Ieri sera, tra le mura spudoratamente avveniristiche (ma di gran effetto scenico) del coloratissimo Palais du Mamac, il museo di arte contemporanea della citta' di Nizza, si e' tenuta la serata inaugurale della sesta edizione del festival dedicato alle tematiche omosessuali. Una rassegna che sfida, accompagna, rivaleggia, collabora (francamente non sappiamo quale verbo risulti piu' consono ed appropriato) il prossimo ed ormai imminente e gloriosamente "anziano" TORINO GLBT.
Oltrepassata la piazzetta sopraelevata che sovrasta in incrocio stradale affollato dal quale si scorge poco lontano l'imponente Place Garibaldi, luogo fertile anche cinematograficamente grazie alla presenza della piccola e generosa sala Mercury, dopo aver zigzagato tra fontane avveniristiche e sculture a mosaico che ricordano lo stile di Dali, e superato il bar trendy che dopo la proiezione ci ospitera' sfamandoci con un generoso buffet a base di "pissaladiere", la caratteristica focaccia con cipolle acciughe ed olive nizzarda, arriviamo davanti alla confortevole saletta moderna che accoglie la manifestazione: qui le linee architettoniche essenziali del legno grezzo si accoppiano con disinvoltura a strutture di cemento grezze producendo un effetto naturale e vagamente compiaciuto ma molto gradevole alla vista.
Assieme ai biglietti la "grandeur francaise" si manifesta anche in questa occasione con piccoli apprezzati gesti di cordialita' come la consegna a noi spettatori di piccoli accattivanti gadgets (un pacchetto di noccioline ed uvetta che divoriamo con avidita', salvo ritrovarci poco dopo in una saletta non refrigerata, a 30 gradi e con la gola riarsa dalla sete), una maglietta che maliziosamente incita all'approccio col suo equivocabile "prends moi" (in effetti altro non e' che l'ammiccante pubblicita' di una rivista specializzata in tematiche gay).
E quando finalmente, in una sala piena sino all'impossibile, le luci si attenuano e il direttore artistico del festival, Benoît Arnulf, prende la parola, la sesta edizione puo' davvero prendere il via.
Benoît Arnulf, direttore artistico del Festival
Lo spigliato giovane organizzatore si prende tutto il tempo (francamente pure troppo) per ringraziare sponsor e collaboratori, e tra una serie di spot spiritosi ma semiseri volti a non perdere di vista il discorso della prevenzione, dopo un'ora abbondante di introduzione presentazione delle varie manifestazioni collaterali e del cartellone del festival (ricco di lungometraggi e di corti, e di una preziosa rassegna dedicata al cinema contemporaneo gay portoghese, che vedra' a giorni, tra gli invitati, il gran regista Joao Pedro Rodriguez quello de "O fantasma" e "Odete"), ecco che il primo film, il tedesco melo' moderno Free Fall, si fa strada nel buio ormai dilagante della bella saletta, surriscaldata anche troppo tra passione cinematografica, causa militante, ma pure semplice inevitabile calore corporale da affollamento.
Il film del tedesco Stephan Lacant, reduce dalla Berlinale di due edizioni orsono, non e' certo un'opera sconvolgente per innovazione e tecnica cinematografica, ma un piccolo film, a tratti convenzionale certo, ma pur anche toccante, che fa nuovamente il punto sulle scottanti tematiche della discriminazione di cui e' inevitabilmente ancor oggi succube la comunita' omosessuale, soprattutto se considerata in modo isolato ed in contesti "insospettabili" ed impossibili come, in questo caso, una caserma di addestramento di polizia.
Durante una corsa di allenamento Marc, neosposo con moglie incinta, incontra Kay, un nuovo collega molto piu' allenato di lui a correre. Nonostante la diffidenza iniziale, il primo accetta di allenarsi assieme al nuovo arrivato, incoscientemente succube del fascino che quest'ultimo esercita sul primo. Ma se Kay e' ben consapevole della propria condizione omosessuale, ed e' attratto senza remore dal suo rude e timido collega, non cosi' accade per Marc, che non trova inizialmente neppure il coraggio di accettarsi quando cede alle avances del suo biondo e bel compagno di corse. La "caduta libera" del titolo originale e' inevitabile: tragedia familiare, che si complica col fatto che la coppia di sposi ha accettato di andare a convivere nell'appartamento adiacente ai genitori di Marc: sospetti sempre piu' pressanti e dolorosi da parte della giovane moglie che piu' verosimilmente immagina una tresca del marito con un'altra donna; sospetti sul lavoro, dove Kay viene presto riconosciuto per le sue frequentazioni di locali gay. Lo svolgimento del dramma della passione e della distruzione programmata di legami affettivi e amorosi con i propri cari e col mondo circostante procede senza troppi scossoni nel suo prevedibile inabissamento ed abbruttimento, ma il film si scuote spesso da una certa meccanicita' di situazioni ogni volta che la passione, frutto di attimi furtivi di piacere rubati ad una vita che per Marc e'programmata secondo doveri familiari apparentemente irrinunciabili, diviene il motore conduttore e pura soddisfazione, sublimazione del piacere, tra i due giovani uomini. E i due attori, belli e seducenti, traducono molto credibilmente questo sentimento irresistibile che attrae i due combattuti protagonisti. Inoltre un finale intelligentemente aperto a soluzioni piu' disparate, non ultimo, purtroppo, la solitudine, che inevitabilmente caratterizza il caro prezzo di molte scelte intraprese coraggiosamente nella vita reale, fa si che il film, succube di una trama non certo originale che lo ha visto considerare non inverosimilmente da certa stampa come un "Brokeback Mountains tascabile", possa invece e meritatamente ritagliarsi una sua dignita' e figuri senza remore come un inizio coerente e "necessario" di questo festival accattivante.
Voto ***
Le foto della serata sono state scattate da Port Cros
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