes mentre proprio oggi, 8 settembre, arriva nelle nostre sale il documentario The Director, diretto da Christina Voros e prodotto da James Franco, in cui Leonardo ha lavorato.

Trasferitosi definitivamente a New York, Leonardo ha trovato una valida compagna di lavoro in Cassandra V.H. Petersen, che dopo la laurea conseguita alla University of Westmister di Londra ha fatto dei media contemporanei il suo campo di azione (numerosi sono i suoi lavori e così come Leonardo ha preso parte alla lavorazione The Director). Abbiamo intervistato entrambi per capire come funziona il loro lavoro.

 

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Siete rispettivamente direttore della fotografia e regista, in cosa consiste in pratica il vostro lavoro?

Entrambi i nostri ruoli sono tra i principali e fondamentali su un set, ma è sbagliato e presuntuoso considerarci insostituibili.

Il Regista è il principale responsabile artistico del film e ne segue lo sviluppo dagli albori della pre-produzione al prodotto terminato in sala di montaggio. Insieme al Direttore della Fotografia e, talvolta, allo sceneggiatore, il Regista decide la linea stilistica del film e ne coordina la realizzazione.

Il Direttore della Fotografia, nello specifico, si occupa di pensare ed organizzare le inquadrature, gli angoli di ripresa, le luci e, più in generale l’aspetto delle singole scene, cercando di soddisfare e migliorare le esigenze narrative della storia.

 

Quali sono i rapporti che si instaurano su un set tra direttore della fotografia e regista? Chi dei due decide cosa sia più appropriato e cosa invece no?

Il rapporto tra Regista e Direttore della Fotografia è una connessione fondamentale che si dovrebbe instaurare fin dal principio: la creazione della “shot list”, ovvero l’elenco delle inquadrature con relativi movimenti di camera, angoli, lenti, luci ed altri dettagli tecnici. Nonostante ci siano pareri contrastanti riguardo al responsabile della creazione della suddetta (ci è capitato di sentire persone affidare il compito al solo Regista, o ad entrambi i ruoli), riteniamo che sia una giusta e doverosa collaborazione che semplifica, migliora e velocizza la pre-produzione.

 Si parte da una storia e si cerca di immaginare come realizzarla e renderla al meglio su schermo. Bisogna capire che spesso un bellissimo testo non rende altrettanto bene in video: vi è l’impossibilità infatti di riprodurre tutti i dettagli e le evoluzioni di un libro o racconto che sia, non solo da un punto di vista economico ma anche e soprattutto tempistico.

 

Mai avuto dissidi o contrasti con un regista che non capiva le vostre scelte?

 Purtroppo sí. Ad entrambi è capitato di lavorare su qualche progetto in cui la regia era affidata a persone (che non si trattavano di me, specifica Cassandra), da un lato alla loro primissima esperienza nel settore e al contempo eccessivamente sicure delle proprie capacità, che non avevano alcun fondamento (considerando la mancanza totale di nozioni anche basilari nel campo della video produzione in genere).

Queste esperienze ci sono servite per maturare una maggiore sicurezza nei nostri mezzi e per prendere coscienza delle nostre stesse capacità, dissuacendoci dall’accettare ulteriori progetti che venissero avanzati da persone presuntuose alle prime armi.

 

Quanto è importante la tecnologia nel vostro lavoro? Che peso ha? Quali sono le competenze tecniche di base richieste?

L’evoluzione della tecnologia fa sì che ci si debba aggiornare continuamente per stare al passo con i tempi. Ogni anno vengono presentate nuove videocamere con qualità impressionanti, nuovi sistemi audio sempre più sofisticati, nuovi software sempre più all’avanguardia. Tutto questo ha costi spesso esorbitanti che però vengono bilanciati dai risultati che si possono ottenere.

L’avvento del digitale ha rivoluzionato il modo di pensare di un’intera industria: i più grandi registi preferiscono ancora la pellicola, ma oggigiorno il digitale permette di fare con relativa semplicità cose che con la pellicola risulterebbero notevolmente più complicate (sia per realizzazione tecnica, sia per tempistiche e costi ridottissimi, sia per possibilità di modificare istantaneamente il girato).

 

Immaginiamo che creare un breve filmato sia diverso dal dover realizzare un lungometraggio. Quali sono le maggiori differenze? Da cosa dipendono le scelte? 

Ciò che fa realmente la differenza sono la storia e la disponibilità economica: alcune storie si prestano bene a una narrazione breve, altre richiedono tempistiche maggiori per poter essere raccontate in modo esauriente e comprensibile, ma è spesso la disponibilità economica a dettar legge. I costi di attrezzatura, stipendi per la crew, affitto dei set, assicurazioni e permessi, variano enormemente in base alla durata di realizzazione e sono spesso determinanti per la realizzazione dell’uno o dell’altro.

 

 

Entrambi avete vissuto in Europa, prima di approdare negli US. Leonardo tra Londra, Francoforte e Roma, Cassandra a Londra. Cosa avete imparato in quegli anni e come avete vissuto? Quanto la famiglia è stata contenta delle vostre scelte?

Mentre Cassandra ha frequentato la University of Westminster a Londra, avendo quindi modo e tempo di porre le basi per il proprio futuro all’estero fin da dopo il liceo, Leonardo successivamente allo IED e alle prime esperienze lavorative a Roma, ha deciso di costruire la propria carriera fuori dall’Italia. Entrambi possiamo dire che la vita all’estero è senza dubbio un’esperienza ricca di stimoli continui: vivere in un contesto internazionale e confrontarsi con persone di tutto il mondo aiuta ad ampliare i propri orizzonti e a vedere le cose da una prospettiva diversa e nuova. Sicuramente ci riteniamo fortunati di avere alle spalle delle famiglie che approvano e supportano le nostre scelte.

 

Lasciare la propria realtà è spesso traumatica ma voi nel 2011 vi trasferite definitivamente a New York, avvicinandovi alla Mecca del cinema. Suppongo che la scelta sia dovuta soprattutto a esigenze lavorative e al desiderio di far definitivamente il grande salto. Come sono stati i primi tempi in Usa? Quali sono le ragioni che vi hanno fatto andar via?

Per Cassandra il passo tra Londra e New York è stato sicuramente più semplice sia dal punto di vista emotivo che famigliare. La famiglia segue con grande attenzione e aspettativa la sua carriera e la sua vita come cittadina del mondo, iniziata ben cinque anni prima del trasferimento a New York. Viceversa a spingere Leonardo sicuramente è stata la necessità di trovare una realizzazione professionale che in italia aveva difficoltà ad ottenere. Come per ogni trasloco, i primi tempi sono sempre di assestamento. Manca la famiglia, le amicizie e i contatti. Poi ci si rimbocca le maniche e si comincia a guardarsi intorno: eventi, corsi di studio, meeting professionali, tutto contribuisce ad ampliare la propria cerchia di conoscenze. Mirando entrambi ad un veloce inserimento professionale, quello è sempre stato il motore che ci spinge avanti nelle nostre scelte. Per quanto molte volte queste conoscenze si dimostrino infruttuose e/o poco utili, talvolta invece ripagano gli sforzi portando lavori e amicizie stabili.

Leonardo è sicuramente quello con più esperienza lavorativa in Italia, ma per entrambi il pensiero di dover lottare ogni giorno per ottenere quel minimo di professionalità e riconoscimento che ci si aspetta in quanto lavoratori come tanti altri, è stato sicuramente un deterrente alla nostra permanenza. Non vogliamo essere i soliti italiani all’estero che criticano la situazione nazionale né i sotterfugi loschi che si debbano attuare pur di essere pagati. Un film italiano che ha vinto or ora l’Oscar mostra a sufficienza una delle realtà da cui bisogna scappare.

 

Il metodo lavorativo e l'organizzazione statunitensi non hanno eguali. Ci spiegate, se esistono, le maggiori differenze con quelli italiani e/o europei?

L’America è un Paese basato sulla meritocrazia, dove chi ha le qualità avanza a dispetto delle conoscenze (sebbene quelle aiutino sempre). In Europa, Paesi come Germania, Inghilterra, Svizzera e altri danno molto spazio e visibilità ai giovani, che contribuiscono all’innovazione e al progresso in maniera attiva e determinante. Tutto questo non accade (o almeno non a sufficienza) in Italia.

 

In Usa cominciate a muovervi e a farvi notare realizzando pubblicità, cortometraggi e video musicali. E accantonate per un momento i vostri ruoli chiave per lavorare come assistenti al montaggio per il documentario The Director, in uscita anche in Italia. Che opportunità ha rappresentato nel vostro percorso professionale?

Lavorare su The Director è stato molto stimolante e un passo importante nelle nostre carriere. Sebbene il ruolo non fosse chiave nella gerarchia cinematografica, ci ha permesso di fare esperienza attiva in una produzione di rilievo. È stato per noi come assaggiare il sogno. Poterci avvicinare al mondo di professionisti come James Franco, Christina Voros e Frida Giannini tra gli altri, è un’esperienza che da “giovani italiani all’estero” non ci saremmo mai aspettati dopo poco più di un anno di vita a New York.

Inoltre essere parte attiva di questo progetto ha contribuito ad accrescere la nostra ambizione, portandoci di conseguenza a creare progetti di maggior valore, qualità e successo rispetto ai precedenti. La strada è ancora molto lunga, ma avere riscontri prositivi ci aiuta a percorrerla.

 

Diversi corti che avete curato stanno facendo il giro dei festival internazionali. Chi gode più dei risultati, Leonardo, Cassandra o entrambi?

Ovviamente entrambi. Prendiamo ad esempio il nostro ultimo cortometraggio: Bathroom Scribes. L’idea è venuta a Cassandra, che poi ne ha discusso con Leonardo, il quale apportato il suo contributo. Abbiamo scelto di farla scrivere ad un americano, Gandolfo Geraci, per essere certi di utilizzare un linguaggio statunitense realmente corretto. Non era una questione di grammatica, quanto di espressioni colloquiali che solo un nativo può padroneggiare appieno. Il cortometraggio è correntemente presente in tre festival, tra cui l’Indiana Short Film Festival, e siamo in attesa di risposta da numerose altre competizioni di cortometraggi con esito nei prossimi mesi.

Entrambi siamo molto contenti del lavoro svolto e ne godiamo di conseguenza i risultati nei nostri rispettivi campi. Dà molta soddisfazione ed orgoglio ricevere le email con scritto “Congratulazioni, il tuo film è stato accettato...”.

 

 

In questo momento a cosa state lavorando? Quale è il vostro sogno del cassetto, a parte vincere un Oscar?

Al momento ci stiamo dedicando alla creazione di una realtà lavorativa ambiziosa, la ZeroIn Productions, ma dalle ampie potenzialità: un gruppo di professionisti affidabili e di talento, sparsi in varie metropoli in America ed Europa, cui rivolgersi al bisogno per progetti di video, grafica e web.

“Zero In” è il termine con cui i cecchini definiscono la messa a fuoco su un obbiettivo. Noi ci focalizziamo sui dettagli.

Viviamo in un mondo globale. Internet ci aiuta a mantenere i contatti e ad aumentare la velocità di connessione tra domanda e offerta. Noi ci proponiamo di offrire i servizi sopra citati, spaziando da New York, a Londra, a Roma, e cosí via, abbattendo i costi di spostamento e produzione.

Un Oscar? Certo sarebbe una bellissima esperienza e, speriamo, in un futuro lo sarà. Nel frattempo cerchiamo di vivere con i piedi per terra, ma puntando in alto verso l’obbiettivo.

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