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Elogio del nostro doppiaggio
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Per anni sono vissuto nella convinzione, argomentata e impeccabile, che il doppiaggio fosse una sorta di tradimento. Cancellare la voce del protagonista e sostituirla con quella di un doppiatore era ritenuto, in certi ambienti, scorretto. Si sosteneva che la voce originale facesse un tutt’uno con il film e che il doppiaggio rompesse quell’unità inscindibile fra voce, attore e scena. Poco a poco però, è maturata in me l’idea che il doppiaggio, se eseguito da ottimi interpreti, ci avvicinasse meglio alla comprensione del film.

I miei studi linguistici e i molti film visti in originale mi hanno gradualmente portato ad alcune riflessioni che rivalutano l’uso del doppiaggio. Lungi da essere tipico di un Paese arretrato culturalmente, come generalmente il doppiaggio veniva qualificato, esso aiuta lo spettatore a comprendere ad entrare meglio nel personaggio. Il doppiaggio di cui parlo è quello evidentemente eseguito da veri professionisti e da interpreti traduttori di alto profilo. Non mi riferisco, è chiaro, a certe traduzioni (veri e propri tradimenti) affrettate e dilettantistiche e a certi doppiaggi eseguiti alla bell’è meglio per risparmiare sui costi.

In effetti, se ci riferiamo alla versione originale sottotitolata, devo dire che quasi mai ho notato una precisa rispondenza nella nostra lingua rispetto all’originale. E’ vero ovviamente che questo attiene alla traduzione in sé, senza particolare riferimento ai sottotitoli. E’ estremamente difficile rendere in italiano le sottigliezze e i giochi di parole dei testi originali stranieri, non è una novità. Questo poi è particolarmente vero riguardo appunto ai sottotitoli di un film, eseguiti perlopiù da buoni traduttori che però non possono perdere troppo tempo in sottigliezze interpretative. Questo mortifica parecchio la versione originale, svilita e impoverita da sottotitoli semplificati e poco incisivi.

Mi riferisco qui in particolare al doppiaggio vero e proprio, senza sottotitoli. La fortuna del nostro Paese è quella di godere di una tradizione superba di doppiatori di altissima qualità. Assistere a un film in originale, leggendo i sottotitoli (per la stragrande maggioranza di coloro che non conoscono a perfezione qualche lingua straniera), è un’esperienza che non è mai compiuta, completa, definitiva. Sentir parlare Clark Gable e comprenderlo attraverso dei sottotitoli è un avvicinamento alla completezza, ma esiste un “décalage” che lascia sempre un po’ di amaro in bocca, almeno per i palati esigenti e cioè i cinefili.  Se invece il doppiaggio è eseguito da interpreti di grandi capacità, riusciamo a comprendere meglio il personaggio, ma attenzione, non solo per le parole che dice ma anche per la varietà di toni, le flessibilità, le vibrazioni della voce. Abbiamo dei doppiatori, per fortuna, che studiano bene il personaggio e che riescono a interpretarlo quasi perfettamente. Riusciamo quindi a capire certe pieghe interpretative che l’attore originale intende includere nella sua recitazione se vengono rese bene anche nel doppiaggio.

Prendiamo il caso di Roberto Pedicini nella sua interpretazione di Kevin Spacey in HOUSE OF CARDS. Oppure, se vogliamo andare più indietro, come non ricordare l’immenso Emilio Cigoli?

Il suo lavoro in L’OSCAR INSANGUINATO, quando interpreta Vincent Price, è a dir poco straordinario. Oppure ancora Ferruccio Amendola quando interpretava Bob De Niro. E che dire di Oreste Lionello doppiatore di Woody Allen? Allen stesso, pur favorevole alla versione originale, si complimentò con Lionello stesso per come riusciva ad entrare nel personaggio, nelle sue balbettanti elucubrazioni intellettuali, nei suoi tic, nelle sue pause ed incertezze.

Non potendo capirlo nell’originale, abbiamo la possibilità di avvicinarci alla sua compiutezza, con il vantaggio di sentirlo più nostro, visto che vengono per forza usati modi di dire italiani, dato che certe espressioni, certi modismi anglosassoni, non otterrebbero da noi la stessa comprensione e partecipazione emotiva.

In fondo, vedere un film è anche partecipazione emotiva. Quale migliore modo di entrare nella complessità di un personaggio, se non quello di capire non solo ciò che si dice, ma soprattutto come si dice?

Certo, esiste il rischio del birignao, un difetto che accadeva per esempio, a Tina Lattanti. Il lavoro del doppiatore, in questi casi, dà più importanza al proprio modo di “sentire”il personaggio, infarcendolo di “decorazioni” vocali non necessarie e superflue, che finiscono per “tradire” l’attore originale.

Oppure esiste il rischio di interpretare male, ma questo avviene raramente nelle produzioni di qualità. Il doppiatore tiene troppo alla propria dignità professionale per rischiarla così alla leggera.

La cosa strana è che difficilmente un grande doppiatore è pure un grande attore. Forse perché l’arte del doppiaggio è sentita “inferiore” a quella della recitazione.

In questi giorni sto apprezzando in modo particolare il lavoro di Roberto Pedicini: non mi riferisco alle splendide interpretazioni dei personaggi di Ralph Fiennes, Woody Harrelson, Jim Carrey e Javier Bardem fra gli altri. Penso soprattutto con ammirazione al lavoro che ha compiuto sul personaggio di Frank Underwood interpretato da Kevin Spacey. L’intensità, la precisione, ma soprattutto le sfumature della recitazione sono un motivo, non foss’altro che questo, per non perdere quella serie tv.

In casi come questo, ci si rende conto che il montaggio diventa un valore in sé, a prescindere dalla qualità del film. La voce suadente, gli improvvisi sbalzi di tono, la cantilena che arricchiscono il personaggio di Underwood, aprono squarci di luce sulla psicologia di quel detestabile politico lobbista, aiutano a svelarne le ambiguità e il sostanziale tentativo manipolatore. Quante volte riusciamo a percepire, con un po’ di attenzione, le incrinature, le piccole pause che rivelano le vere intenzioni di chi ci sta di fronte?

Credo che sia possibile, addirittura, migliorare con un doppiaggio di alta qualità la resa vocale di un personaggio, ma sarebbe oltremodo rischioso farne una scuola di pensiero.

Quando il compianto Claudio G.Fava ebbe l’idea di istituire un festival per il doppiaggio, ne comprendeva perfettamente il valore, oltre che tecnico, anche artistico. Effettivamente, una manifestazione così restituisce la giusta dimensione a professionisti che ci hanno fatto amare tanti attori, più ancora di quanto sarebbe accaduto se ci fossimo limitati a leggerne i dialoghi nei sottotitoli.

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