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QUINZAINE DES REALISATEURS: DUE O TRE COSE CHE SO DI LEI
di alan smithee
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Parafrasare Godard è rischiosissimo, ma pertinente almeno per ricordarci che tra breve sarà il suo turno qui al Concorso, e che il suo film, Adieu au language, almeno qui in Francia, uscirà in contemporanea con la proiezione festivaliera.

Dopo il post introduttivo su Cannes e la Quinzaine, mi ero ripromesso di procedere semplicemente con le recensioni dei film visti in queste giornate o pomeriggi “cannesi”, anche perché queste ultime, specie se i film mi comunicano qualcosa - nel bene come nel male - riesco a scriverle con più facilità, a volte sin di getto, spesso direttamente nel sito senza quel copia-incolla da word cautelativo e rassicurante ma pure perditempo. Il post al contrario mi occupa molto tempo, ed il tempo è prezioso in clima festivaliero, soprattutto quando si cerca di fare il pieno nella giornata dedicata al festival o ad una sua rassegna.

Inoltre nel post rischio spesso di farmi prendere dal fiume degli eventi e degli avvenimenti, delle foto scattate qua e là, rischiando di non riuscire a controllare la materia informe con la conseguenza inevitabile di andare fuori tema.

Cosa che faccio pure ora, perché infatti, nonostante il titolo, non inizierò a parlare della Quinzaine , bensi del Festival in generale: un paio di cose che mi sono scordato di raccontare a chi non c'e' mai stato.

Innanzi tutto mi sembra doveroso ricordare che quest'anno il premio La Carrosse d'Or che la Quinzaine assegna al regista reputato più innovativo, coraggioso ed indipendente, quest'anno viene doverosamente riconosciuta (purtroppo posuma) al grande maestro Alain Resnais.

 

Procederò quindi ad una breve rassegna dei film visionati nei giorni di sabato 17 e domenica 18 maggio. Non molti film in effetti, per chi conosce certe mie medie presso festival più orientati al pubblico, ai cinefili, piuttosto che ai tappeti rossi e alle star.

 

 

A Cannes infatti il 90% dei visitatori viene per dare la caccia alla star davanti al tappeto rosso che precede ed accompagna la scalinata faraonica che dà accesso al Palais (la famosa “montée des marches”): ore ed ore a piazzarsi davanti, spesso coperti dai fotografi ufficiali che sovrastano il pubblico con scalette ed attrezzi professionali; addirittura alcuni giovani (ed atletici) si appostano su una serie di platani che si trovano di rimpetto all'ingresso e, armati di obiettivi potenti, si industriano a immortalare i propri divi per qualsiasi fine e necessità.

 

 

Per chi invece considera il festival una opportunità di vedere cinematografie che spesso difficilmente sarà possibile ritrovare in ambiti più familiari, Cannes rimane una vetrina elitaria, riservata al mercato cinematografico, alla stampa (dovreste vedere certe nonnette agguerrite, che sembrano le reporter fuori tempo massimo di riviste di taglio e cucito (pure esse fuori tempo massimo, o fuori dal mondo, con tutto il rispetto)), e diciamolo, con una carente struttura ricettiva per il pubblico indistinto. Capisco che Cannes rimane il festival più noto ed ambito al mondo, ma comunque la città francese, se da un lato brilla di una certa organizzazione ripetitiva, proprio perché consolidata, secondo la quale tutto procede ormai uguale da anni, mancano invece le sale e la volontà di rendere partecipe il pubblico (a pagamento si intende, nessuno pretende di andare gratis), che magari aiuterebbe i distributori a farsi un'idea dell'attenzione dei fruitori finali sul prodotto (ben più di un verdetto di una giuria). Insomma si critica Venezia da sempre, ma Cannes vorrebbe averle le sale che stanno al Lido!

E pure la Quinzaine, democratica e nata sotto la ventata libertina del Sessantotto, dà certo, unica tra tutte le rassegne, l'opportunità di entrare con l'acquisto di un biglietto (7/5 euro o carnet da 6 con cui si paga 6/4 euro a proiezione), ma il biglietto non è né personalizzato né relativo ad un film in particolare: per cui prima di assistere ad un film l'acquirente è costretto ad una coda di almeno un'ora in piedi, sotto il sole (o sotto la pioggia, a Cannes non si conoscono mezze misure) e senza fino all'ultimo minuto poter essere sicuri di accedere con certezza ad un posto a sedere.

Insomma per un Alan Smithee che rispetta medie folli fino a 6 film al giorno ad un Torino o un Locarno, qui alla Quinzaine 3 film al giorno costituiscono un record che non si può migliorare: anche perché i film in totale sono, come dice la rassegna, solo poco più di quindici e vengono proiettati in cinque occasioni giornaliere con due titoli in doppia programmazione più un titolo del giorno precedente in ripresa.

Quanto alle sale che alcuni della stampa descrivono vuote, non mi trovano affatto d'accordo, almeno qui alla Quinzaine che, tra paganti, press, accreditati a vario titolo, è sempre ricolma e ad ogni spettacolo non riesce mai, neanche all'appuntamento mattutino delle 9, ad accontentare la totalità della sua variegata platea.

 

Nell'arrivare al Theatre Croisette, sede della rassegna, superata una corte di balocchi di dubbio gusto classificati come sculture, noto ancora più degli anni precedenti, una forte carenza di manifesti e previews di film e grosse coproduzioni, di cui solo pochi anni prima grondavano letteralmente le facciate patrizie e vittoriane dei palazzi dei principali alberghi che si affacciano sulla famosissima spianata sul golfo di Cannes.

 

Hotel Carlton e....The Expendables....

 

Al Carlton quast'anno solo la strega cattivissima di Maleficent, un Trasformers un po' sottotono, sovrastato dal minaccioso ritorno, previsto per il caldo agosto”, della cosiddetta “sagra del bollito”, ovvero non già una festa paesana a Carrù,  nel cineese, patria del lesso, bensi il ritorno degli ultracotti Expendables nel "necessario" volume 3: tra le new entry notiamo Harrison Ford (che come De Niro venderebbe moglie e figli pur di incassare ), Banderas, Wesley Snypes, e (quasi) tutti gli altri: primo fra tutti uno Stallone dalle vene a fior di pelle come tubature impazzite che vi anticipo qui sotto, tanto è zarro ed incorreggibile.

 

 

La giornata del sabato inizia bene con il documentario-fiume (3 ore di durata che spaventano, certo, ma non creano affatto vuoti in sala): NATIONAL GALLERY, dell'ottimo e noto documentarista Frederick Wiseman, presente in sala a salutare, in un conciso ma perfetto francese, il pubblico che lo applaude scrosciante.

locandina

National Gallery (2014): locandina

In tre (lunghe ma appassionanti) ore, il bravo regista ci fornisce un occhio privilegiato sia per guardare da vicino opere famose o famosissime di artisti come Leonardo, Rembrandt, Vermeer e molti altri, sia le tecniche sofisticate per conservare e restaurare tali capolavori, non certo immuni all'azione corrosiva e degradante dei secoli, ma pure le problematiche relative alla gestione economica di un museo di quelle proporzioni, con i fondi che vengono a mancare e i budget che vanno ridiscussi, dove l'ingegno deve sostituire sempre più la mancanza di mezzi. E poi la variabile umana dell'afflusso dei turisti, dagli appassionati, ai distratti, alle scolaresche; da chi si fa incantare dalla magia di una spiegazione accurata e partecipe, a chi segue il percorso con cuffie senza prendersi iniziative; i volti meravigliati,esaltati dalla perfezione a cui tendono molte opere inestimabili, le tecniche complesse di restauro che devono sopperire ad azioni di rparazioni maldestre eseguite nei secoli passati senza la necessaria perizia. Tre ore che in fondo scivolano via veloci, rapiti dalla magia di una bellezza che cattura e dalle problematiche complesse di tutela di patrimoni così importanti e fondamentali: l'uomo ha fatto e compie azioni terribili, ma ha pure saputo raggiungere soglie di bellezza, armonia e perfezione che la macchina da presa riesce a catturare con una forza dirompente che lascia in ognuno di noi spettatori qualcosa di forte e vivo. Mai mi era capitato di sentirmi così in sintonia con l'arte e la bellezza, nemmeno visitando personalmente il predetto museo o altri suoi degni affini. Un'arte che viene in soccorso di un'altra per valorizzarne i dettagli e le particolarità: emozionante.

VOTO ****

 

LES COMBATTENTS, opera prima del francese Thomas Cailley, è il solito film francese imbucato che i membri selezionatori della Quinzaine mai avrebbero incluso nella rassegna se avesse battuto altre bandiere. Regista e tutto il cast presenti in una sala gremita che li applaude calorosa.

locandina

Les combattants (2014): locandina

Filmetto insulso e banalotto: storia di un amore contrastato tra un giovane ventenne artigiano del legno, il piccoletto biondino Arnaud, assieme al fratello poco più anziano: l'incontro con la bellissima e “strana” Madeleine, statuaria coetanea di famiglia benestante a cui i due eseguono un lavoro di pavimentazione e soppalcatura. Intanto i due si frequntano e Arnaud viene convinto a seguire un corso di sopravvivenza che l'esercito pubblicizza ed organizza poco distante, nel sud della Francia. Un'amore contrastato da caratteri antitetici, tra teorie balzane su tecniche di forza e sopravvivenza miste a teorie nefaste sulla fine del mondo che inquitano la ragazza e lasciano indifferente il giovane, più propenso a lasciarsi dstrarre dalla bellezza travolgente della sua bizzarra e scostante amica. Un campo di sopravvivenza li metterà alla prova.

Banale e senza un vero filo conduttore, il film si segnala solo per la simpatia contagiosa di parte della gioventù che lo popola senza interpretarlo veramente, e per la prorompente bellezza appena sbocciata e turgida di Adèle Haenel, una interprete che potremmo rivedere, magari come musa ispiratrice di qualche regista un po' più esperto, e forte di una vicenda anche solo un po' più strutturata.

VOTO **

 

La mattina della domenica inizia bene: anzi benissimo perché quando scendono in campo i sudcoreani non c'e' che da levarsi il cappello: A HARD DAY, si Kim Sung-Hoon è un gran noir tutto tensione, ironia e sberleffo del genere: una corsa a perdifiato nei meandri di un intrigo ordito ai danni di un poliziotto che investe incautamente un passante nel momento in cui deve raggiungere in tutta fretta l'obitorio per prendere parte al funerale dell'anziana madre. L'uomo si carica il cadavere in auto e, dopo un rocambolesco piano tattico, nasconde il cadavere nella bara assieme alla madre. Ma questo è solo l'inizio di un incubo labirintico in cui le colpe apparenti sono nulla in confronto al marcio che si trova addentro al corpo di polizia: e il nostro pur scaltro protagonista diventa la pedina di un gioco sadico che lo vedrà contrapposto ad un corpulento e violento collega, implicato in un riciclaggio di stupefacenti a cu non vuole e non può rinunciare.

Grandi atmosfere, cieli lividi e minacciosi come il pericolo che incombe sul poliziotto e sulla sua famiglia indifesa, due o tre finali che non infastidiscono grazie alla abbondante ironia che il regista lascia trapelare con astuzia, assieme ad una grande capacità di orchestrare le numerose scene d'azione e di lotta furente. Un film che aiuta a risvegliare la belva sssopita che vive in ognuno di noi.

VOTO ****

 

REFUGIADO, dell'argentino Diego Lerman, è un'opera terza delicata e appassionante incentrata sul tema drammatico delle violenze domestiche. Road movie girato ad altezza di bambino (il piccolo Mattias, sei anni) per farci vivere il disagio e la tensione del protagonista, costretto a lasciare la casa del padre dopo che questi ha nuovamente picchiato violentemente la giovane e bella moglie e madre, incinta nuovamente da una decina di settimane. Trovata svenuta la mamma, il piccolo la fa riprendere e quando questa si decide finalmente a darsi alla fuga, il bambino la segue, tra il disagio di nuove camere d'albergo di passaggio e col terrore di venire rintracciati dal genitore malato e violento in modo incontrrollabile.

Julieta Diaz, Sebastián Molinaro

Refugiado (2014): Julieta Diaz, Sebastián Molinaro

La macchina si sofferma sul volto appassionato e incredibilmente intenso del piccolo e ricciolo protagonista, molto credibile con quegli occhi umidi che preannunciano un pianto senza consolazione. Solo la fuga potrà assicurare loro un cambiamento, una nuova vita, visto che certe vergognose attitudini sono insite nella bestialità di certi caratteri umani e la sopportazione e la rassegnazione non riescono più ad andare oltre. L'innocenza a confronto con la dura realtà di un mondo adulto malato e irrecuperabile.

VOTO ***1/2

 

THE HOMESMAN Di Tommy Lee Jones, IN CONCORSO. Presentato oggi nella sezione principale, e da oggi nelle sale francesi, la terza regia del noto ed ottimo attore Lee Jones è un ritorno al western dopo la riuscita del suo ottimo Le tre sepolture. Westerm crepuscolare e on the road, viaggio dannato di due anime solitarie che cercano di salvarsi a vicenda intraprendendo un viaggio “maledetto” in cui trasportare tre donne rese folli da gravi traumi familiari occirsi ai rispettivi bambini: la tenace pioniera e proprietaria terriera Cuddy, bella ma troppo impegnata, seria e testarda per trovare un pretendente, salva la vita ad un disertore appeso in bilico ad un albero con una fune: l'uomo dovrà aiutarla a trasportare verso l'Iowa tre disgraziate funestate dalla morte accidentale o volontaria dei propri bambini. Durante il pesantissimo viaggio, tra i mille problemi da affrontare, ognuno dei due proverà a mettersi a disposizione dell'altro, senza mai arrivare in tempo per riuscire a salvarsi reciprocamente dai rispettivi destini avversi.

locandina francese

The Homesman (2014): locandina francese

scena

The Homesman (2014): scena

Due grandi personaggi, una donna così perfetta da essere allontanata e rifiutata perché gravodsa di troppe responsabilità individuali da parte di uomini grevi e senza carattere, ed un vigliacco vecchio soldato che prova con tutte le sue forze a darsi una dignità, senza tuttavia riuscirci mai pienamente, nonostante le m igliori intenzioni. Lee Jones dirige con la ormai nota dimestichezza un western pessimista e tetro che lascia stupefatti per le sorprese che si porta dietro, come in uno scambio di staffetta tra i due combattuti e poco amalgamabili protagonisti. Perfetti Lee Jones attore e nuova performance straordinaria della Swank, che di fronte alla tragedia senza soluzione riesce a sfoderare il meglio del suo appeal recitativo. Nel cast molti camei preziosi (Tim Blake Nelson, John Lithgow, Hailee Steinfeld dolcissima, James Spader debordante, la splendida Miranda Otto nei panni di una delle tre madri folli).tra cui quello finale di Meryl Streep, qui presente con la figlia Grace Gummer, madre devastata dalla morte di tutti e tre i suoi bambini per difterite.

Una lotta vana, straziante di due reietti che imparano a rispettarsi, forse anche ad amarsi, senza arrivare a comprenderlo nei termini utili necessari per scongiurare la tragedia e far tornare tutt'attorno la mediocrità e il malaffare. Un ottimo film.

VOTO ****

 

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