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(Scusate il ritardo) - Massimo Troisi, il primo napoletano non emigrante
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Il 4 giugno di 20 anni fa si spegneva nel sonno Massimo Troisi, attore sceneggiatore regista, prima di tutto, napoletano, e poi, italiano. Nato nella piccola frazione di San Giorgio a Cremano, Massimo ha mosso i primi passi nelle recite parrocchiali insieme, o meglio, spinto dai suoi amici, mettendo in scena (come spesso capita) le commedie del grande Eduardo.

Poi il cabaret nei piccoli teatri locali. In seguito la televisione, col mitico programma-passerella per nuovi talenti comici veramente talentuosi Non Stop.

 

 

Con La smorfia, l’affiatato trio composto da lui, il sodale Lello Arena (che ritroveremo poi nell’esordio cinematografico Ricomincio da tre e nel successivo Scusate il ritardo, senza dimenticare quel gioiellino di campanilismo sberleffo No grazie, il caffè mi rende nervoso) e lo spigliato del gruppo Enzo Decaro, cominciò ad acquisire popolarità e consenso dal pubblico di tutta Italia.

Il passo dalla televisione al cinema fu breve.

Naturale, fisiologico. Una pura formalità.

 

 

Con il trascorrere degli anni, col successo e i riconoscimenti che non hanno tardato a bussare alla sua porta, Massimo Troisi è sempre rimasto fedele a se stesso, a quella autenticità e genuinità del suo essere, a quella sua maniera aperta, semplice e sbilenca di comunicare. Alla sua parlata dialettale stretta che poteva rivelarsi un ostacolo alla comprensione di chi non fosse ‘autoctono’ e che, invece, tutte le volte, si rivelava così potente e contagiosa da riuscire ad arrivare liscia e diretta a tutti. Indifferentemente.

Grazie anche alla mimica facciale e gestuale, presente nel dna del popolo napoletano, che in lui erano così ben radicate ed evidentissime, e a quella peculiare simpatia (nella lingua napoletana è definita “tomità”, parola intraducibile) nel relazionarsi, che faceva immediata presa su chiunque si fermasse ad osservarlo.

 

  
 

  

  

 

Anima gentile, schiva, timida, dall’umorismo caustico ed affilato, nei suoi -purtroppo troppo pochi lavori- ha presentato all’Italia e al mondo intero un’altra faccia della Napoli così come alberga nell’immaginario collettivo universale, per nulla classica, tradizionale, tipica: niente pizza e mandolino, niente sole e sfogliatelle, niente sceneggiate, luoghi comuni e stereotipi se non per metterli alla berlina. Niente santi e madonne.

Da napoletano nel profondo, quale era, ha sempre guardato alla ‘napoletanità’ con occhio critico e pure polemico.

Il suo definirsi “napoletano ma non emigrante” può riassumere alla perfezione quella presa di posizione contro un certo modo di essere e vivere Napoli, inducendolo a demolirne il noto folklore colorito, ridondante, retorico, teatrale, “pletorico”, sanguigno ed indolente insieme, caratteristiche che da sempre la imprigionano in una serie di cliché da cui tutt’oggi è arduo liberarsi.

 

   

 

Massimo Troisi ha percorso nel suo cinema malinconico intelligente e sensibile la strada dell’intimismo e della contraddittorietà dei sentimenti, della loro natura buffa, impalpabile, indefinita, spesso irrisolta.

Soprattutto dei sentimenti d’amore che nascono tra un uomo e una donna.

Unendoli, per poi allontanarli.

Riuscendo a raggiungere vette di poesia e non risultare mai banale e stucchevole.

 

   
 

 

Ha fornito nuova linfa e nuovi stimoli ad un terra problematica e difficile.

Ha regalato alla sua generazione e a quelle successive un differente punto di vista, una speranza di cambiamento.

Napoli, che pare giacere immobile nel suo pantano di contraddizioni, vizi e virtù, ancora troppo chiusa in se stessa per rendersi conto che in quella cortina di sovraffollati e ‘anarchici’ vicoli, tutti uguali e soffocanti, c’è un cuore pulsante che non vuole cessare di battere, che guarda avanti, che non si arrende nonostante gli innumerevoli (spesso inconcepibili, se visti dall’esterno) ostacoli del quotidiano.

 

   

 

Massimo, sei andato via troppo presto.

Sei parte integrante del patrimonio culturale nostrano (e partenopeo).

Parliamo con le tue frasi, conosciamo a memoria le tue esilaranti argute espressioni.

Sarai sempre dentro di noi.

 

 

 da una napoletana.....

 

 

Roberto Benigni: "A Massimo Troisi”

 Non so cosa teneva "dint'a capa",

intelligente, generoso, scaltro,

per lui non vale il detto che è del Papa,

morto un Troisi non se ne fa un altro.

Morto Troisi muore la segreta arte di quella dolce tarantella,

ciò che Moravia disse del Poeta io lo ridico per un Pulcinella.

La gioia di bagnarsi in quel diluvio di "jamm, o' saccio, ‘naggia, oilloc, azz!"

era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz.

"Non si capisce", urlavano sicuri, "questo Troisi se ne resti al Sud!"

Adesso lo capiscono i canguri, gli Indiani e i miliardari di Holliwood!

Con lui ho capito tutta la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino,

e non m'ha mai parlato della pizza, e non m'ha mai suonato il mandolino.

O Massimino io ti tengo in serbo fra ciò che il mondo dona di più caro,

ha fatto più miracoli il tuo verbo di quello dell'amato San Gennaro!

 

 

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