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La Terra dei Fuochi non deve morire
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Nel 2003 il rapporto Ecomafie individuava un territorio in cui 57 comuni dell'area compresa tra le province di Napoli e Caserta si caratterizzavano per lo sversamento illegale di rifiuti tossici. In tale zona, 2 milioni e mezzo di abitanti erano ad alto rischio di tumore anche a causa dei continui roghi dei rifiuti, causa di spargimento nell'aria e nelle terre circostanzi di sostanze tossiche come la diossina.

Denominato dallo scrittore Roberto Saviano 'Terra dei fuochi', il territorio fa da sfondo a un piccolo video, La storia dei manichini malati di tumore, scritto da Antonio Moccia e diretto da Maurizio Giordano (per chi non lo sapesse, si tratta di Maurri63, nostro apprezzato utente). Realizzato per sensibilizzare la comunità sul problema dell'inquinamento dei rifiuti tossici, si tratta di un lavoro girato in assoluta povertà di mezzi a cui hanno partecipato a titolo gratuito attori, scenografi, costumisti e truccatore, mossi da uno spirito pioneristico e desiderosi di sposare la causa e il messaggio in esso contenuti.

 

 

 

Tuttavia, le numerose visualizzazioni ottenute nell'ambito di un contest organizzato dall'associzione no profit La Fondazione con il Sud, sostenitrice di iniziative per l'educazione dei ragazzi alla legalità, la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, hanno fatto sì che l'idea del video si trasformasse in maniera più lunga e decisa per diventare lungometraggio. Il film, dal titolo Terra Felix, sceneggiato da Antonio Moccia e Maurizio Giordano, si muoverà su tre differenti direttrici, che si intersecano e presentano tratti comuni per illustrare la vita nel territorio della Terra dei Fuochi. Anche quando sembra che la vita si svolga altrove, la gente del luogo continua a vivere. E non è un controsenso.

 

 «Alla spietata analisi di taluni modelli sociali, con punte di realistica esasperazione caratteriale, corrisponde un racconto articolato in scene della malattia tumorale di una giovane donna, carica della sua voglia di vivere e segnata in momenti forti ed in attimi onirici. La ragazza, che vive di un lavoro artigianale, ma fa della propria attività teatrale e sportiva un unico percorso quotidiano, viene a trovarsi oppressa da situazioni che richiamano da lontano l’Apocalisse di Giovanni Apostolo, mentre, a poca distanza, e senza incrociarsi mai, un personaggio appellato nella sceneggiatura col nome di “don” – per sottolineare un retaggio ispano-borbonico che lo distingue – trascorre il suo tempo visitando le aziende che cura e con la sola preoccupazione di elevarsi socialmente mediante l’arricchimento, all’occorrenza anche illecito, e l’apparenza: feroce satira alla presuntuosa incultura ed al familismo amorale di taluni (invero numerosi) soggetti, il cui stereotipo non a torto è assurto a modello morale per la maggioranza della popolazione autoctona, questa vicenda costituisce quella zona sociale che potrebbe essere definita “grigia”, in quanto non è, di fatto, il “nero” della camorra e della sua forma mentis, ma vi tende; né è il “bianco” – a cui, anzi, sovente si contrappone – di chi, pur esponendo a rischi l’incolumità personale e familiare, combatte per il riscatto sociale e morale da quella che è una vera e propria cattività delle coscienze. Emerge in essa, però, un larvato contrasto generazionale familiare, che nello sviluppo dell’azione non avrà soluzione», spiega il regista.

«La terza direttrice, cui fa da collante la figura di una contadina, e che fonde onirico e reale, contemplando il funerale di un manichino, è la componente documentaristica con interviste a persone socialmente impegnate (sacerdoti, educatori) e a scienziati di diversi settori (oncologico, agronomico), nonché con riprese di zone degradate e “contaminate”, con grafici, animazioni e quant'altro per mostrare la realtà delle riprese e non una mera invenzione giornalistica scandita solo a parole. In tal senso, la figura del manichino, essere dal solo sembiante umano, artificiale, privo di anima e di coscienza, che indossa gli abiti con cui altri lo coprono o da cui altri lo spogliano, è la metafora dell’apparire e della predisposizione di certa umanità alla supina accettazione di tutte le nefandezze perpetrate dai potenti e dai prepotenti, che comunque emula, riverberando i torti subiti sui più deboli. Le interviste, curate dal giornalista Salvatore De Napoli, che figura anche come coproduttore dell'opera, si inseriscono in una scia di immagini degradanti, sollevatre però dall'intelligenza degli abitanti della zona, che reclamano il proprio spazio nel mondo. L’azione non prevede un “deus ex machina”: non dà speranza, per la semplice ragione che speranza non c’è, e prometterla equivarrebbe a farsi beffe dello spettatore».

 

Il cast artistico conta su un nutrito gruppo di attori professionisti, poco conosciuti al grande pubblico. Tra gli altri, si segnalano l'esordiente Maria Grazia di Maria, Raffaele Letizia, Tony Di Capua, Francesco Orabona e la straordinaria ottuagenaria Giustina Cicala. Con la fotografia di Carmela Garofalo (una delle rare donne dietro alla macchina da presa), Terra Felix sarà prodotto da Baruffafilm e Maurizio Giordano in modo totalmente indipendente, seppur sorretto dalla Film Commission Regione Campania.

Le riprese si svolgeranno, invece, tra fine agosto e settembre nel comprensorio di Aversa, Giugliano, Casal Di Principe, Castelvolturno e dintorni, ma non mancheranno due sortite all'acropoli di Cuma e le riprese subacquee della Città sommersa di Baia.

 

A Maurizio i nostri migliori auguri, nell'attesa di riparlare presto del suo lavoro.

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