Espandi menu
cerca
CANNES 2014: LES JEUX SONT FAITS....MA ATTENZIONE: ARRIVA BRUNO DUMONT CHE OSCURA TUTTO E TUTTI
di alan smithee
post
creato il

L'autore

alan smithee

alan smithee

Iscritto dal 6 maggio 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 313
  • Post 213
  • Recensioni 6348
  • Playlist 21
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

 

Alane Delhaye

P'tit Quinquin (2014): Alane Delhaye

Imelda Staunton

Pride (2014): Imelda Staunton

La Quinzaine non è una sezione competitiva; non lo è mai stata e non intende divenirlo per definizione. I tre premi assegnati questa sera (Art Cinema Award, Prix SACD, Label Europa Cinema) sono semplicemente degli attestati che i principali sponsor (tra questi l'italiana Illy del caffè) rilasciano al film che a loro avviso si è distinto in particolare o per determinate motivazioni: nessuna di queste in particolare riusciamo a scorgere ne “LES COMBATTANTS”, opera prima del giovane Thomas Cailley che da subito ci è sembrato un filmino stentata, debole, da "cuore di panna di una estate come tante", e che si perde nel vuoto come avviene per i due pur intensi protagonisti in quella boscaglia francese, metafora fin troppo elementare delle difficoltà proprie dell'avvio di una età adulta.

 

Una splendida Anna Mouglalis, vocione roco da dark lady così profondo da apparire caricaturale ed impostato, forte di un fisico statuario quasi abbagliante, premia il fortunato vincitore in una cerimonia che vede sul palco (quasi) tutti i registi della Quinzaine di questa edizione. Ma le premiazioni non sono mai state simpatiche a questa manifestazione, che non vi dedica molto del suo tempo, più interessata a tornare al cinema, ai contenuti insomma: tutto ciò viene fatto col la presentazione del film di chiusura, quel PRIDE, di Matthew Warchus che il pubblico poi a fine proiezione accoglie con ovazioni e applausi interminabili.

Sophie Evans, Andrew Scott, George MacKay, Ben Schnetzer

Pride (2014): Sophie Evans, Andrew Scott, George MacKay, Ben Schnetzer

La vicenda di solidarizzazione della comunità gay londinese nei confronti dei minatori delle cave di carbone, minacciati dalle politiche del profitto, della razionalizzazione e di annientamento di tutto ciò che resta al di sotto dei limiti di produttività ritenuti minimi, in barba a preoccuparsi di chi vive e di chi da generazioni sfama la propria famiglia con quel lavoro pericoloso ed insano – poltiche di cui si fece irremovibile promotore il governo Tatcher con il beneplacito delle spregiudicate teorie economiche americane reaganiane, trova in Pride il giusto mix di impegno politico, civico e morale abbinandolo a quello della tolleranza e dell'inevitabile pregiudizio che anche chi riceve un aiuto non può far a meno di provare nei confronti della comunità omosessuale. Temi alti, drammatici e seri sia dal punto di vista economico che da quello civico, dicevamo, ma svolti qui con un occhio per la commedia brillante e ben calata sul periodo (anche musicale) di quegli euforici e spumeggianti anni.

Paddy Considine, Bill Nighy, Dominic West

Pride (2014): Paddy Considine, Bill Nighy, Dominic West

Ecco dunque che un piccolo gruppo di attivisti parte dal Gay Pride per incontrare nel Galles i promotori dello sciopero dei minatori e devolvere parte dei fondi raccolti a favore della causa che li anima ed occupa ormai da tempo. Ospitati inizialmente in casa di uno degli organizzatori, tra la titubanza e la diffidenza di chi li considera dei facinorosi perversi e pericolosi di contagiare innocenti, i membri del piccolo gruppo sapranno farsi apprezzare con l'umanità e lo spirito di collaborazione che li distingue ed anima.

Il film scorre via veloce e frizzante, merito anche di un cast brillante che comprende il giovane George MacKay (ottimo protagonista del recente "Il superstite"), un Dominic West che, smessi i panni del macho, procura ugualmente dei brividi ormonali alle timide mogli dei minatori con uno spettacolo dance sui tavoli davvero esilarante; e poi nomi illustri come Paddy Considine, Imelda Staunton, e Bill Nighy completano degnamente garantendo classe, humor e spessore recitativo.

Imelda Staunton

Pride (2014): Imelda Staunton

Qua e là il rischio di toccare una fin troppo facile carineria giocando con le corde emozionali più elementari e "facili" degli spettatori non è sufficiente a renderci tuttavia fastidiosa un'opera che ha il pregio non sempre diffusissimo di farsi anche nel contempo amare ed apprezzare: impegno e divertimento insomma, e gli applausi scroscianti in sala ne sono una precisa e non casuale conferma di riuscita.

VOTO ***1/2

 

Hotel Carlton tappezzato di Expendables e il Palais Creoisette

 

Uscendo dalla sala, ci aspetta una Cannes illuminatissima e sfarzosa che si appresta a festeggiare gli ultimi scampoli di festival: e tra facciate illuminate dagli Expendables del lussuoso hotel Carlton e quelle fosforescenti del Palais Croisette, raggiungiamo, passando accanto di festa in festa (rigorosamente ad invito) e via Croisette, il cinema “on the beach” che tutte le sere anima la vita a due passi dal mare: questa sera, per festeggiare i vent'anni di Pulp Fiction, la pellicola viene riproposta in questa sede balneare: la spiaggia sembra un formicaio di spettatori rapiti ed in lontananza il faccione incarognito del corvino chiacchierone John Travolta e quello fine di Uma Thurman, impegnati in uno dei loro irresistibili duetti coloriti (e danzanti) che resero unico il capolavoro tarantiniano, riescono ancora oggi a metterci i brividi.

cinema in spiaggia con Pulp Fiction

 

Ma la vera chicca di questo festival, o almeno della Quinzaine, è la presenza di Bruno Dumont che torna alla rassegna che lo lanciò con l'indimenticato "La vie de Jesus". Dumont impegnato in una serie televisiva di quattro puntate; Dumont che cambia genere e punta alla commedia: se ne sono sentite molte e l'attesa è per questo notevole. Sabato mattina la maratona di tre ore e venti inizia alle dieci in punto e ci porta in Normandia, tra la gente contadina che coltiva la terra e alleva splendidi esemplari di cavalli da tiro possenti e maestosi. Vita contadina schietta e per nulla edulcorata: dunque nulla di nuovo sin qui. Poi tuttavia ci accorgiamo che P'TIT QUINQUIN parte come un giallo, un thriller calmo e riflessivo, alla Twins Peaks, e procede in effetti col ritmo discorsivo e contemplativo della commedia nera non priva di sipari di una comicità bizzarra e talvolta quasi apparentemente (ma in reltà tutt'altro) involontaria.

 

locandina

P'tit Quinquin (2014): locandina

 

Nella regione agricola di Boulonnais, che dà il nome anche al celebre e imponente cavallo da tiro bianco dalle possenti zampe e splendida criniera, all'interno di un fortino utilizzato ai tempi dello sbarco degli alleati, viene inspiegabilmente trovato il cadavere di una mucca con all'interno una serie di resti umani e molto sangue. Poco dopo il ritrovamento della testa di una donna permetterà di identificare quel cadavere. A dirigere le ricerche viene assegnato il bizzarro e nervoso capitano Van Der Weyden, devastato di tic facciali che gli impongono espressioni buffe e contraddittorie, nonché un passo strascicato ed altalenante che lo rende un personaggio come minimo bizzarro, quasi come una marionetta o un mimo. Non gli è da meno l'aiutante Carpentier, denti marci e una passione folle per la corsa in macchina, per le accelerate e le impennate, con cui si prodiga durante gli spostamenti richiesti dall'indagine.

Intanto le morti non si arrestano perché un'altra vacca sventrata viene ritrovata in spiaggia con un cadavere umano al suo interno. Alle indagini, che il poliziotto conduce in modo davvero discutibile ed originale, si affiancano quelle improvvisate e bonarie del piccolo Quinquin, biondino sveglio seppur sordo e con un accenno di labbro leporino ed il naso schiacciato da pugile, capobranco di una babygang nonché figlio di contadini ed allevatori, con i nonni vecchi e malfermi a casa ed un fratello malato di mente che si aggia per i boschi, specie la notte.

Bernard Pruvost

P'tit Quinquin (2014): Bernard Pruvost

Un giallo in piena regola, direte voi? Tutt'altro, perché a Dumont, lo capiano dopo un'oretta, non interessa per nulla scoprire i responsabili di delitti così atroci e devastanti: al fantastico originale regista piace indagare sui misteri della natura umana, sul comportamento animale ed istintivo dell'essere umano che non si fa condizionari dai dettami della società: da ciò si spiega l'attrazione del regista, che scorgiamo sin dai suoi esordi, per i personaggi balordi, schizzati di mente, per le deformazioni e le tare mentali: disgrazie che in quel paese contraddistinguono famiglie intere, rendendole in un certo senso più genuine e “animali”, e dunque a loro modo più pure.

Alane Delhaye, Lucy Caron

P'tit Quinquin (2014): Alane Delhaye, Lucy Caron

Un detective che è una rielaborazione del fantastico e disarmante personaggio del meraviglioso stordente L'umanità, prende tempo, anzi lo perde proprio, sbaglia l'indagine, non si applica, ma si comporta come un principiante e depista indizi anziché scovarne altri. Forse perché nemmeno più gli interessa risolvere un enigma che va oltre la concezione umana, forse perché per lui il colpevole è non già “la bestia umana”, come gli suggerisce il bislacco Carpentier“, ma addirittura “il diavolo in persona”: forse per tutto questo è meglio mettersi il cuore in pace e avviare l'inchiesta verso l'oblio.

Primi piani insistiti su volti e occhi sgranati, su smorfie che assalgono e scuotono come scosse elettriche un sistema nervoso ormai incontrollabile, infermità, irregolarità e malformazioni umane ritornano anche qui e forse in modo ancora più ossessivo ed impudico. Ma a tutto ciò si aggiunge anche, forse per la prima volta dopo un parziale tentativo in Camille Claudel, la tenerezza delle riprese sui volti dei bambini, sugli amori adolescenziali improvvisi ed incontrollati.

P'tit Quinquin presenta certo una durata e tempi dilatati ad uso di uno sfruttamento di tipo televisivo: ma è cinema al 100%, ed è il Dumont che inquieta ed attrae come in tutta la sua notevole carriera precedente, con qualche piccolo risvolto di originalità ed emotività che prima proprio non riuscivamo a scorgere.

P'tit Quinquin è un film non facile e, per chi non conosce l'autore, potrà risultare certamente indigesto e quasi offensivo verso le categorie altrove protette (ma qui messe a nudo senza veli o falsi moralismi): un film che ti si appiccica addosso come in un abbraccio che ti sembra freddo e distaccato, ma dal quale sadicamente non ti liberi più.

Lucy Caron

P'tit Quinquin (2014): Lucy Caron

P'tit Quinquin vive di intensi primi piani sui volti, inebetiti dalla follia, dalla vecchiaia e dai nervi a fior di pelle, ed è in assoluto il film che, tra tutti quelli visti qui a Cannes, mi ha regalato le più forti emozioni, confermandomi, pur nella singolare scelta di un genere ibrido e a metà strada tra il thriller e la commedia farsesca comunque all'autore quasi completamente nuovo (a parte il già citato L'umanità), le doti uniche di un regista unico per stile e argomentazioni; un individuo ossessionato dal rapporto “animale” che anima l'uomo nel suo districarsi e poter vivere o sopravvivere alle asperità di una vita in cui predomina il gelo dei sentimenti e la bestialità istintiva di un regno animale spesso più saggio e maturo.

VOTO *****

 

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati