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Two Days, One Night: Intervista a Marion Cotillard
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Tra i film presentati in concorso al prossimo Festival di Cannes c’è un titolo che già sulla carta è in odor di premio. Si tratta di Two Days, One Night di Luc e Jean-Pierre Dardenne. Descritto come l’odissea di una lavoratrice chiamata a convincere i colleghi a rinunciare a un bonus di mille euro per conservare il proprio posto di lavoro, Two Days, One Night poggia sulle spalle della protagonista Marion Cotillard, seconda attrice francese dopo Cécile de France ad avere il privilegio di lavorare con la coppia d’oro del cinema d’autore belga.

Per l’occasione, abbiamo avuto modo di sentire dalla voce della Cotillard le sue impressioni sul film, arrivatole subito dopo essere stata la protagonista di Un sapore di ruggine e ossa di Audiard. Per l’attrice francese, lanciatissima anche negli Stati Uniti, si tratta inoltre del ritorno a Cannes ad un anno di distanza da C’era una volta a New York di James Gray. Come i due precedenti titoli, anche Two Days, One Night sarà distribuito in Italia da Bim Distribuzione.

Marion Cotillard

Two Days, One Night (2014): Marion Cotillard

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In quali circostanze ha conosciuto i fratelli Dardenne?

Durante le riprese di Un sapore di ruggine e ossa di Jacques Audiard abbiamo attraversato il confine ed eravamo con la troupe in Belgio. Li ho visti per la prima volta e brevemente mentre sia io sia loro stavamo per salire su un ascensore: rimasi colpita, li ho sempre amati. Pochi mesi dopo l’uscita del film di Audiard, il mio agente mi ha chiamata per dirmi che Luc e Jean-Pierre volevano offrirmi una parte nel loro nuovo lavoro. Quasi non ci credevo: per me, girare con loro significava far diventare reale un desiderio fino a quel momento irrealizzabile.

 Perché?

Le varie esperienze di attrice mi hanno regalato occasioni che non avrei mai potuto immaginare. Ma i fratelli Dardenne rientrano nel campo dell’inimmaginabile. Non è loro abitudine scegliere attori che hanno spaziato in vari generi cinematografici. È altresì vero che per Il ragazzo con la bicicletta hanno scelto Cécile de France ma è stata aiutata dall’essere di origine belga. L’essere stata contattata è stata una sorpresa, che ben presto si è trasformata in felicità assoluta.

 Come definirebbe il loro cinema?

Ogni loro film è un’attenta osservazione della società contemporanea. Allo stesso tempo, riescono però a inventare ogni volta un nuovo tipo di avventura cinematografica. Li definiscono autori ma le loro opere rifuggono qualsiasi categoria, il loro è un cinema assolutamente universale.

 Quale è stata la sua prima reazione quando le hanno proposto il ruolo di Sandra?

Al nostro primo appuntamento, ero sulle spine. Ho fatto di tutto per rimanere tranquilla ma ero sconvolta interiormente: i Dardenne mi stavano proponendo di essere la loro protagonista ed io avevo bisogno di dire loro quanto ne fossi fiera ed entusiasta.

 Cosa le hanno detto del film?

Sono stati di poche parole. Hanno anticipato qualcosa sui temi trattati ma ho scoperto per la prima volta la storia di Sandra quando ho letto la sceneggiatura, capendo che tipo di eroina potesse essere nella vita reale. E comprendendo la grande sfida che avrebbe rappresentato per me interpretare una donna che incontra ciascuno dei suoi colleghi per far cambiare loro idea sul suo licenziamento. Questo comportava che avrei dovuto lavorare molto sulle sfumature e sui cambiamenti progressivi ma quasi impercettibili del personaggio.

 Come definirebbe Sandra, il suo personaggio?

Sandra è una donna normale, una lavoratrice che conosce il prezzo delle cose su cui lei non ha possibilità di scelta. Lei, ad esempio, comprende coloro che hanno preferito intascare il bonus di mille euro piuttosto che votare a suo favore, facendole mantenere il posto di lavoro. Nessuno sa cosa avrebbe fatto lei stessa al posto degli altri e il film non giudica nessuno dei personaggi. Credo che questa sia la fonte di tutta la sua forza.

 Sandra si confronta anche con la depressione.

In una scena, Sandra dice: “Io sono niente”. Quella sensazione di inutilità abita nel profondo di molte persone che non sanno come far fronte al lavoro o alla sua assenza/perdita. Prima di cominciare le riprese, sono rimasta turbata dagli articoli e dalle notizie riguardanti il suicidio sul posto di lavoro: storie di persone che hanno preferito porre fine alla loro vita piuttosto che sperimentare la sensazione di inutilità e combatterla. In qualche modo, Two Days, One Night per me è la risposta a quelle vicende che tanto mi avevano turbata.

 Come è stato lavorare con i Dardenne?

Abbiamo provato per un mese circa: una fase molto importante per lavorare sulla messa in scena, sull’energia dei personaggi e sul ritmo di ogni sequenza. Un lavoro reso ancora più complesso e vitale dato che i Dardenne girano per piani sequenza. Mi ci è voluto un po’ – e mi sono anche preoccupata – per perdere il mio accento francese senza prenderne uno belga forzato e alla lunga fastidioso. Le prove mi hanno permesso di sentirmi poi a pieno agio con la mia Sandra. Durante le prove, Luc e Jean-Pierre si concentrano principalmente sulla recitazione, lavorando sui dettagli e facendo ripetere più volte una scena fino a quando non si raggiunge l’intensità da loro desiderata. Se mi avessero chiesto di ripetere anche 250 volte una scena, lo avrei fatto: è difficile stancarsi quando si è ben diretti.

 In Two Days, One Night suo compagno di set è Fabrizio Rongione, con cui ha formato una coppia molto credibile.

Anche in questo caso, le prove ci hanno aiutato molto. In un film come questo, è necessario incontrarsi sin dal primo giorno e imparare a conoscersi personalmente, anche al di là dei personaggi da interpretare. Fabrizio è uno degli attori preferiti dai Dardenne e ha girato molti dei loro precedenti film. Entra in maniera quasi naturale nel loro mondo e ne condivide la stessa autenticità. Lavorare con lui sotto lo sguardo dei Dardenne per me è stata davvero una grande opportunità. E non è una frase di circostanza.

 Il ruolo di Sandra è molto diverso da quelli che ha interpretato negli ultimi tempi negli Stati Uniti.

Sognavo da sempre questa alternanza e varietà di personaggi. Mi sento molto fortunata nel poter essere così poliedrica e cambiare mondi in continuazione. Era il mio sogno di giovane attrice che si è concretizzato: indagare territori e generi differenti sotto la mano e lo sguardo di grandi registi.

 Che ricordo conserverà di Two Days, One Night?

Rimarrà per me un film a parte. Ho vissuto un’esperienza meravigliosa, profonda ed idilliaca. Non mi sono mai sentita così bene su un set con due registi complici dal primo all’ultimo giorno di riprese. E poi ricorderò per sempre la tristezza rimastami addosso l’ultimo giorno di set, quando ho dovuto salutare tutti e concretizzare che era tutto finito.

 Ha in mente di ritornare a lavorare con i Dardenne?

Anche oggi. Quando vogliono, sono a loro completa disposizione. Non hanno nemmeno bisogno di presentarmi una sceneggiatura: il mio sarà subito un sì ad occhi chiusi. Mi piacerebbe diventare la loro nuova Jérémie Renier o Olivier Gourmet [due attori feticcio dei registi, ndr].

 Con Two Days, One Night sarà nuovamente in concorso a Cannes per la terza volta di fila.

Dopo Un sapore di ruggine e ossa di Audiard e C’era una volta a New York di Gray, mi tocca vivere quella magia niente di meno che con i fratelli Dardenne. Mi hanno regalato una grande esperienza cinematografica ed umana e non può che mandarmi al settimo cielo averli accanto a Cannes.

 

Two Days, One Night (2014): Teaser ufficiale

 

 

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